Oggi, l’invaso del consenso nella metamorfosi della crisi, ho l’impressione si stia formando attorno a dinamiche sociali discendenti e di difficoltà sia dei ceti popolari che del ceto medio. E siamo tutti d’accordo nel ritenerli in dissolvenza. Per dirlo fuor di metafora avevo colto nelle conversazioni da bar dell’economia che molti capitalisti molecolari, che prima avevano battuto un voto per Grillo, o i più elitari per Monti, sceglievano Renzi come ultima spiaggia. Così come le rappresentanze degli artigiani e dei commercianti che avevano manifestato a Roma in piazza del Popolo, inseguiti dai forconi irriducibilmente per il No Euro e per i 5 Stelle, vedevano in Renzi e nel Pd un interlocutore. Il discorso con sfumature di rosso vale anche per il sindacato. Mail problema rimane. Un conto è governare con l’invaso di composizione sociale ascendente, tenuto assieme dagli interessi di classe, altro è tenere assieme una moltitudine di composizione sociale in crisi, tenuta assieme da piccole e fredde passioni tristi. Vien da pensare che ciò che resta della classe operaia garantita, dei ceti medi, dei commercianti, degli artigiani e dei capitalisti molecolari abbiano votato presi in mezzo dalla paura dei tempi che vengono avanti e dalla paura del rancore dilagante, attingendo a quell’antropologia da ceto medio che teme l’apocalisse culturale del non ritrovarsi più in ciò che gli era abituale. Qui ha ragione Renzi che usa la parola speranza, nel senso che tra paure e rancore, nell’incertezza si sceglie chi dà un minimo di speranza. Dal punto di vista politico la questione mi pare sia quella di come trasformare il minimo di speranza e di incertezza in fiducia.