Acuta analisi di Gaiani. Non si tratta di essere pro Russia o ucra. La domanda è se vogliamo sopravvivere economicamente o subiamo passivamente qualunque danno
Con amici così chi ha bisogno di nemici?
Oggi più che mai la celebre frase della scrittrice britannica Charlotte Brontë torna alla mente osservando quanto accaduto sul fronte energetico nelle ultime due settimane. Nonostante i tranquillizzanti annunci dell’Unione Europea lo stop al transito del gas russo attraverso il gasdotto ucraino sta determinando, per ragioni oggettive e conseguenti incertezze e speculazioni, difficoltà e rialzo dei costi in gran parte d’Europa, con previsioni di incrementi considerevoli delle bollette per famiglie e aziende.
La Slovacchia, membro di NATO e UE, è la nazione che risentirà di più della decisione assunta da Kiev con il pieno supporto degli Stati Uniti e, paradossalmente, dell’Unione Europea.
Se Washington ha tutto l’interesse a privare di fornitori competitivi il mercato energetico europeo per imporci l’acquisto del suo costoso GNL (tema sostenuto perentoriamente prima da Barack Obama, poi da Joe Biden e che Donald Trump ha già anticipato) c’è da porsi più di qualche domanda circa il reale ruolo della UE o quanto meno di questa Commissione (e di quella precedente sempre a guida von der Leyen), pronta a sacrificare gli interessi dei suoi stati membri pur di difendere quelli di Washington e Kiev.
Basti ricordare quale timida reazione giunse dall’Unione Europea (e anche dal governo tedesco oggi uscente) dopo
la distruzione dei gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico nel settembre 2022, attacco strategico alla Germania e all’Europa che raccolse il plauso di alcuni membri di NATO e UE, compiuto forse degli ucraini,
più probabilmente dagli anglo-americani con qualche alleato del Nord Europa, ma certamente non dei russi.
L’
esplosione dei Nord Stream non è stata certo l’ultima battaglia della guerra per il mercato energetico europeo. L’11 gennaio il ministero della Difesa di Mosca ha denunciato come “terrorismo energetico” il fallito attacco portato da 9 droni ucraini alla stazione di compressione Russkaya del gasdotto Turk Stream a Gai-Kodzor, vicino ad Anapa, nel territorio di Krasnodar, nel sud della Russia.
Il
TurkStream che attraversa i fondali del Mar Nero e raggiunge il territorio turco sul continente europeo nei pressi di Kıyıköy, è l’ultimo gasdotto ancora funzionante che trasporta il gas russo nei Paesi europei che ancora lo acquistano come Serbia e Ungheria.
Budapest ha definito l’incursione ucraina un attacco alla propria sovranità. “
Ci aspettiamo che tutti rispettino la sicurezza e la funzionalità del gasdotto Turk Stream”, ha affermato il ministro degli Esteri di Budapest, Péter Szijjártó, avvertendo che “
la sicurezza energetica è una questione di sovranità e qualsiasi azione che minacci il nostro approvvigionamento energetico deve essere vista come un attacco alla sovranità”.
L’attacco al Turk Stream dei giorni scorsi non è stato il primo, poiché già nella primavera 2023 si verificarono attacchi di droni di superficie ucraini alle navi russe che nel Mar Nero orientale proteggevano i gasdotti Turk Stream e Blue Stream che portano il gas russo in Turchia, mettendo quindi a repentaglio anche gli interessi energetici di Ankara.
Così come la fine del flusso del gas russo attraverso il gasdotto ucraino, colpisce in realtà tutta l’Europa poiché ha determinato un nuovo incremento delle quotazioni del gas alla Borsa di Amsterdam fino a quasi 50 euro a Megawattora.
Per il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, “
il tentativo di sabato da parte del regime di Kiev di attaccare la stazione di compressione è essenzialmente una continuazione della linea di terrorismo energetico che Kiev segue, apparentemente sotto la supervisione di amici stranieri, da molto tempo”. Il riferimento è agli Stati Uniti e in particolare all’amministrazione Biden, che ha imposto nuove sanzioni al settore petrolifero russo a pochi giorni dalla sua uscita di scena con l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il 20 gennaio.
“Avevamo previsto – ha aggiunto Peskov –
che fino all’ultimo giorno della sua permanenza alla Casa Bianca, Biden e la sua amministrazione avrebbero fatto di tutto per lasciare forse l’eredità peggiore in termini di relazioni bilaterali con la Russia. Stanno seguendo costantemente questa linea”.
Del resto (come evidenziammo già negli anni scorsi su Analisi Difesa e nel libro “
L’ultima guerra contro l’Europa“) gli interessi statunitensi nel campo energetico europeo sono chiari e ben noti: nel 2014, subito dopo il colpo di mano del Maidan e il
regime-change a Kiev, Barack Obama venne in Europa a esortarci a rinunciare al gas russo sostituendolo con il molto più caro GNL statunitense.
Nel 2022, subito dopo la decisione della Ue di fare a meno in pochi anni (quando tutti gli esperti consigliavano tempi più lunghi di transizione) dell’energia fornita da Mosca, l’Amministrazione Biden varò la Legge per la Riduzione dell’Inflazione che incentiva le aziende europee a trasferirsi negli USA, dove “l’energia costa 5 volte meno”. Cornuti e mazziati dai nostri alleati, verrebbe da dire.
All’epoca i ministri dell’economia di Francia e Germania protestarono, peraltro flebilmente e senza nessun risultato concreto. In attesa di vedere in azione la nuova amministrazione, vale la pena ricordare che Trump ha già dichiarato che l’Europa deve acquistare il GNL americano se vuole evitare di subire dazi commerciali.
Al di là dei ben chiari intenti statunitensi, al cui perseguimento il governo ucraino sembra prestarsi senza esitazioni, l’attacco al Turk Stream, come prima quello al Nord Stream e lo stop ai flussi sul gasdotto che attraversa l’Ucraina, costituisce una minaccia diretta all’Europa e alla sua economia, non a caso sprofondata in una grave crisi dall’inizuio del conflitto.
Anche nel caso dell’attacco al Turk Stream però la reazione della Commissione Ue è stata di circostanza, limitandosi a ribadire che
“ogni attacco a infrastrutture energetiche è qualcosa di preoccupante. Non abbiamo alcun particolare contesto su questo rapporto odierno con la parte ucraina. Ma ovviamente continuiamo a monitorare la situazione per quanto riguarda qualsiasi problema di sicurezza e fornitura in Ucraina, Moldavia e in ogni Paese membro“, come ha dichiarato la portavoce della Commissione europea per l’Energia, Anna-Kaisa Itkonen.
Insomma, nessun monito a Kiev affinché nella guerra alla Russia eviti di provocare danni alla UE e ai suoi membri che tanto hanno dato in termini politici, economici e militari alla causa ucraina.
Tra l’altro le ultime sanzioni statunitensi alla Russia stanno provocando danni all’Europa anche sul fronte petrolifero.
“L’amministrazione presidenziale statunitense uscente, che ha subito una pesante sconfitta alle elezioni, ha recentemente imposto un nuovo pacchetto di sanzioni sul settore energetico. Queste sanzioni energetiche rappresentano una seria sfida per l’Europa Centrale” ha sottolineato Szijjárto.
“Con il principale fornitore di petrolio della Serbia (in partnership con la russa Gazprom NdR
) ora sanzionato, l’offerta di greggio nella regione si ridurrà, facendo potenzialmente aumentare i prezzi del carburante. Questo rischia di rendere più difficile la vita delle persone e di compromettere la performance economica”, ha aggiunto il ministro ungherese.
Secondo un’analisi della Lloyd’s List Intelligence, circa il 35% delle 669 petroliere utilizzate per il trasporto di petrolio russo, venezuelano e iraniano sono ora soggette a sanzioni imposte da Stati Uniti, Regno Unito o Unione Europea. Questo ha ridotto la disponibilità di navi nel mercato globale, facendo aumentare i costi di spedizione: i prezzi lungo la rotta dal Medio Oriente alla Cina sono aumentati del 39% dal 10 gennaio raggiungendo 37.800 dollari al giorno.
Nuove sanzioni che aumentano i costi di trasporto e riducono il petrolio sul mercato significano costi più alti per tuti coloro che importano greggio, Europa in testa.
Le recenti iniziative statunitensi e ucraine sul fronte energetico penalizzano quindi tutta l’Europa (dove nel 2024 la produzione industriale è diminuita dell’1,9% nell’area dell’euro e dell’1,7% nell’Ue rispetto al 2023) rendendo più precario e costoso l’approvvigionamento come abbiamo riferito in diversi articoli (che riproponiamo in coda a questo editoriale) nei giorni scorsi.
Un contesto che rischia di essere fatale soprattutto per le economie più industrializzate, come conferma l’ufficio federale tedesco di statistica Destatis che nei giorni scorsi
ha reso noto che “il volume degli ordini delle imprese industriali tedesche è diminuito del 5,4% a novembre, dopo essere diminuito dell’1,5% a ottobre”
Gli ordini per mezzi di produzione sono diminuiti del 9,4% mentre gli ordini di beni di consumo sono diminuiti del 7,1%: il tutto mentre “la Germania è colpita da un’ondata record di fallimenti”, come
ha scritto Handelsblatt con 364 grandi aziende fallite nel 2024, il 30% in più rispetto al 2023 per lo più nei settori edile, sanità, ingegneria meccanica e automobilistico.
E quest’anno gli esperti sentiti dal quotidiano economico di Dusseldorf prevedono che i fallimenti aumenteranno di un altro 25-30%. Inoltre nel 2024 il PIL tedesco è sceso dello 0,2 per cento rispetto al 2023 quando aveva registrato un calo dello 0,3%.
Non a caso nella Germania già in campagna elettorale si registrano le più decise reazioni politiche. Il leader del partito BSW, Sahra Wagenknecht, ha affermato che le sanzioni a Mosca sono funzionali solo all’economia statunitense.
“Le sanzioni non hanno nulla a che fare con la moralità, non hanno nulla a che fare con i diritti umani, non hanno nulla a che fare con l’amore per la pace, sono semplicemente un programma di stimolo economico per l’economia statunitense e un programma micidiale per le aziende tedesche ed europee”.
Parlando a Bonn al congresso del partito ha aggiunto che
“i diritti umani e l’inviolabilità dei confini non hanno mai interessato gli Stati Uniti. Per l’amor di Dio: Non crediamo più a queste sciocchezze. Si tratta solo di interessi economici”.
Sempre in Germania, nei giorni scorsi il leader di Alternative fur Deutscheland, Alice Weidel (nella foto a lato), ha affermato che in caso di vittoria alle elezioni del 23 febbraio il governo tedesco guidato da AfD ripristinerà il Nord Stream.
Il 9 gennaio
un intervento televisivo europeo Thierry Breton ha scatenato dure polemiche per un riferimento alle elezioni presidenziali annullate in Romania e il prossimo voto in Germania che ha indotto Elon Musk, ormai protagonista quotidiano del dibattito politico europeo, a definire Breton un “tiranno d’Europa”.
Al netto delle esagerazioni legate anche alla profonda crisi europea e alla vittoria di Trump, in attesa di un sostanziale e convincente chiarimento di quanto accaduto a Bucarest, il rischio che la UE tolleri o addirittura promuova un “gap democratico” (per usare un eufemismo) appare grave.
D’altra parte va ricordato come Ursula von der Leyen commentò le allora imminenti elezioni in Italia del 2022 ipotizzando il ricorso ad alcune misure sanzionatorie già adottate nei confronti dei governi sovranisti di Polonia e Ungheria.
In un momento di grave crisi continentale e in vista di possibili
contrasti con l’Amministrazione Trump (per la minaccia di dazi,
l’espansionismo geografico o la pretesa che gli stati europei
dedichino alla Difesa il 5% del PIL), appare evidente che se la UE non supporta la crescita degli stati membri garantendo piena democrazia e interessi energetici allora occorre chiedersi quali interessi persegua e soprattutto se coincidano con i nostri.
Anche perché, come appare chiaro dalle iniziative di Washington e Kiev, è molto rischioso continuare a delegare a simili alleati la cura dei nostri interessi. Con amici così chi ha bisogno di nemici?
@GianandreaGaian
Immagini: Presidenza Russa, Presidenza Ucraina, Commissione UE, AfD, BSF, Ministero Difesa Danese e Gazprom