lincoln
Forumer storico
così, mentre l'Europa si riscopre unita decidendo per la prima volta di aiutare un Paese a difendersi dall'invasione di una superpotenza, mentre Giorgia Meloni esce a sorpresa dal guscio dell'opposizione offrendo al governo il suo sostegno contro l'"azione speciale" russa, Matteo Salvini diventa improvvisamente pacifista, rompe il fronte italiano e avverte Draghi: non voglio che siano inviate "armi letali" all'Ucraina, "e comunque non in mio nome".
Ricordando le teatrali scenate del capo leghista sul lockdown, sulle mascherine, sui vaccini e sul Green Pass, nessuno oggi si stupisce davvero. Conosciamo il personaggio. Sappiamo anche come vanno a finire i suoi ultimatum. Ma quella di ieri non è una delle tante mosse acchiappavoti di un leader nazionalpopulista. È una scelta di campo, in quello che Ursula von der Leyen ha giustamente definito "un momento spartiacque" per il mondo libero. Ed è, purtroppo, la scelta sbagliata.
Che fino a ieri Salvini sia stato - dopo Berlusconi - il più fedele e appassionato sostenitore di Vladimir Putin in Italia, lo ricordiamo tutti. Non abbiamo dimenticato i suoi viaggi della speranza a Mosca, le sue sperticate lodi all'amico russo ("Scambierei due Mattarella con mezzo Putin", "Preferisco Putin all'Europa", "Con Putin in Italia staremmo meglio", eccetera), la sua imbarazzante resistenza alle sanzioni dopo l'invasione ("Sono l'ultima delle soluzioni") e la sua difesa d'ufficio della Russia contro l'esclusione dal sistema Swift, perché "rischiamo di lasciare milioni di italiani al freddo e al buio".
Ma oggi, con il suo no a ogni aiuto concreto a un Paese che rischia di essere schiacciato da un invasore terribilmente più forte, il segretario della Lega rivela di non essere un leader affidabile nella difesa dei due valori sacri per l'Occidente, la libertà e la democrazia, e perde sulla scena internazionale la sua residua credibilità di aspirante premier.
Ricordando le teatrali scenate del capo leghista sul lockdown, sulle mascherine, sui vaccini e sul Green Pass, nessuno oggi si stupisce davvero. Conosciamo il personaggio. Sappiamo anche come vanno a finire i suoi ultimatum. Ma quella di ieri non è una delle tante mosse acchiappavoti di un leader nazionalpopulista. È una scelta di campo, in quello che Ursula von der Leyen ha giustamente definito "un momento spartiacque" per il mondo libero. Ed è, purtroppo, la scelta sbagliata.
Che fino a ieri Salvini sia stato - dopo Berlusconi - il più fedele e appassionato sostenitore di Vladimir Putin in Italia, lo ricordiamo tutti. Non abbiamo dimenticato i suoi viaggi della speranza a Mosca, le sue sperticate lodi all'amico russo ("Scambierei due Mattarella con mezzo Putin", "Preferisco Putin all'Europa", "Con Putin in Italia staremmo meglio", eccetera), la sua imbarazzante resistenza alle sanzioni dopo l'invasione ("Sono l'ultima delle soluzioni") e la sua difesa d'ufficio della Russia contro l'esclusione dal sistema Swift, perché "rischiamo di lasciare milioni di italiani al freddo e al buio".
Ma oggi, con il suo no a ogni aiuto concreto a un Paese che rischia di essere schiacciato da un invasore terribilmente più forte, il segretario della Lega rivela di non essere un leader affidabile nella difesa dei due valori sacri per l'Occidente, la libertà e la democrazia, e perde sulla scena internazionale la sua residua credibilità di aspirante premier.