■ RISTORNI E DINTORNI
GRAZIE, MA ABBIAMO GIÀ DATO
di GIOVANNI GALLI
Il Ticino ha pagato per tutta la Svizzera, sull'arco di quasi quarant'anni, il prezzo della tutela del segreto bancario con l'Italia.
Negli anni Settanta, l'aliquota di ristorno del 40% (poi ridotta all'attuale 38,8%) sul reddito del lavoro dei frontalieri era stata fissata ad un livello più alto rispetto a quelle previste per Germania e Austria proprio come contropartita per la «pace» sul fronte dello scambio di informazioni. È un dato che bisogna tenere presente ora che il Cantone si appresta ad essere coinvolto nei negoziati fiscali tra la Confederazione e l'Italia. Per il Ticino si apre una partita difficile e a più livelli. Il primo lo vedrà partecipe, al fianco della Confederazione, delle trattative a tutto campo, che comprenderanno l'accordo fiscale sul modello delle intese già sottoscritte con altri Paesi europei per regolarizzare i patrimoni degli evasori, l'accesso ai mercati finanziari, le black list italiane e, appunto, la revisione dell'accordo sull'imposizione dei frontalieri, che è parte integrante della convenzione sulla doppia imposizione.
Il secondo livello è invece quello dei rapporti con la Confederazione, perché il Cantone, compatibilmente con gli interessi nazionali preminenti, dovrà cercare di difendere anche le sue prerogative. Se la prima partita si gioca innanzitutto sul piano diplomatico, la seconda è esclusivamente di natura politica interna e rientra nel solco dell'iniziativa cantonale sui ristorni, tuttora sotto esame alle Camere.
L'iniziativa sembra avviata su un binario morto, perché a differenza del Nazionale gli Stati non intendono affrontare la questione in termini perentori, ma contiene una proposta di compensazione pecuniaria a vantaggio del Ticino che sarebbe più che giustificato non lasciar cadere. Un nuovo accordo sui frontalieri tramite l'attenuazione dell'aliquota di ristorno, ben inteso, è solo una variabile secondaria di una trattativa tesa a trovare soluzioni in ambiti decisamente più importanti per gli interessi del Cantone.
Prioritari sono la ricerca di una convenzione bilaterale sulla tassazione dei capitali non dichiarati, dalla quale - sempre che i termini siano accettabili e non si traducano nella classica zappa sui piedi - potrebbe dipendere il futuro della piazza finanziaria, così come la cancellazione della Svizzera dalle «black list» fiscali, che penalizzano le società industriali e commerciali e rappresentano di fatto un barriera protezionistica.
Preso a sé stante, il tema dei ristorni ha un'importanza relativa, ma potrebbe diventare oggetto di una trattativa molto più articolata e complessa, con la richiesta da parte italiana di un miglior scambio di informazioni fiscali.
Ci sono fondate ragioni per rivederlo e attualizzarlo. L'aliquota attuale del 38,8% è giudicata troppo alta dal Ticino che tramite l'iniziativa cantonale ha formalmente chiesto a Berna di rinegoziarla con l'obiettivo di portarla al 12,5%, analogamente a quanto viene fatto con l'Austria. Con l'entrata in vigore dell'accordo bilaterale sulla libera circolazione è caduto l'obbligo di rientro giornaliero dei frontalieri a domicilio.
È presumibile che il numero di queste persone sia aumentato dal 1985 (data dell'ultima revisione dell'accordo sui ristorni) ad oggi, legittimando una riduzione dell'aliquota. Sul tappeto c'è anche la questione della mancata reciprocità, che impedisce a diversi Comuni ticinesi di incassare le imposte sui redditi dei contribuenti residenti in territorio elvetico che lavorano oltre confine. Svizzera e Italia potrebbero anche decidere di modificare radicalmente i termini dell'intesa.
Oggi i ristorni vengono calcolati sui frontalieri che provengono da una fascia di confine delimitata (20 km). Per quei lavoratori che provengono da più lontano il Cantone incassa senza riversare nulla. Sul tavolo c'è anche l'ipotesi di togliere questo limite, che si tradurrebbe in un aumento della base impositiva (sono circa tremila, ed in continuo aumento, i frontalieri che vengono da lontano), da temperare tramite un'aliquota di riversamento più bassa. Per l'Austria è prevista sì un'aliquota del 12,5%, ma i ristorni concernono tutti gli austriaci che vengono a lavorare in Svizzera, non solo quelli dei Comuni di confine. Si può quindi presumere che ci sarà un confronto serrato anche su questi aspetti, con l'Italia che cercherà di spuntare un'aliquota più alta possibile e la Svizzera che invece cercherà di ridurla.
Indipendentemente dalla soluzione che sarà trovata, è importante che il Ticino non venga più penalizzato, o attraverso una congrua riduzione dell'aliquota di ristorno o evitando che il Cantone continui a pagare per tutti. Sacrificare le rivendicazioni in fatto di ristorni sull'altare di un accordo complessivo (purché vantaggioso) in ambito fiscale ci potrebbe anche stare; ma in questo caso, nel solco dell'iniziativa cantonale, è importante tenere alta la guardia affinché la Confederazione compensi al Cantone le eventuali concessioni fatte all'Italia in nome dell'interesse generale. In altre parole «abbiamo già dato».
cdt,oggi