La grande immoderazione: come la FED ha piantato i semi della prossima recessione
Di
Francesco Simoncelli , il 15 maggio 2015
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di
David Stockman
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http://davidstockmanscontracorner.c...ion-how-the-fed-is-sowing-the-next-recession/
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Nel febbraio 2004 Ben Bernanke dichiarò che il ciclo economico era stata domato e si inchinò davanti alla gestione monetaria illuminata, sostenendo che fosse la fonte principale di questo sviluppo benefico. Esattamente 55 mesi più tardi terrorizzò la leadership del Congresso e il Presidente con la sua spaventosa previsione: una Grande Depressione 2.0 era proprio dietro l’angolo.
Quanto al motivo per cui si sbagliasse, Bernanke non l’ha mai detto. Né ha spiegato perché l’economia statunitense, ormai “stabile”, fosse improvvisamente arrivata sul bordo di un abisso, nonostante la stampa di denaro energetica da parte della FED; il suo bilancio era cresciuto di $150 miliardi all’anno, o quasi il 4.5%, tra il febbraio 2004 e il fallimento della Lehman Brothers.
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Infatti sei anni e mezzo dopo la crisi finanziaria — evento che ha sminuito la Grande Moderazione — il politburo monetario e i suoi accoliti a Wall Street non hanno offerto alcuna spiegazione coerente sul perché si profilasse l’Armageddon e il peggior ciclo economico sin dagli anni ’30. Ovviamente la loro blanda scusa recitava che “la regolamentazione prudenziale” aveva fallito.
Infatti qua sotto viene raffigurata la
crescita impressionante del debito delle famiglie nell’economia degli Stati Uniti tra i due eventi finanziari più importanti di questo secolo — il bust delle dotcom e la crisi Lehman. Le famiglie si sono letteralmente strafogate di prestiti durante tale periodo, tirando fuori
$3 miliardi dai MEW (mortgage equity withdrawal) sui loro bancomat, ovvero, l’equity delle case. Ma affermare che questa orgia di prestiti sia stata causata da un’insufficiente vigilanza bancaria è un insulto all’intelligenza. Si potrebbe dire allo stesso modo che il “contagio finanziario” che ha alimentato la crisi, è stato causato da una misteriosa cometa proveniente dallo spazio profondo!
In realtà, i $7,000 miliardi di nuovi prestiti alle famiglie durante tal periodo — o più di tutto il debito delle famiglie alla fine del secolo scorso — sono il risultato della politica della banca centrale. Sono stati i tassi della FED all’1% e gli azzardi nel mercato azionario che hanno innescato la frenesia nel mercato immobiliare e in quello dei mutui, nonostante nel febbraio 2004 Bernanke si pavoneggiasse decantando la sua abilità di gestione.
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Non avendo mai spiegato le cause della grande crisi finanziaria (GCF), o ammesso la sua complicità,
la FED ha comunque raddoppiato energicamente le stesse tossine monetarie che hanno causato l’ultima crisi.
Infatti, tra il crollo del settembre 2008 che Bernanke sosteneva non potesse accadere
e il crollo in agguato ancora oggi,
il bilancio della FED è salito del 4.5X, o ad un CAGR del 27%, per quasi sette anni consecutivi.
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Così è stata pienamente gonfiata la terza bolla finanziaria più grande di questo secolo. E ci sono molteplici segni che quello che abbiamo qui è una Grande Immoderazione — uno sviluppo funesto, e non benefico, per cui può essere indubbiamente incolpata la banca centrale.
In particolare, i dati di ieri sull’impennata del rapporto tra vendite all’ingrosso/inventari (
I/S ratio) non solo rappresentano un pugno allo stomaco della “velocità di fuga” per il quinto anno consecutivo; ci offrono informazioni cruciali su un
problema di cui la FED non ama parlare. Vale a dire, la questione della trasmissione della politica monetaria — o la via attraverso la quale le manipolazioni del tasso d’interesse, le espansioni di bilancio e l’orientamento verbale della FED raggiungono il sistema finanziario più ampio e la macroeconomia.
Il canale della trasmissione della politica monetaria è morto stecchito, perché l’economia degli Stati Uniti ha raggiunto una condizione di picco del debito. Ma dal momento che il drappello di keynesiani presso l’Eccles Building si rifiuta di riconoscere questo fatto e persiste nel voler perseguire un massiccio stimolo monetario, è stato scavato un nuovo canale di trasmissione da quello che una volta era un sistema finanziario sano.
Chiamatelo pure “canale privilegiato dei top manager per il mercato toro”.
Il fatto evidente, ma mai riconosciuto nel nostro mondo dominato dalle banche centrali, è che i top manager non gestiscono più le organizzazioni e le operazioni delle loro aziende;
la maggior parte di loro gestisce i prezzi azionari delle corporazioni e i propri programmi d’incentivazione.
Se volete qualche prova,
vi basta guardare alla situazione degli utili netti per le società nell’S&P 500. Fino al terzo trimestre 2014 hanno generato $945 miliardi di utili netti e hanno scaraventato il 95% di questa cifra, circa $895 miliardi, nel casinò di Wall Street
sotto forma di riacquisti di azioni e dividendi.
Alla luce di questi numeri mozzafiato, non credete che gli amministratori delegati abbiano in mente solo i prezzi delle azioni e i valori delle opzioni?
E’ ovvio che sia così, altrimenti non si spiegherebbe il numero successivo. Entro la fine dell’attuale trimestre, gli amministratori delegati e i consigli d’amministrazione avranno scaraventato
la somma impressionante di $4,000 miliardi in dividendi e riacquisti di azioni, o l’85% degli utili delle 500 società più grandi con sede in America sin dal marzo 2009.
La verità è che il nuovo canale di trasmissione della politica monetaria in quest’epoca di folle stampa di denaro, è stato scavato nel casinò di Wall Street.
E dopo le giganti bolle finanziarie e i bust di questo secolo — è evidente che questo nuovo canale di trasmissione sia decisamente pro-ciclico. Cioè, non attutisce il ciclo economico — lo amplifica e soprattutto ne incrementa le oscillazioni.
Come mostrato qui sotto, durante il periodo che ha preceduto la grande crisi finanziaria, è salita la quantità di denaro contante finita nel mercato azionario; e questo aumento riflette un’ampiezza di guadagno di gran lunga superiore al tasso di crescita degli utili in suddetto periodo. Ma subito dopo che l’indice S&P 500 raggiunse il picco a circa 1570 nell’ottobre del 2007, cominciò a scendere il livello dei riacquisti e dei dividendi — e poi crollarono durante la crisi finanziaria e la grande recessione del 2008-2009. Nell’ultimo trimestre del 2009 la quantità di denaro che veniva pompata nel mercato azionario era di soli $85 miliardi a trimestre, o solo un terzo rispetto al suo precedente picco.
Inutile dire che oggi la storia si sta ripetendo e il motivo non è difficile da intuire.
Nel terzo trimestre del 2009, quando l’economia avrebbe iniziato a rimbalzare, le società nell’S&P 500 distribuirono solo il 63% dei loro utili netti tra dividendi e riacquisti. Per contro, cinque anni più tardi, dopo un aumento del 200% dell’indice azionario, le società nell’S&P 500 hanno distribuito $234 miliardi rispetto ai $244 miliardi di utile netto.
Proprio così.
Lo scorso autunno i top manager erano preda di un sentimento rialzista tale che hanno distribuito il 96% dei guadagni agli avventori del casinò. A quanto pare i dirigenti aziendali americani risescono a pensare solo ai prezzi delle azioni e ai bonus.
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Inutile dire che quando evaporeranno le “offerte d’acquisto” sostenute dal nuovo canale della trasmissione monetaria, insieme ad esse evaporeranno anche i guadagni nel mercato azionario.
E, soprattutto, i punti del grafico utilizzati dai robo-trader e dai compratori durante i ribassi sono risultati inutili — causando il tipo di tonfo che si è verificato nel NASDAQ durante il marzo-aprile 2000 e quello dal crash della Lehman fino al marzo 2009.
Sfortunatamente questa storia non finisce qui.
Dopo ogni bust la FED ha reflazionato il mercato finanziario mediante il finanziamento dei carry trade e le massicce iniezioni di liquidità nei canyon di Wall Street, di conseguenza l’aumento incessante delle azioni non solo ha incentivato le ondate di riacquisto di azioni e il pagamento di dividendi spropositati sopra indicati, ma ha anche causato una secondo comportamento pro-ciclico (e altrettanto controproducente).
Vale a dire, poiché i dirigenti aziendali ossessionati dalla borsa sono diventati sempre più fiduciosi nei confronti del ciclo finanziario, si sono convinti che “questa volta le cose andranno diversamente” e tale mentalità ha infettato l’intero casinò. Di conseguenza i top manager hanno allentato progressivamente i cordoni della borsa aziendale e hanno permesso l’accumulo di lavoro e produzione in eccesso con l’aspettativa che l’economia reale avrebbe presto seguito il mercato azionario.
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Ad un certo punto, però, la realtà ha fatto il suo ingresso. Quando infine non si materializza il tanto aspettato boom di vendite, le aziende si ritrovano capacità in eccesso per quanto riguarda manodopera e prodotti — e vulnerabili a qualche evento sconvolgente, come il fallimento della Lehman, che innesca una forte liquidazione di questi eccessi.
Questo è in sostanza quello che sta emergendo negli attuali rapporti I/S. Come ha sottolineato Wolf Richter, all’improvviso abbiamo visto salire il rapporto I/S al livello dell’ottobre 2008.
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La Grande Recessione ha rappresentato in realtà una breve ma enorme liquidazione degli inventari che avevano raggiunto un picco di saturazione alla fine del 2007. Contrariamente a quanto diceva Bernanke, il tonfo del settembre 2008 non aveva nulla a che fare con una ricaduta verso la Grande Depressione e una spirale inarrestabile in un abisso economico.
Invece, spogliati dei loro entusiasmi rialzisti grazie al crollo dei loro prezzi azionari, i dirigenti aziendali hanno liquidato gli eccessi che si erano accumulati durante la corsa dei tori Greenspan/Bernanke.
Utilizzando i dati degli inventari all’ingrosso come
proxy, il grafico in basso mostra che negli 80 mesi dopo il fondo dell’aprile 2002, le scorte degli inventari sono aumentate di $165 miliardi, o quasi il 60%.
Ma nei 12 mesi dopo l’agosto del 2008 era stata liquidata quasi la metà di quanto accumulato fino a quel momento.
Poi si è avviato il lento processo di ricostruzione.
Inoltre, il rimbalzo del novembre 2009 non aveva praticamente nulla a che fare con la stampa il denaro della FED. Alla fine del 2009, quando si era conclusa la liquidazione delle scorte degli inventari, il credito a imprese e famiglie si stava ancora contraendo — l’unica cosa che la ZIRP poteva influenzare direttamente.
Detto in altro modo, dopo aver sperimentato una paura terrificante, i top manager avevano smaltito la sbornia e la ripresa era dovuta alla capacità rigenerativa del capitalismo, non alla velocità della stampante della banca centrale.
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I dati riguardo i lavori in eccesso sono quasi identici anche durante questo ciclo.
Tra il settembre 2008 e il settembre 2009, i top manager spaventati hanno liquidato in fretta e furia i lavori. In quei mesi, l’indagine del BLS — sebbene di dubbia natura — stimava una riduzione media di circa 600,000 posti di lavoro al mese. Eppure negli ultimi tre mesi del 2009 era già tutto finito:
il tasso di perdita dei posti di lavoro era calato a 100,000 al mese, fino a quando la manodopera in eccesso non era stata pienamente liquidata all’inizio del 2010.
Anche in questo caso la stampa di denaro non ha avuto nulla a che fare con il processo di pulizia e inversione.
A quel punto, infatti,
il capitalismo americano avrebbe potuto guarire sé stesso e iniziare una lunga marcia verso una crescita sostenibile e guadagni reali di ricchezza, ma il politburo monetario non voleva niente di tutto ciò.
Il resto è storia — che si ripete.
La FED e le altre banche centrali di tutto il mondo hanno fomentato una nuova e ancor più virulenta bolla finanziaria. I top manager sono andati ancora una volta su di giri e ancora una volta hanno permesso l’accumularsi di scorte in eccesso tra beni e lavori. Ecco perché il BLS continua a riportare creazioni di lavori ogni mese.
Ma tali lavori non sono la prova di una velocità di fuga, di una ripresa sostenibile o il nirvana keynesiano della piena occupazione permanente.
No, è solamente l’ennesimo scoppio della Grande Immoderazione. E sappiamo già che cosa accadrà dopo.
[*] traduzione di
Francesco Simoncelli:
Francesco Simoncelli's Freedonia