Tagli 2011: I politici fanno causa allo stato

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ordine 11.110
Mentre la borsa crolla e l'economia muore, i politici pensano alla penzione :lol::lol::lol::lol::lol:



LE PENSIONI DEGLI ONOREVOLI / BOCCIA: STANNO FACENDO PAGARE TUTTO AI PIÙ GIOVANI
Vitalizi dei parlamentari, protesta bipartisan
L'idea: dimissioni prima che cambino le regole

E c'è l'ipotesi di fare causa allo Stato. Mazzocchi (Pdl): si può vincere, non si cambiano le regole in corsa



ROMA - «A me della pensione non frega niente, ma l'operazione deve iniziare dal 1945, perché chi propone i tagli è in Parlamento da decenni...». :lol: Contro il taglio dei vitalizi è rivolta bipartisan e, alla buvette di Montecitorio, Massimo Calearo dà voce alla rabbia dei colleghi. Ma intanto l'onorevole Antonio Borghesi dell'Idv lancia un sasso nelle acque già agitate della polemica: «Più che una mannaia questa riforma è un temperino, che nell'immediato rischia di costare più di prima ai contribuenti». :lol: Sì, perché dai calcoli del vice capogruppo dipietrista la quota di contributi a carico della Camera costerà qualcosa come 25 milioni l'anno «a carico del Parlamento».

La sforbiciata non è ancora deliberata, ma la Casta protesta. I più furiosi contro la decisione di Fini e Schifani di alzare l'età pensionabile e passare al sistema contributivo, sono quei parlamentari che hanno digerito a fatica l'arrivo del governo tecnico. E dunque ex An ed ex forzisti della prima ora. Ma anche i democratici sono in subbuglio, tanto che Dario Franceschini stoppa la tentazione di chi medita di dimettersi per non rinviare la pensione: «Se qualcuno pensa di ricorrere a una furbizia del genere, basta che l'Aula gli respinga le dimissioni». :lol:

Eppure il tema dell'addio di massa dal Parlamento ha tenuto banco per tutto il giorno, tra Camera e Senato. Renzo Lusetti, ex pd ora nell'Udc: «Non lo farò, ma a me, che ho 53 anni, converrebbe lasciare lo scranno oggi stesso, altrimenti il vitalizio lo prenderò a 60 anni». :lol: Molti studiano il modo di presentare ricorso e secondo il questore Antonio Mazzocchi, avvocato e deputato del Pdl, con buone speranze di spuntarla: «Se le regole cambiano in corsa e un deputato fa causa allo Stato, credo che possa vincere». Alle 11,30 la questione verrà discussa in un vertice tra i questori e i rappresentanti dei partiti, deputati esperti di previdenza come Cazzola (Pdl), Gnecchi (Pd) e Galletti (Udc). Sarà battaglia, c'è da giurarci. «Mazzocchi parla a titolo personale - prende le distanze il questore Gabriele Albonetti, del Pd -. Alla riunione con Fini, Schifani e il ministro Fornero, anche lui ha dato il suo assenso. L'innalzamento dell'età e il contributivo sono decisioni prese e indietro non si torna».

Alessandra Mussolini, del Pdl, è pronta ai sacrifici, se prima però i membri del governo Monti «forniscono informazioni sui loro conflitti di interessi». :) Francesco Boccia, del Pd, si scaglia contro le «discriminazioni» dei più giovani: «Siamo furibondi. Fini e Schifani non pensino di fare questa operazione sulla testa delle nuove generazioni». :D Sono in ansia i deputati di lungo corso e lo sono soprattutto i nuovi eletti, perché con il contributivo il loro vitalizio è destinato a ridursi. Mario Pepe, ex Popolo e territorio, è fuori di sé: «Ridurre deputati e senatori alla fame vuol dire rendere il Parlamento schiavo dei poteri forti». Alla fame, onorevole? «Sì, perché se a uno come Bertinotti gli togliete il vitalizio, cosa gli resta?». Parole grosse, che però rendono il clima. Al Senato c'è una fronda di irriducibili. Una riunione dei capigruppo che doveva finire a tempo di record è durata due ore e mezzo, perché gli animi erano arroventati per via dei vitalizi. Luigi Lusi, del Pd, è intervenuto contro la «giungla previdenziale» e ha proposto la creazione di un apposito fondo, che riguardi «tutti gli organi costituzionali». Oltre ai parlamentari, quindi, anche i ministri e i sottosegretari.


Monica Guerzoni Vitalizi dei parlamentari, protesta bipartisan L'idea: dimissioni prima che cambino le regole - Corriere della Sera
1 dicembre 2011 | 7:30
 
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A Montecitorio lo stipendio medio annuo è di 131 mila euro

Pensioni, i privilegi nei palazzi del potere

I vantaggi dei dipendenti di Camera, Senato e Quirinale
rimasti quasi immutati


A Montecitorio lo stipendio medio annuo è di 131 mila euro
Pensioni, i privilegi nei palazzi del potere
I vantaggi dei dipendenti di Camera, Senato e Quirinale
rimasti quasi immutati

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Non ci provino, a distinguere ancora figli e figliastri. Non ci provino
, a toccare le pensioni degli italiani senza toccare prima (prima!) quelle dei dipendenti dei palazzi della politica o della Regione Sicilia. Un cittadino non può accettare di andare in pensione un paio di decenni dopo chi ancora può lasciare con 20 anni d'anzianità. Non solo non sarebbe equo ma, di questi tempi, sarebbe un insulto.
Che esistono qua e là staterelli dai privilegi inaccettabili non lo dicono i soliti bastian contrari. Lo dice, per la Sicilia, lo stesso procuratore generale della Corte dei Conti isolana, Giovanni Coppola, nell'ultima relazione: «L'opinione pubblica non comprende perché in Sicilia i dipendenti regionali possano andare in pensione con soli 25 anni di contribuzioni, o addirittura con 20 anni se donne, solo per il fatto di avere un parente gravemente disabile, mentre lo stesso non avviene nel resto d'Italia».
Errore: anche meno. Come nel caso dell'ispettore capo dei forestali Totò Barbitta di Galati Mamertino, che riscattando dei contributi precedenti, il 1 gennaio 2009 (ma da allora la legge non è cambiata) se n'è andato quarantacinquenne, dopo 16 anni, 10 mesi e 30 giorni. La previdenza, visto «il lavoro usurante», regala ai forestali siciliani un anno ogni cinque di servizio. Diceva di dover accudire un parente affetto da grave handicap: avuto il vitalizio, è partito per la Germania. Stracciato comunque, per età, dal record di Giovannella Scifo, una dipendente dell'ufficio collocamento di Modica (Ragusa) in quiescenza a 40 anni. «Non le pare esagerato?», le ha chiesto Antonio Rossitto di « Panorama». E lei, serafica: «Non le posso rispondere. C'è la privacy».
Fatto sta che, spiega la Corte dei conti, su 751 «regionali» andati nel 2010 in pensione 297 hanno lasciato in anticipo «rispetto all'ordinaria anzianità anagrafica e/o contributiva e, tra questi, ben 286 con le agevolazioni della legge 104/1992 che tanto ha fatto discutere per l'incomprensibile disallineamento rispetto alla normativa nazionale».
Fatto sta che, spiegava giorni fa sul Giornale di Sicilia Giacinto Pipitone, se è vero che nel 2004 la riforma Dini passò, con nove anni di ritardo, anche per i dipendenti pubblici siciliani, l'adeguamento non è mai stato varato per chi ha avuto la «fortuna» di essere assunto dalla Regione. Basti dire che «chi a livello statale ha ancora oggi quote di pensione da incassare col retributivo, fa il calcolo sulla media delle buste paga degli ultimi anni di servizio. I regionali calcolano invece la loro quota di retributivo sulla base dell'ultima busta paga incassata al momento di lasciare gli uffici: sfruttano quindi fino all'ultimo gli aumenti e i vari scatti di carriera». Conclusione? Risposta dei giudici contabili: «Nel 2010 i contributi versati sono diminuiti del 17% riuscendo a coprire appena il 32,2% della spesa».
Non basta: «lo stesso sistema più vantaggioso si applica anche sul calcolo della buonuscita. Per la maggior parte dei regionali viene calcolata moltiplicando il valore dell'ultimo stipendio». Risultato? Scrive Antonio Fraschilla: i direttori generali «vanno in pensione incassando un assegno medio di 420.133 euro, come certificato dalla Corte dei Conti, anche se hanno ricoperto l'incarico solo negli ultimi mesi della loro carriera».
Lo ricordino, Mario Monti ed Elsa Fornero: se non obbligano la Sicilia a eliminare immediatamente questi bubboni ogni loro sforzo per spiegare che la crisi planetaria è così grave da obbligare a pesantissimi sacrifici sarà inutile. Peggio: grottesco. Vale per i privilegi dei dipendenti regionali siculi, vale per quelli degli organi istituzionali.
Certo, al Senato non godono più dello stupefacente dono che fino a qualche anno fa veniva fatto da ogni presidente che, andandosene, regalava loro, a spese dei cittadini, due anni di anzianità. Ma ci sono ancora, a Palazzo Madama, persone che, assunte prima del 1998, possono andare in pensione prima di tutti gli altri italiani, a cinquant'anni o poco più, godendo anche di quella regalia. È giusto? È un diritto acquisito e quindi intoccabile anche quello?
È accettabile che, 16 anni dopo la riforma Dini, nonostante i ritocchi, non ci sia ancora un dipendente del Senato (quelli arrivati dopo il 2007 possono andarsene con qualche penalità ancora a 57 anni) che accantoni la pensione col sistema contributivo? Così risulta: dato che dal 2007 non è entrato alcuno, i primi soggetti al «contributivo» (peraltro maggiorato con un «aiutino» intorno al 18%) dovrebbero essere sette funzionari in arrivo nel 2012. Come possono capire, gli italiani, che quei fortunati godano di 15 mensilità calcolate sul 90% dell'ultima retribuzione e trasmesse intatte al 90% alla vedova se ha figli minori di 21 anni? Ma non basta ancora: nonostante le polemiche seguite alle denunce del passato come quella dell'«Espresso» che quattro anni fa rivelò che al Senato uno stenografo arrivava a 254 mila euro l'anno e un barbiere a 133 mila, le retribuzioni sono cresciute ancora dal 2006, in questi anni neri, del 19,1%. Arrivando a un lordo medio pro capite di 137.525 euro. Centodiecimila più di un dipendente medio italiano, il quadruplo di un addetto della Camera inglese (38.952) e addirittura 19 mila più della busta paga dei 21 collaboratori principali di Obama, che dalla consigliera diplomatica Valerie Jarrett al capo dello staff William Daley, prendono al massimo (trasparenza totale: gli stipendi dei dipendenti, nome per nome, sono sul sito della Casa Bianca) 118.500 euro. Lordi.
Sia chiaro: Palazzo Madama può contare su collaboratori, dai vertici fino agli operai, di eccellenza. Sui quali sarebbe ingiusto maramaldeggiare demagogicamente. Loro stessi, però, discutendo del loro futuro con l'apposita commissione presieduta da Rosi Mauro (sindacati di là, una sindacalista di qua) non possono non rendersene conto: di questi tempi, la loro trincea con tre liquidazioni (una interna, una dell'Inpdap, una del «Conto assicurativo individuale») e le due pensioni (una del Senato e ora ancora dell'Inpdap) è indifendibile. Tanto più che anche nel loro caso, il peso delle pensioni sui bilanci è cresciuto in modo spropositato.
Vale per Palazzo Madama, vale per il Quirinale dove troppo tardi la presidenza ha introdotto «misure dissuasive» con la previsione di «significative riduzioni» dei trattamenti pensionistici come un limite per l'anzianità «a regime» (campa cavallo...) di 60 anni con 35 di contributi (da leccarsi i baffi...), vale per Montecitorio, dove lo stipendio lordo è poco più basso che al Senato: 131.586 euro. Con tutto ciò che ne consegue sulle pensioni. Non sarà facile rompere certe incrostazioni. Verissimo. Ma è troppo facile far la faccia dura solo con i piccoli...
Gian Antonio Stella
 
I COSTI DELLA POLITICA

Un mandato da 14 mila euro al mese

Tra rimborsi e benefit, deputati e senatori italiani
superano la media Ue


I COSTI DELLA POLITICA
Un mandato da 14 mila euro al mese
Tra rimborsi e benefit, deputati e senatori italiani
superano la media Ue

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(foto Liverani)
ROMA
- Quanto guadagnano i parlamentari italiani? Dopo le piccole riduzioni applicate a fine settembre scorso, per quanto riguarda i deputati lo stipendio base, che viene indicato come indennità, ammonta a 5.246,97 euro netti al mese, che scendono a 5.007,36 per chi svolge un'altra attività lavorativa. Se poi il deputato versa la quota aggiuntiva per la reversibilità dell'assegno vitalizio (cioè per far percepire il trattamento al proprio coniuge in caso di morte), allora l'indennità netta scende rispettivamente a 4.995,34 e a 4.755,73 euro. Questi importi non conteggiano le tasse locali, che mediamente incidono per circa 250 euro al mese. È prevista poi una riduzione del 10% per la parte del reddito che supera i 90 mila euro lordi all'anno e del 20% sopra i 150 mila euro.

E questa è solo l'indennità. Perché poi ci sono altre voci che fanno lievitare la busta paga. Ogni deputato infatti percepisce una diaria mensile pari a 3.501,11 euro netti, anche se tale somma viene decurtata di 206,58 euro per ogni giorno di assenza nelle sedute di assemblea con votazione elettronica. Per scongiurare però la decurtazione, è sufficiente partecipare al 30% delle votazioni effettuate nell'arco della giornata.
Non finisce qui. Come recita il sito della Camera, «a titolo di rimborso forfetario per le spese inerenti al rapporto fra eletti ed elettori, al deputato è attribuita una somma mensile erogata tramite il gruppo parlamentare». E cioè altri 3.690 euro netti al mese.

In compenso, «ai deputati non è riconosciuto alcun rimborso per le spese postali a decorrere dal 1990». Già. Ma l'elenco dei rimborsi resta comunque sostanzioso: non solo i deputati usufruiscono di tessere per autostrade, ferrovie, traghetti e voli nazionali, ma incassano 1.107,9 euro al mese per i trasferimenti da casa o dal Parlamento agli aeroporti, cifra che sale 1.331,60 euro se la residenza dista a più di 100 chilometri da un aeroporto. Ancora, ci sono 258,22 euro al mese di spese di telefono. E poi assistenza sanitaria estendibile ai familiari. E per chiudere in bellezza la legislatura, la ricca liquidazione: un assegno di circa 9.600 euro per ogni anno (o frazione di anno non inferiore ai sei mesi) di mandato effettivo, seguito dal vitalizio. Tirando le somme, in busta paga l'importo base per un deputato sfiora i 14 mila euro al mese, più i benefit. A queste voci si aggiungono altre indennità e vantaggi per una nutrita pattuglia di onorevoli. Il presidente della Camera, i suoi quattro vice, i tre questori e i 14 presidenti delle Commissioni permanenti, hanno diritto non solo alla macchina con autista, ma anche a indennità aggiuntive che oscillano fra gli 800 e i 5 mila euro netti al mese. Per le cariche più alte c'è anche l'appartamento di servizio. Per i presidenti delle numerose altre commissioni e per i 28 vicepresidenti di quelle permanenti, invece, niente auto blu, ma «solo» l'indennità supplementare.
Il trattamento riservato ai senatori è addirittura migliore. La somma complessiva delle varie voci, fra indennità e rimborsi, può superare i 14 mila euro. E in più le facilitazioni (cioè tessere gratuite) per autostrade, treni, traghetti e voli nazionali, continuano a valere per i dieci anni successivi alla fine del mandato.

E rispetto ai colleghi europei? Il confronto è solo indicativo, perché indennità e rimborsi vengono erogati secondo criteri differenti. In ogni caso, facendo il raffronto delle retribuzioni legate alle voci fisse, i parlamentari italiani percepiscono in media 11.700 euro netti al mese, mentre la media dell'area euro è di 5.339 euro. I parlamentari austriaci incassano 8.882 euro al mese, gli olandesi 7.177, i tedeschi 7.009, i francesi 6.892, gli irlandesi 6.839 e via via a scendere gli altri, con una differenza: in molti Paesi ci sono da aggiungere a queste voci i rimborsi, ma solo per le spese realmente effettuate. In Italia i rimborsi invece sono diventati parte dello stipendio con un regime forfettario che in molti casi non richiede giustificativi delle spese sostenute.


Paolo Foschi
[email protected]
 
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LE PENSIONI DEGLI ONOREVOLI / BOCCIA: STANNO FACENDO PAGARE TUTTO AI PIÙ GIOVANI
Vitalizi dei parlamentari, protesta bipartisan
L'idea: dimissioni prima che cambino le regole

E c'è l'ipotesi di fare causa allo Stato. Mazzocchi (Pdl): si può vincere, non si cambiano le regole in corsa



ROMA - «A me della pensione non frega niente, ma l'operazione deve iniziare dal 1945, perché chi propone i tagli è in Parlamento da decenni...». :lol: Contro il taglio dei vitalizi è rivolta bipartisan e, alla buvette di Montecitorio, Massimo Calearo dà voce alla rabbia dei colleghi. Ma intanto l'onorevole Antonio Borghesi dell'Idv lancia un sasso nelle acque già agitate della polemica: «Più che una mannaia questa riforma è un temperino, che nell'immediato rischia di costare più di prima ai contribuenti». :lol: Sì, perché dai calcoli del vice capogruppo dipietrista la quota di contributi a carico della Camera costerà qualcosa come 25 milioni l'anno «a carico del Parlamento».

La sforbiciata non è ancora deliberata, ma la Casta protesta. I più furiosi contro la decisione di Fini e Schifani di alzare l'età pensionabile e passare al sistema contributivo, sono quei parlamentari che hanno digerito a fatica l'arrivo del governo tecnico. E dunque ex An ed ex forzisti della prima ora. Ma anche i democratici sono in subbuglio, tanto che Dario Franceschini stoppa la tentazione di chi medita di dimettersi per non rinviare la pensione: «Se qualcuno pensa di ricorrere a una furbizia del genere, basta che l'Aula gli respinga le dimissioni». :lol:

Eppure il tema dell'addio di massa dal Parlamento ha tenuto banco per tutto il giorno, tra Camera e Senato. Renzo Lusetti, ex pd ora nell'Udc: «Non lo farò, ma a me, che ho 53 anni, converrebbe lasciare lo scranno oggi stesso, altrimenti il vitalizio lo prenderò a 60 anni». :lol: Molti studiano il modo di presentare ricorso e secondo il questore Antonio Mazzocchi, avvocato e deputato del Pdl, con buone speranze di spuntarla: «Se le regole cambiano in corsa e un deputato fa causa allo Stato, credo che possa vincere». Alle 11,30 la questione verrà discussa in un vertice tra i questori e i rappresentanti dei partiti, deputati esperti di previdenza come Cazzola (Pdl), Gnecchi (Pd) e Galletti (Udc). Sarà battaglia, c'è da giurarci. «Mazzocchi parla a titolo personale - prende le distanze il questore Gabriele Albonetti, del Pd -. Alla riunione con Fini, Schifani e il ministro Fornero, anche lui ha dato il suo assenso. L'innalzamento dell'età e il contributivo sono decisioni prese e indietro non si torna».

Alessandra Mussolini, del Pdl, è pronta ai sacrifici, se prima però i membri del governo Monti «forniscono informazioni sui loro conflitti di interessi». :) Francesco Boccia, del Pd, si scaglia contro le «discriminazioni» dei più giovani: «Siamo furibondi. Fini e Schifani non pensino di fare questa operazione sulla testa delle nuove generazioni». :D Sono in ansia i deputati di lungo corso e lo sono soprattutto i nuovi eletti, perché con il contributivo il loro vitalizio è destinato a ridursi. Mario Pepe, ex Popolo e territorio, è fuori di sé: «Ridurre deputati e senatori alla fame vuol dire rendere il Parlamento schiavo dei poteri forti». Alla fame, onorevole? «Sì, perché se a uno come Bertinotti gli togliete il vitalizio, cosa gli resta?». Parole grosse, che però rendono il clima. Al Senato c'è una fronda di irriducibili. Una riunione dei capigruppo che doveva finire a tempo di record è durata due ore e mezzo, perché gli animi erano arroventati per via dei vitalizi. Luigi Lusi, del Pd, è intervenuto contro la «giungla previdenziale» e ha proposto la creazione di un apposito fondo, che riguardi «tutti gli organi costituzionali». Oltre ai parlamentari, quindi, anche i ministri e i sottosegretari.


Monica Guerzoni Vitalizi dei parlamentari, protesta bipartisan L'idea: dimissioni prima che cambino le regole - Corriere della Sera
1 dicembre 2011 | 7:30
ok se andiamo ad elezione la metà di loro non sarà confermata e quelli che non hanno una legislatura completa si scordino la pensione parlamentare... perdono il diritto a riceverla

basta che si decida di andare alle elezioni il 2 gennaio e sono fregati

sono dei gran figli di....

delle pensioni minime non gliene frega nulla

ma tocca i loro soldoni e vedi che succede

dal 1 di gennaio poi dovrebbe essere apllicata la decuratzione dell'indennità parlamentare e resa più simile a quella di tutti i politici europei

NOI ITALIANI SIAMO STUFI DI FAR DEBITI PER MANTENERE UNA CLASSE POLITICA COSì NUMEROSA E CORROTTA
 
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Tagli stipendi parlamentari, la casta si ribella; Fini e Schifani rassicurano, si farà - Notizie Investireoggi.it

La verità di un Parlamento che non vuole rinunciare ai propri privilegi

Un emendamento alla manovra Monti per salvare i loro stipendi – Il parlamento italiano, con la scusa della propria autonomia, cerca di prendere tempo, e di salvare qualche altro stipendio da un taglio che prima o poi comunque ci sarà. La strada scelta è quella dell’emendamento, che rimanda tali tagli, in attesa della relazione del presidente dell’Istat.
Per Massimo Corsaro, vice capogruppo del Pdl alla Camera “i tagli agli stipendi dei deputati possono aspettare”.
Viene la nausea a leggere queste dichiarazioni.
Si cercano tutte le scuse, tutti i cavilli, pur di raschiare ancora qualcosa, pur di salvare qualche altra decina di migliaia di euro a testa.
La casta è palesemente senza vergogna (ma quando mai ha avuto e mostrato vergogna?), nel cercare di tutelare se stessa persino in questo momento in cui chiede sacrifici ai cittadini, fa pagare ai lavoratori e ai pensionati, alle imprese e alle famiglie, il costo del risanamento.
Per Antonio Borghesi, vice capogruppo Idv alla Camera, “è proprio la politica che dovrebbe dare il buon esempio e rinunciare ai propri privilegi in un momento difficile per tutto il Paese. È proprio da questo atteggiamento di autotutela che nasce l’indignazione popolare ed il sentimento dell’ antipolitica, che allontana i cittadini dalla vita pubblica. È stata scritta una brutta pagina, ma l’Italia dei Valori non demorde e continuerà questa battaglia di trasparenza e di giustizia sociale a nome di tutti i cittadini che sono stanchi di essere presi in giro”.

Per Fini e Schifani la norma era scritta male - Nella nota dei due presidenti delle Camere “la norma era scritta male perché non è possibile intervenire sulla materia per decreto. Questo argomento è prerogativa delle Camere e il Parlamento valuterà adeguatamente. Escludo un’azione di contrasto tra Parlamento e governo su questo argomento“. Pur riconoscendo ai due presidenti un comportamento spesso esemplare, questa volta è palese il tentativo di coprire con un velo pietoso lo spettacolo indecoroso di questo Parlamento. Un velo che invece è giusto dissipare con coraggio.
 
Tagli stipendi parlamentari, la casta si ribella; Fini e Schifani rassicurano, si farà - Notizie Investireoggi.it

La verità di un Parlamento che non vuole rinunciare ai propri privilegi

Un emendamento alla manovra Monti per salvare i loro stipendi – Il parlamento italiano, con la scusa della propria autonomia, cerca di prendere tempo, e di salvare qualche altro stipendio da un taglio che prima o poi comunque ci sarà. La strada scelta è quella dell’emendamento, che rimanda tali tagli, in attesa della relazione del presidente dell’Istat.
Per Massimo Corsaro, vice capogruppo del Pdl alla Camera “i tagli agli stipendi dei deputati possono aspettare”.
Viene la nausea a leggere queste dichiarazioni.

Si cercano tutte le scuse, tutti i cavilli, pur di raschiare ancora qualcosa, pur di salvare qualche altra decina di migliaia di euro a testa.
La casta è palesemente senza vergogna (ma quando mai ha avuto e mostrato vergogna?), nel cercare di tutelare se stessa persino in questo momento in cui chiede sacrifici ai cittadini, fa pagare ai lavoratori e ai pensionati, alle imprese e alle famiglie, il costo del risanamento.
Per Antonio Borghesi, vice capogruppo Idv alla Camera, “è proprio la politica che dovrebbe dare il buon esempio e rinunciare ai propri privilegi in un momento difficile per tutto il Paese. È proprio da questo atteggiamento di autotutela che nasce l’indignazione popolare ed il sentimento dell’ antipolitica, che allontana i cittadini dalla vita pubblica. È stata scritta una brutta pagina, ma l’Italia dei Valori non demorde e continuerà questa battaglia di trasparenza e di giustizia sociale a nome di tutti i cittadini che sono stanchi di essere presi in giro”.

Per Fini e Schifani la norma era scritta male - Nella nota dei due presidenti delle Camere “la norma era scritta male perché non è possibile intervenire sulla materia per decreto. Questo argomento è prerogativa delle Camere e il Parlamento valuterà adeguatamente. Escludo un’azione di contrasto tra Parlamento e governo su questo argomento“. Pur riconoscendo ai due presidenti un comportamento spesso esemplare, questa volta è palese il tentativo di coprire con un velo pietoso lo spettacolo indecoroso di questo Parlamento. Un velo che invece è giusto dissipare con coraggio.

si dovrebbe avere il pelo sullo stomaco e avere il coraggio di andare a prenderi a casa
e sgozzarli
uno per uno
 
io propongo la decimazione

da ripetersi secondo necessità finchè il numero complessivo di deputati e senatori (a vita compresi) non sia sceso sotto 250

e la prossima volta per evitare la necessità di altri bagni di sangue eleggiamone un quarto di adesso, più che sufficienti per mandarci in malora ugualmente
 

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