Le promesse di Berlusconi? Sono scritte sulla sabbia. Saranno cancellate dal primo colpo di vento. E oltretutto, anche se realizzate, non porterebbero al risultato che più interessa gli italiani e cioè uscire dalla crisi e avviare concrete prospettive di crescita e di sistemazione dignitosa per i giovani e per quanti vogliono lavorare, anche se di una certa età. Insomma la favola dei regali elargiti a piene mani dal principe rischia di tramutarsi in una prosecuzione dell’incubo del declino continuo del Paese.
Sia Berlusconi che la sinistra sbagliano a puntare tutte le carte sull’aumento immediato della domanda interna come ricetta per uscire dalla crisi. Ovviamente c’è anche un grave calo della domanda sia per consumi che per investimenti, ma il problema principale dell’economia italiana, quello che ha determinato la stagnazione che dura da oltre un decennio e che ora è sfociato in una grave recessione, è la perdita di competitività cioè il fatto che i nostri prodotti e i nostri servizi hanno prezzi elevati o non sono di qualità sufficiente ad attrarre i clienti. In questa situazione un incremento della domanda interna rischia di essere soddisfatto non dalla produzione nazionale, ma dalle importazioni lasciando immutate le prospettive di incremento occupazionale. In più se questo incremento di domanda dovesse essere fatto da un aumento del deficit pubblico o anche da un aumento della spesa coperto da nuove tasse sul patrimonio o sui consumi di lusso, si rischia di determinare una sfiducia degli investitori e quindi un aumento dei tassi d’interesse sia sui titoli di Stato che sul credito bancario, che in breve tempo vanificherebbe i pur scarsi benefici derivanti da una espansione della domanda interna.
La strada maestra è quella di concentrare le scarse risorse disponibili nell’aumentare la capacità competitiva delle nostre imprese, molte delle quali continuano a battersi con onore nei mercati di tutto il mondo, ma che con una nuova spinta competitiva potrebbero raggiungere migliori risultati. Questo cambierebbe le aspettative dei cittadini. Tornerebbe un po’ di fiducia sul futuro. I genitori sarebbero più tranquilli sull’avvenire dei loro figli. La fiducia darebbe una spinta ai consumi ora frenati - come ha messo in evidenza il Centro studi Confindustria - ben al di là della caduta del reddito, proprio a causa della incertezza sul futuro. È chiaro che in presenza di una ripresa della produzione avremmo ripercussioni positive sul salario e sulle possibilità di occupazione, cosa che darebbe una nuova spinta anche ai consumi interni e al recupero dell’artigianato e dei servizi.
Anche la riduzione delle tasse, a cominciare dall’Imu, sarà realisticamente possibile solo se sapremo fare le riforme necessarie ad incrementare la competitività e cioè tagliare gli sprechi pubblici (a cominciare dai costi della politica), riordinare la burocrazia, ridurre i costi dei servizi, fare le infrastrutture che servono a migliorare l’efficienza delle imprese (cosa diversa dai tanti lavori a pioggia proposti da Bersani), riformare la contrattazione e il diritto del lavoro.