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dati macro
I dati macro confortanti fanno brillare il mercato
di Charlie Minter - 25/04/2008
Ieri la borsa è salita in reazione ad un calo delle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione a 342.000 unità, e di una contrazione di appena lo 0.3% degli ordini di beni durevoli (meglio delle attese). Ciò ha portato alla convinzione che l’economia abbia appena evitato una recessione, o che perlomeno la stessa sarà piuttosto lieve. Se questo scenario si concretizzasse la Fed non dovrebbe procedere oltre nel taglio dei tassi, o dovrebbe ridurli per l’ultima volta la prossima settimana.
Siamo quasi impressionati dal fatto che gli operatori di mercato alla fine hanno compreso che una Fed che in preda al panico taglia i tassi senza pensarci troppo, nel lungo periodo non è una soluzione ai problemi del mercato del credito e non ha fatto altro che condurre ad un dollaro debole e a commodities in rialzo. Come abbiamo commentato in un precedente rapporto, “Apparentemente, sembra che la Fed stia intervenendo ancora una volta in salvataggio del sistema, come ha fatto all’inizio del decennio. Il problema è che a fronte di questo comportamento il debito complessivo degli Stati Uniti (sia pubblico che privato) è cresciuto negli ultimi cinque anni fino a 49.000 miliardi di dollari, con quello del settore pubblico di poco inferiore agli 8.000 miliardi. Il debito generato dal settore privato è cresciuto ad un tale livello che la Fed ne ha perso il controllo. Infatti, ciò che la Fed sta facendo con questi tagli dei tassi e con le altre misure a sostegno della liquidità, è veicolare verso il basso il dollaro; e presto se ne renderanno conto anch’essi". Se si osservasse un grafico del debito complessivo in percentuale del PIL, ci si accorgerebbe che gli eccessi sono ancor più estremi che durante la Grande Depressione.
Ci piacerebbe condividere questa positività per il mercato azionario, ma nutriamo ancora alcuni timori. Crediamo che il calo delle richieste di sussidi di disoccupazione non rappresenti un indicatore affidabile del vigore dell’economia. Il motivo risiede nel fatto che le persone occupate, in rapporto all popolazione complessiva, alla fine della recessione del 2001 è stato il più basso registrato all’inizio di una ripresa in tutti i cicli economici del dopoguerra, con la sola eccezione della recessione del 1957. Se non si ha un recupero di occupati, probabilmente non si sperimenta un ingrossamento delle linee di assicurazione contro la disoccupazione. Gli ordini dei beni durevoli poi sono volatili ed è molto difficile enfatizzare un singolo dato mensile, specie quando esso non è particolarmente forte.
Il settore su cui ci concentreremmo resta quello delle case, e in particolare sull’impatto del declino delle quotazioni sull’economia reale. Va ricordato che questo aspetto impatta sulla psicologia dei consumatori più di qualunque altro elemento. In passato abbiamo previsto che il settore immobiliare sarebbe stato il catalizzatore di un bear market deflazionistico e della recessione che ancora ci aspettiamo. E i dati del settore di questa settimana non è che siano stati particolarmente incoraggianti: Banc of America ha visto gli utili netti crollare del 77% a causa di perdite sul fronte dei mutui ipotecari, e la società ha fornito stime deprimenti per il resto dell’anno. Le azioni di Ambac sono crollate del 43% a 3.46 dollari dopo la pubblicazione di una perdita di 1.66 miliardi – pari a 11.69 dollari per azione – nel primo trimestre. Ma la sorpresa più grande è giunta dalla previsione di perdite per un miliardo di dollari dai titoli collegati ai mutui. E i pignoramenti in California sono balzati del 130% nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
All’inizio della settimana la National Association of Realtors ha riportato che le vendite a marzo sono calate del 2% a 4.93 milioni di unità, mentre i prezzi sono risultati in calo del 7.7% rispetto ad un anno fa. Si tratta del secondo peggior ribasso annuale della storia dopo il -8.4% di febbraio. Gli inventari sono saliti del 3.1% a 9.9 mesi di fornitura. Le notizie di ieri sono state anche peggiori: le vendite di nuove abitazioni sono precipitate al livello più basso degli ultimi 16 anni e mezzo, e i prezzi sono scesi dell’entità più consistente degli ultimi 38 anni. Il Commerce Department ha reso noto che la vendita di nuove case è stata pari a 536.000 unità il mese scorso, e che il prezzo mediano a marzo è sceso del 13.3% rispetto ad un anno fa a 227.600 dollari. Forse siamo rimasti gli unici a credere che dopo un rialzo dell’85% delle quotazioni immobiliari dal 2000 al 2006, sia inevitabile che i prezzi si sgonfino al punto da incidere sull’economia e sulla borsa.
E nel frattempo, lo S&P500 non ha ancora superato il trading range, e ha terminato la seduta in calo rispetto ai massimi.
I dati macro confortanti fanno brillare il mercato
di Charlie Minter - 25/04/2008
Ieri la borsa è salita in reazione ad un calo delle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione a 342.000 unità, e di una contrazione di appena lo 0.3% degli ordini di beni durevoli (meglio delle attese). Ciò ha portato alla convinzione che l’economia abbia appena evitato una recessione, o che perlomeno la stessa sarà piuttosto lieve. Se questo scenario si concretizzasse la Fed non dovrebbe procedere oltre nel taglio dei tassi, o dovrebbe ridurli per l’ultima volta la prossima settimana.
Siamo quasi impressionati dal fatto che gli operatori di mercato alla fine hanno compreso che una Fed che in preda al panico taglia i tassi senza pensarci troppo, nel lungo periodo non è una soluzione ai problemi del mercato del credito e non ha fatto altro che condurre ad un dollaro debole e a commodities in rialzo. Come abbiamo commentato in un precedente rapporto, “Apparentemente, sembra che la Fed stia intervenendo ancora una volta in salvataggio del sistema, come ha fatto all’inizio del decennio. Il problema è che a fronte di questo comportamento il debito complessivo degli Stati Uniti (sia pubblico che privato) è cresciuto negli ultimi cinque anni fino a 49.000 miliardi di dollari, con quello del settore pubblico di poco inferiore agli 8.000 miliardi. Il debito generato dal settore privato è cresciuto ad un tale livello che la Fed ne ha perso il controllo. Infatti, ciò che la Fed sta facendo con questi tagli dei tassi e con le altre misure a sostegno della liquidità, è veicolare verso il basso il dollaro; e presto se ne renderanno conto anch’essi". Se si osservasse un grafico del debito complessivo in percentuale del PIL, ci si accorgerebbe che gli eccessi sono ancor più estremi che durante la Grande Depressione.
Ci piacerebbe condividere questa positività per il mercato azionario, ma nutriamo ancora alcuni timori. Crediamo che il calo delle richieste di sussidi di disoccupazione non rappresenti un indicatore affidabile del vigore dell’economia. Il motivo risiede nel fatto che le persone occupate, in rapporto all popolazione complessiva, alla fine della recessione del 2001 è stato il più basso registrato all’inizio di una ripresa in tutti i cicli economici del dopoguerra, con la sola eccezione della recessione del 1957. Se non si ha un recupero di occupati, probabilmente non si sperimenta un ingrossamento delle linee di assicurazione contro la disoccupazione. Gli ordini dei beni durevoli poi sono volatili ed è molto difficile enfatizzare un singolo dato mensile, specie quando esso non è particolarmente forte.
Il settore su cui ci concentreremmo resta quello delle case, e in particolare sull’impatto del declino delle quotazioni sull’economia reale. Va ricordato che questo aspetto impatta sulla psicologia dei consumatori più di qualunque altro elemento. In passato abbiamo previsto che il settore immobiliare sarebbe stato il catalizzatore di un bear market deflazionistico e della recessione che ancora ci aspettiamo. E i dati del settore di questa settimana non è che siano stati particolarmente incoraggianti: Banc of America ha visto gli utili netti crollare del 77% a causa di perdite sul fronte dei mutui ipotecari, e la società ha fornito stime deprimenti per il resto dell’anno. Le azioni di Ambac sono crollate del 43% a 3.46 dollari dopo la pubblicazione di una perdita di 1.66 miliardi – pari a 11.69 dollari per azione – nel primo trimestre. Ma la sorpresa più grande è giunta dalla previsione di perdite per un miliardo di dollari dai titoli collegati ai mutui. E i pignoramenti in California sono balzati del 130% nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
All’inizio della settimana la National Association of Realtors ha riportato che le vendite a marzo sono calate del 2% a 4.93 milioni di unità, mentre i prezzi sono risultati in calo del 7.7% rispetto ad un anno fa. Si tratta del secondo peggior ribasso annuale della storia dopo il -8.4% di febbraio. Gli inventari sono saliti del 3.1% a 9.9 mesi di fornitura. Le notizie di ieri sono state anche peggiori: le vendite di nuove abitazioni sono precipitate al livello più basso degli ultimi 16 anni e mezzo, e i prezzi sono scesi dell’entità più consistente degli ultimi 38 anni. Il Commerce Department ha reso noto che la vendita di nuove case è stata pari a 536.000 unità il mese scorso, e che il prezzo mediano a marzo è sceso del 13.3% rispetto ad un anno fa a 227.600 dollari. Forse siamo rimasti gli unici a credere che dopo un rialzo dell’85% delle quotazioni immobiliari dal 2000 al 2006, sia inevitabile che i prezzi si sgonfino al punto da incidere sull’economia e sulla borsa.
E nel frattempo, lo S&P500 non ha ancora superato il trading range, e ha terminato la seduta in calo rispetto ai massimi.