Non è un boom, l’America sta soltanto rimbalzando 
kr ug man
 				 				 				
  			 				 	 					 					 L’economista Dean Baker ha ragione: il recente rialzo dell’economia Usa  non è un boom e i paragoni con gli anni 90 sono assurdi. È evidente però  che la crescita ha avuto uno scatto in avanti e l’opinione pubblica  sembra essersene accorta. Ma allora, cosa dire del non-boom di Obama? La  mia opinione è che quello che stiamo vedendo rispecchia in gran parte  il graduale llentamento dell’austerity. Gli Stati Uniti non hanno mai  avuto un piano di austerity dichiarato, come in Gran Bretagna, ma un bel  po’ di austerity c’è stata comunque, specialmente sotto forma di tagli  alla spesa per Stati ed enti locali. E anche se non c’è ancora stata una  ripresa della spesa, almeno la contrazione si è fermata. Ed è  importante rendersi conto che la realtà, con buona pace di tutti i  blateramenti sulla riforma sanitaria, la retorica anti-impresa del  presidente e il suo ateismo islamico keniano che stanno distruggendo le  imprese, è che il settore privato si è relativamente rafforzato sotto la  presidenza Obama. Da quando è entrato alla Casa Bianca sono stati  creati 6,7 milioni di posti di lavoro in più nel settore privato, contro  gli appena 3,1 milioni creati da George W. Bush allo stesso punto del  suo mandato. Ma sotto Bush era cresciuta anche l’occupazione nel settore  pubblico, di 1,2 milioni di posti di lavoro, mentre sotto Obama se ne  sono persi 600mila. Il punto è che l’andamento relativamente positivo  dell’occupazione nel settore privato è stato occultato dai tagli nel  settore pubblico: è il contrario di quanto si sente dire comunemente, ma  di questo non c'è da sorprendersi. E riguardo alle prospettive future?  Come ho sottolineato prima, gli investimenti delle imprese sono  relativamente alti. Gli investimenti residenziali invece dal 2006  rimangono su livelli molto bassi, e questo lascia intendere la presenza  di un accumulo di domanda repressa, che dovrebbe far sentire il suo peso  in presenza di un miglioramento del mercato del lavoro. È un elemento  di forza, ma oltre a questo c’è anche il basso livello del prezzo del  greggio, che in generale è una cosa positiva per l’economia. el  complesso, insomma, i prossimi due anni andranno abbastanza bene. Questo  non significa che la politica economica nel suo insieme sia stata  efficace: abbiamo sprecato migliaia di miliardi di dollari di produzione  potenziale e peggiorato la vita di milioni, se non addirittura decine  di milioni di individui. Ma la situazione sarà ben più rosea che negli  anni precedenti. 					
  				
  				  					 						Mosca nel Texas 					
  					 						Beh, insomma, non proprio alla lettera. Però la caduta del prezzo  del petrolio avrà effetti molto diversi nelle diverse regioni degli Usa:  gli Stati che più hanno beneficiato del boom del petrolio di scisto  saranno quelli che subiranno i contraccolpi più pesanti, anche se la  maggioranza degli americani ci guadagnerà. A rimetterci di più saranno i  due Dakota e il Nebraska, ma in tutta quell’area ci vive più o meno la  popolazione di Brooklyn. Il pezzo da novanta fra gli Stati colpiti è il  Texas: che impatto avrà il tracollo dell’oro nero da quelle parti? Un  impatto grosso. In Texas il settore minerario ha fornito direttamente il  4,7 per cento del Pil. Applicando un moltiplicatore di 1,5, come  indicato dalle ricerche più attendibili, arriviamo alla conclusione che  il boom del petrolio di scisto ha aggiunto il 7% alla crescita del  Texas: e quello che il petrolio di scisto dà, il petrolio di scisto può  riprendersi. Non stiamo parlando di un disastro vero e proprio, ma forse  di fronte a una situazione in cui il Texas scivolerà in recessione  mentre il resto del Paese andrà piuttosto bene.