parere opposto: non condivido ma .. .. ..
6 settembre 2013
                             NON SI PUO' USCIRE DALL'EURO SECONDO I TRATTATI? FALSO. BASTA SAPERLI LEGGERE. 
Alcuni concetti giuridico-interpretativi, che, nell'attuale situazione possono risultare molto importanti:
1) 
l'uscita dall'euro, intesa come delimitato recesso dallo status di "Stato membro la cui moneta è l'euro", 
senza simultanea fuoriuscita dall'Unione europea (quale specificamente prevista all'art.50 del Trattato sull'Unione-TUE), 
ha un fondamento normativo ricavabile deduttivamente dall'art.139 del Trattato sul funzionamento dell'Unione- TFUE;
2) ciò, in primo luogo, significa che la condizione di "Stato membro la  cui moneta è l'euro" (espressamente enunciata dall'art.139 anch'essa, in  contrapposizione a quella di "Stato membro con deroga"), 
non è obbligatoria, ma soggetta alla precondizione essenziale di una 
libera manifestazione di adesione in tal senso dello Stato interessato (che tale deve sempre rimanere);
3) ciò è confermato senza ombra di dubbio dal par.3 del successivo  art.140, in quanto non solo la acquisizione dello status di "Stato  membro la cui monetà è l'euro" consegue alla "richiesta" di tale Stato,  ma 
la deliberazione ammissiva finale, DEVE essere adottata all'unanimità tra gli Stati già aderenti e lo stesso Stato "in deroga" che già ne abbia fatto richiesta;
4) la domanda, alquanto ingenua in termini logico-giuridici, ma resa  attuale e cruciale dalla propaganda dei "banchieri" e politicanti che  hanno il monopolio dell'interpretazione dei trattati, allora è: 
questo consenso, da manifestare sempre come presente e da attualizzare, 
può essere revocato, riconquistando, ovvero acquistando per la prima volta (per un paese originariamente aderente, come l'Italia), 
lo status di "Stato membro con deroga"?
5) la risposta, e cerchiamo di dirlo con sintesi, non può che essere  positiva. Innazitutto, per ragioni letterali ancorate, appunto,  all'art.139: questo dispone che "in deroga" sia lo Stato per il quale il  Consiglio abbia deciso che non soddisfi le condizioni necessarie per  l'adozione dell'euro. Il che, conferisce, contrariamente a quanto  credevano i banchieri autori del trattato, alla "uscita" un altissimo  grado di discrezionalità in capo allo Stato interessato;
6) ed infatti, 
il Consiglio "decide" la non ricorrenza delle condizioni di adesione all'euro, 
in base alla richiesta dello Stato membro dell'UE :  tant'è vero che non solo nessuna norma prevede la partecipazione  obbligatoria all'euro, ma che lo stesso art.140 condiziona alla  richiesta-consenso successivo dello Stato in deroga la successiva  ammissione. 
ERGO, LA DECISIONE DEL CONSIGLIO CHE ACCERTA LA  "IDONEITA'" E' UN ATTO AMPLIATIVO E NON RESTRITTIVO DELLA LIBERTA'  NEGOZIALE DELLO STATO CHE VOGLIA ADERIRE: COME TALE, RIMANE (per  principio generale) NELLA DISPONIBILITA' DI QUEST'ULTIMO, CHE PUO'  RINUNCIARVI E DECIDERE DI NON FRUIRE DELLA "PATENTE" DI PAESE CHE  SODDISFA LE CONDIZIONI DI ADESIONE, REVOCANDO LIBERAMENTE QUEST'ULTIMA;
7) ciò, 
a maggior ragione vale nel caso in cui lo Stato-membro  interessato si avveda, anche a seguito di continui richiami delle  istituzioni UE-UEM, circa il mancato "mantenimento" di tali condizioni,  di non soddisfare più i requisiti di adesione. Quella che, appunto,  in special modo sotto il profilo dell'ammontare del debito, è la  condizione attuale, ed anche originaria, italiana. Condizione  ora  aggravata dagli oneri del 
fiscal compact: ulteriore "trattato" la  cui efficacia è ontologicamente e giuridicamente subordinata al  possesso del (revocabilissimo) status di "Stato membo la cui moneta è  l'euro";
8) insomma, tutto il trattato è congegnato in modo da 
delineare  l'adesione all'euro come un "qualcosa in più" e di vantaggioso per il  paese che vi aderisce, e, ad un "vantaggio", si può sempre rinunziare.  Tanto più che tedeschi (e francesi), hanno più volte pubblicamente  manifestato la posizione di considerare l'adesione italiana alla moneta  unica come un sacrificio cui si sottoponevano in una pretesa prassi  cooperativa, senza, inoltre, aver mai lamentato o sostenuto qualunque  inadempienza dei paesi "in deroga" che non avessero ancora espressamente  richiesto di aderire;
9) quindi 
la "decisione" del Consiglio circa la soddifazione delle condizioni necessarie per l'adesione, 
vale, più che mai, 
come "rebus sic stantibus"  e, per espresso dato normativo e sistematico del trattato, non può mai  considerarsi "definitiva" e irreversibile, rimanendo, per coerenza con  quanto accade in sede di adesione "successiva" ai sensi dell'art.140,  subordinata alla perdurante 
unanimità di consenso che include la altrettanto perdurante volontà positiva dello Stato già aderente;
10) la fuoriuscita dall'euro, per revoca del proprio libero consenso  (che tale deve rimanere nel tempo), consente allo Stato che manifesti  tale volontà di 
accedere allo status di membro dell'Unione "con deroga". Ciò  implica che vengono meno, ai sensi dello stesso art.139, non solo i  vincoli del fiscal compact, ma anche quelli, espressamente enunciati  dall'art.139, derivanti dalle norme che "non si applicano" agli Stati  "con deroga". Tra essi spicca anche 
il mancato assoggettamento ai "mezzi vincolanti per correggere i disavanzi eccessivi, art.126, par. 9 e 11";
11) Fuoriusciti così da tutti i ricatti e le ipocrisie (disomogenei)  esperibili contro l'Italia in caso di "disavanzo eccessivo" (lo vuole  l'Europa), 
persino il nodo della banca centrale indipendente troverebbe ridefinizione.  E' pur vero che il divieto di acquisto del debito pubblico (e gli altri  divieti di azione della banca centrale nei confronti degli enti  pubblici, in generale), ai sensi dell'art.123 TFUE, permangono anche in  caso di Stato membro "con deroga", ma:
a) sarebbe possibile 
modificare la legislazione interna per consentire alla nostra BC di compiere questi interventi sui titoli sovrani (come fa la 
Bank of England),  dato che l'adeguamento di tale legislazione è controllato dalla UE  proprio in vista della futura adesione: e dunque la sanzione  all'inadempimento sta nel non rinnovare la decisione del Consiglio di  ammettere il paese in quella moneta unica da cui...si è appena voluti  uscire. Cioè, 
non c'è un vero ostacolo giuridico, come dimostra la tranquilla azione di QE e di acquisto del debito perseguita da 2 anni dalla BOE;
b) 
sarebbe sempre possibile, comunque, che bankitalia agisse come...i tedeschi:  cioè sottraendo dalle aste i titoli non collocati al tasso desiderato,  trattenendoli in un "atipico" deposito e poi acquistandoli come "se  fossero" già sul mercato secondario (una finzione cui finora nulla è  stato mai opposto e che, comunque, fa leva sul fatto che tale acquisto  "non diretto" non è vietato dai trattati).
Risolte "questioncine" come:
- il 
recupero della flessibilità del cambio (e della conseguente competitività di "prezzo"...anche su un "mercato unico" ove si riaprirebbero molte prospettive); 
- 
l'assoggettamento al fiscal compact con i suoi esborsi, per noi  paradossali ed esorbitanti, per la contribuzione ai vari fondi di  salvataggio per gli Stati "la cui moneta è l'euro": 
oltre a non  aggravare il nostro debito con ulteriori "ratei", ci andrebbero  restituiti circa 45 miliardi e scusate se è poco...specie di questi  tempi;
- 
il non doversi più preoccupare del pareggio di bilancio - con la "costituzionalizzazione" ce la possiamo vedere "all'interno", in termini di 
violazione dei principi fondamentali della Costituzione da parte della legge di "revisione"-, delle procedure di "deficit eccessivo, (di cui certo, nemmeno ora, si preoccupano Francia e Spagna);
- la incertezza del 
collocamento del debito, con possibilità di calmierazione, per più vie, dell'onere degli interessi (e  poi, anche qui, la collocazione istituzionale della banca centrale ce  la potremmo vedere con tutta una serie di norme nazionali e non più  "volute dall'Europa", quindi democraticamente modificabili);
SI RICOMINCEREBBE A RAGIONARE. ANZI, A RESPIRARE.