Tolleranza zero!!!

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16 Gennaio 1993, 13 Febbraio 1996, si apre e si chiude il caso giudiziario che ha letteralmente diviso l'Italia. Pietro Pacciani per vari anni accusato di essere il presunto "mostro" di Firenze torna libero grazie ad una sentenza della corte d'appello che lo dichiara "non colpevole" rovesciando clamorosamente la sentenza di primo grado dove Pacciani era stato condannato a 14 ergastoli. In prigione adesso c'e' il suo amico Mario Vanni "compagno di merende" accusato ora di essere lui il presunto "mostro di Firenze". I conti pero' non tornano, come puo' essere che un imputato sia condannato a 14 ergastoli sulla base di prove definite " di schiacciante gravita' ", sia in fase di sentenza d'appello e sulla base delle stesse prove giudicato innocente ? .
Poco chiara risulta anche la decisione se si considera che proprio nelle ore precedenti la sentenza sono improvvisamente saltati fuori dei nuovi testimoni che giurano di aver visto Pacciani ed il suo amico Vanni uccidere la coppia di turisti francesi Nadine Mauriot, e Jean Michel Kraveichvili il 9 Settembre 1985. Tante coincidenze non fanno una prova si dice ma e' pur vero che la cartuccia sepolta nell'orto di Pacciani ed il block notes appartenente alla coppia di turisti tedeschi uccisi nel Settembre del 1983 trovato in casa associati al carattere sessualmente perverso e da alcolizzato di Pacciani erano bastati ai giudici di primo grado per condannarlo.
La difesa invece e' riuscita ad usare le stesse prove nel processo d'appello per capovolgere la sentenza, il "mostro" si diceva " e' un tipo lucido e freddo" mentre la difesa obbiettava che Pacciani proprio per come si era comportato in precedenza ed essendo violento quando era ubriaco non poteva pieno di vino comportarsi in modo lucido. Un'altro punto di forza dell'accusa era il carattere fortemente "pornografo" e "guardone" di Pacciani, ma la difesa ha obbiettato che proprio perche' guardone Pacciani non aveva nessuno scopo di uccidere le coppiette visto che lo scopo dei guardoni e' quello di vedere l'amplesso. Il bossolo trovato in giardino inoltre poteva essere stato messo li da chiunque non prova assolutamente nulla. Il giudice, proprio in contemporanea all'arresto del suo presunto complice Vanni, accusato da testimoni usciti fuori dopo 11 anni a detta loro per paura , ha creduto alla difesa ed ha scarcerato Pacciani che e' uscito dalla cella applaudito dalla stessa gente che solo un anno fa' lo malediva.
Le ipotesi che ora si fanno sono molteplici, forse troppe, c'e' chi dice che il "mostro" e' Vanni, chi dice che sia Pacciani, chi nessuno dei due e chi azzarda l'ipotesi che il mostro non sia altro che un collage di mostri identificabili in Pacciani, Vanni e negli altri componenti della loro perversa compagnia.
I Famigliari delle vittime nel frattempo attendono giustizia.

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Banda della Uno bianca fu il nome attribuito dal giornalismo italiano ad una organizzazione criminale che, a partire dal 1987 e sino l'autunno del 1994, commise 103 crimini, provocando la morte di 24 persone ed il ferimento di 102. Il nome derivò dal tipo di auto generalmente utilizzata per le condotte criminose: una Fiat Uno bianca, dato che in quegli anni era molto diffusa e facile da rubare.


Roberto Savi: mente e fondatore della banda. Lavora come poliziotto presso la questura di Bologna, al momento dell'arresto riveste il grado di assistente capo e ricopre il servizio di operatore radio alla squadra volante. Da giovane milita come attivista nel Fronte della gioventù, suo padre Giuliano gli insegna l'uso delle armi. Nel 1976 entra in Polizia e prende servizio a Bologna. Per molti anni ha svolto la funzione di operatore in volante, è stato trasferito alla sala operativa per aver rasato a zero un giovane ragazzo trovato in possesso di sostanza stupefacente. Roberto Savi era abilitato all'uso dell'AR70 Beretta, un'arma di reparto in dotazione alla Polizia di Stato. Savi riusciva ad accedere molto facilmente all'armeria della Questura, prelevava l'AR70 per poi utilizzarlo nelle azioni criminali della Banda. Nelle prime fasi delle indagini, la procura dispose che venissero visionati tutti i modelli AR70 depositati presso le armerie delle forze dell'ordine di Bologna, per capire se uno di questi avesse sparato di recente. Savi per evitare che il suo AR70 venisse visionato riuscì a sostituirlo con un altro fucile AR70, senza che nessuno si accorgesse dello scambio. È stato il primo componente della banda in ordine di tempo ad essere arrestato. Durante il processo la moglie lo definisce come un uomo violento ed aggressivo, di carattere molto taciturno e schivo, non frequentava molte persone a parte i fratelli, passava molto del suo tempo a giocare con i videogiochi. Il 3 agosto 2006 ha fatto richiesta di concessione del provvedimento di grazia al tribunale di Bologna. La domanda è stata ritirata il 24 agosto dallo stesso Savi a seguito del parere sfavorevole espresso dal procuratore generale bolognese Vito Zincani.

Fabio Savi: fratello di Roberto. Anche lui come il fratello fa domanda per entrare in polizia, un difetto alla vista gli pregiudicherà questa carriera. Dal 1976 svolge molti lavori saltuari, ha un carattere spavaldo e non prova pudore a manifestare il suo pensiero razzista. Al momento dell'arresto fa il camionista e frequenta una ragazza rumena, Eva Mikula, le cui testimonianze si riveleranno decisive nella risoluzione delle indagini.

Alberto Savi: fratello minore della famiglia Savi. Assieme a Roberto e a Fabio forma la struttura principale della banda. Fa il poliziotto come Roberto, al momento dell'arresto presta servizio presso il Commissariato di Rimini. Debole di carattere subisce la personalità del fratello maggiore Roberto.

Pietro Gugliotta: unico della banda a non essere condannato all'ergastolo. Non ha partecipato alle azioni omicide, e per questo è stato condannato alla pena di 20 anni di reclusione. Anche lui poliziotto, svolge la funzione di operatore radio alla questura di Bologna assieme all'amico Roberto Savi.

Marino Occhipinti: membro minore della banda, ha però partecipato comunque a numerose rapine ed omicidi e per questo è stato condannato alla pena dell'ergastolo. Anche lui poliziotto presso la squadra mobile di Bologna.

Luca Vallicelli: poliziotto, è agente scelto presso la sezione polizia stradale di Cesena. Condannato all'ergastolo perché ha preso parte alla maggior parte delle azioni più gravi commesse dalla banda della Uno bianca.

Durante il processo i fratelli Savi non si definirono razzisti ma giustificarono queste azioni come necessarie per liberare la società da parassiti inutili. I Savi a seguito di una rapina non riuscita ad un ufficio postale, punirono il direttore della filiale uccidendolo a sangue freddo sul portone mentre rientrava nella propria abitazione
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MOVENTE: I SOLDI DELLE POSTE - La ricostruzione della vicenda racconta un sequestro anomalo, come è stato definito fin dall'inizio. Un rapimento eseguito da una banda di balordi, a cui la situazione è sfuggita subito di mano, conducendo a un epilogo tragico. Tommaso, rapito il 2 marzo a Casalbaroncolo, alle porte di Parma, sarebbe infatti morto poco dopo il rapimento. Doveva essere un sequestro-lampo: come contropartita, nel piano dei banditi, i soldi che il padre del bambino avrebbe dovuto prelevare dall'ufficio postale che dirigeva. Agghiacciante la motivazione data da Alessi per l'omicidio: Tommaso è stato ucciso «perché piangeva».

PANICO - I rapitori sarebbero fuggiti in scooter portando con loro il piccolo Tommaso. Erano ancora nelle vicinanze della cascina quando furono messi in allarme da un lampeggiante, cadendo dal motociclo. Tommaso cominciò a piangere. Presi dal panico, in quel momento, i rapitori decisero di sopprimere il piccolo. Probabilmente con un colpo di badile in testa. I resti del bimbo presenterebbero infatti segni di un forte colpo contundente sulla faccia.

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Strage a Erba, in Brianza. Le vittime sono una giovane donna, il figlio di 2 anni, la madre della donna ed una vicina di casa, gravemente ferito il marito di quest'ultima. Tutti sono stati accoltellati. L'appartmento è stato poi dato alle fiamme. Responsabile, in un primo tempo, era ritenuto il convivente della giovane donna, un tunisino con precedenti penali, scarcerato qualche mese fa. Ma l'uomo è stato poi scagionato: al momento del massacro era in Tunisia. Si pensa ora ad una vendetta trasversale maturata nel mondo degli spacciatori

......vendetta tra spacciatori eh???!!!

:rolleyes: :rolleyes:

NO!
MEDIA COPPIA DI ITALIANI INCENSURATI E BRAVISSIMI CITTADINI.....



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E' domenica pomeriggio. Domenica 4 ottobre 1992. Il piccolo Simone Allegretti, quattro anni, figlio del gestore di un distributore di benzina, scompare a Maceratola, nella campagna tra Foligno e Bevagna, in Umbria. Comincia una disperata ricerca ed un dramma, quello che vedrà come protagonista il cosidetto mostro di Foligno, destinato a concludersi soltanto nove mesi dpo con un bilancio atroce: due bambini assassinati.

Il cadavere di Simone, nudo, coperto di sangue, soffocato e poi accoltellato alla gola, viene trovato due giorni dopo in una scarpata nei boschi del folignate. Poco prima, in una cabina telefonica di Foligno, era stato trovato un biglietto: lo firma “Il mostro”, è scritto con il normografo su di un foglio bianco. Dice: “Aiuto! Aiutatemi per favore. Il 4 ottobre ho commesso un omicidio. Sono pentíto ora anche se non mi fermerò qui. Il corpo di Simone si trova vicino alla strada che collega Casale (fraz. di Foligno) e Scopoli. E’ nudo e non ha l'orologio con cinturino nero e quadrante bianco”.

Segue un post scriptum: “PS.: non cercate le impronte sul foglio, non sono stupido fino a questo punto. Ho usato dei guanti. Saluti, al prossimo omicidio”.



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21 febbraio 2001. A Novi Ligure (Alessandria) sono da poco passate le 20.30 quando una ragazzina urlante, in preda al panico, esce di corsa dalla villetta di via D’Acquisto 12, nel quartiere periferico di Lodolino. A chi la soccorre, la ragazza, Erika de Nardo, 16 anni, racconta tra le lacrime che due uomini, probabilmente degli albanesi, penetrati nella villetta hanno massacrato a coltellate la madre ed il fratellino, mentre lei, dopo una colluttazione con uno degli assassini, è riuscita miracolosamente a fuggire. Poco dopo Erika chiama con il cellulare il suo fidanzatino, Omar Mauro Favaro, 17 anni, che la raggiunge immediatamente.

Chi è che hanno incolpato???
EXTRACOMUNITARI!!
Ed il giorno dopo tutto il paese era in piazza a manifestare contro gli extracomunitari!

VERGOGNA!
VERGOGNA!
VERGOGNA!
VERGOGNA!
VERGOGNAAAA!!

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Come ha spiegato il GUP di Busto Arsizio, Maria Greca Zoncu, nelle motivazioni della sentenza del primo processo cui sono stati sottoposti i personaggi più spregevoli di questa spregevole catena di omicidi, le Bestie di Statana non erano un’associazone per delinquere ispirata al satanismo, ma solo un’aggregazione di “personalità deboli, immature, ineducate, sostanzialmente svantaggiate che hanno costruito un maldestro edificio nel quale albergare la loro assoluta povertà morale”.

La storia di questo mucchio selvaggio di provincia comincia il 23 gennaio 2004 quando a Golasecca, piccolo centro del Varesotto, alle porte di Somma Lombardo, i carabinieri scoprono, in parte sepolto, all'interno di una serra accanto ad una cascina il corpo sfigurato di Mariangela Pezzotta, 27 anni, figlia di un esponente di spicco di Forza Italia.

Due giovani, Andrea Volpe, 27enne ex fidanzato della vittima, e la sua nuova compagna, Elisabetta Ballarin, 18 anni, vengono arrestati. Poco dopo finisce in manette anche Andrea Sapone, amico di Volpe.

Trascorrono quasi sei mesi, quando, indagando sulla scomparsa di altri due giovani, amici degli arrestati, i carabinieri trovano due corpi sepolti e orrendamente massacrati: sono quelli di Chiara Marino, 19 anni e Fabio Tollis, 16, entrambi scomparsi nel 1998.

Viene arrestato anche Pietro Guerrieri, un tossicomane di vecchia data, il cervello già cotto dalla cocaina nonostante la giovane età. Si scopre che proprio a lui, il 15 gennaio 1998, Andrea Volpe aveva dato l'ordine di andare nei boschi di Somma Lombardo a scavare una fossa profonda due metri: “non fare domande, vai e scava. La fossa servirà per raccogliere il sangue durante il sacrificio rituale che faremo la notte di plenilunio”. Riti diabolici? No! Solo una misera sceneggiata per giustificare la sua violenza ed il suo delirio, alimentato dalla droga.

Il fatto che il gruppetto ascoltasse musica black metal e assumesse atteggiamenti da anime perdute eccita la fantasia di quella stampa italiana che non riesce ad uscire da una dimensione di smaccato provincialismo.

Le indagini si allargano. Si scopre che nella zona fra Somma Lombardo, Golasecca e Malpensa negli ultimi anni sono avvenute morti molto strane e c’è anche un suicidio che desta perplessità. L'inquietante denominatore comune è che i morti sono tutti giovani che conoscevano e frequentavano Andrea Volpe. Uno di loro, Andrea Ballarin, 20 anni, operaio, si è ucciso nel gennaio 2004 proprio nel bosco dove è stata trovata la fossa con i resti di Chiara e Fabio. C’è poi un altro giovane, Andrea Bontade, che nel '99, dopo una discussione con Volpe, si schiantò a bordo di un’auto a forte velocità.

In seguito verranno arrestati anche Paolo Leoni, 27 anni, noto come Ozzy, Eros Monterosso, 27 e Marco Zampollo, 26. In manette anche Massimino Magni, magazziniere, ventiquattrenne, ma ai tempi dei delitti minorenne, come era d’altronde Mario Maccione.

Scartando il reato di associazione a delinquere, l’unico che giustificherebbe la teoria del satanismo, due giudici hanno finora escluso che siano mai esistite le Bestie di Satana.

Scrive il Gup di Busto Arsizio, Maria Greca Zoncu, che nel febbraio del 2005 ha condannato, con rito abbreviato, Andrea Volpe e Pietro Guerrieri, rispettivamente a 30 e a 16 anni di carcere per gli omicidi di Chiara Marino e Fabio Tollis e Mariangela Pezzotta: “Non c'è una linea criminosa quale guida del loro agire: i riti di maledizione, l'abbigliamento, i simboli, i tatuaggi, i discorsi per quanto forti, per quanto di rottura non hanno una rilevanza criminale, non sono quel pactum sceleris che è richiesto dal codice penale. Gli atti criminosi, i reati commessi dal gruppo sono il più delle volte improvvisi nella loro genesi e privi di pianificazione e programmazione”. Anche nella loro decisione di uccidere viene a galla “la totale occasionalità ed estemporaneità”.

Per la vicenda si sono finora svolti tre distinti processi.

Nel primo, con rito abbreviato, a Busto Arsizio il 22 febbraio 2005 - come già detto - sono stati condannati Andrea Volpe a 30 anni e Pietro Guerrieri a 16, assolto Mario Maccione che però davanti ai giudici dei minori di Milano, l’11 aprile 2005, si è visto affibbiare 19 anni di galera. In questo processo è stato assolto Massimiliano Magni.

Il terzo processo, cominciato il 21 giugno 2005, con alla sbarra gli altri imputati, si è concluso il 31 gennaio 2006: la pena più pesante (due ergastoli) viene inflitta a Nicola Sapone, riconosciuto colpevole del duplice omicidio dei due fidanzatini milanesi e di Mariangela Pezzotta.

Paolo Leoni e Marco Zampollo vengono condannati per il duplice omicidio a 26 anni, mentre Eros Monterosso a 24. Elisabetta Ballarin, l’ex fidanzata di Andrea Volpe, autore materiale dell’omicidio di Mariangela Pezzotta, viene condannata a 26 anni e 3 mesi.

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Caparbio, glaciale, ostinato a negare anche l’evidenza.

Gli investigatori che il 16 febbraio 2001 arrestano Michele Profeta, x anni, siciliano trapiantato in Vneto, accusato di due omicidi ravvicinati nel tempo, si trovano davanti ad un uomo impenetrabile, che continua a negare ogni responsabilità.

Padovano, dipendente di una società finanziara, uomo chiuso e senza amicizie, Michele Profeta è un assiduo frequentatore di Ca’ Vendramin, dove ha sede il Casinò di Venezia. Lì lo conoscono come “il professore”, anche per il suo aspetto distinto. A Ca’ Vendramin Profeta ci va la mattina presto e gioca per ore ed ore alle slot machine. Ma il suo gioco preferito sono le carte, il poker in particolare. Ed il gioco aveva finito per indebitarlo, tantro da spingerlo a commettere i primi reati: assegni a vuoto e truffe.

Il primo delitto lo commette il 29 gennaio 2001 a Padova, assassinando a sangue freddo e senza alcun motivo, a colpi di pistola, il tassista Pierpaolo Lissandron. Sul suo cadavere lascia una carta da gioco, un Re. Pochi giorni dopo, Profeta torna ad uccidere, sempre a Padova: la vittima è un altro sconosciuto, un agente immobiliare contattato con la scusa di voler affittare un appartamento. E’ il 10 febbraio: in ginocchio, quasi fosse giustiziato, muore Walter Boscolo. Anche sul suo cadavere l’assassino lascia una carta da gioco, ancora un Re.

Tra il primo ed il secondo omicidio trascorrono 12 giorni. Un numero maledetto per Michele Profeta: il 12 gennaio 2001, prima dell'omicidio del tassista, invia una lettera alla Questura di Milano, con la quale chiede 12 miliardi, altrimenti avrebbe commesso omicidi a caso, in qualsiasi città. Dopo l'arresto, gli investigatori trovano nel suo appartamento un revolver Iver Johnson calibro 32, utilizzato per entrambi i delitti e le carte da gioco con le quali firmava gli omicidi. Nella sua automobile trovano un normografo con il quale Profeta scriveva le lettere di minaccia.

Determinanti per la cattura sono gli sms con cui Profeta rispondeva, dai suoi dieci cellulari, agli annunci che la Questura pubblicava per comunicare con lui. Nella prima lettera inviata al questore, aveva dato precise istruzioni: “Se volete comunicare con me, dovete mettere questo annuncio sui giornali: 'Cercasi tornitore con 12 anni di esperienza'”. Un'altra volta, quel numero maldetto, il numero 12.

Nel luglio del 2001, Michele Profeta tenta di evadere dal carcere di Padova: per questo viene trasferito nel penitenziario speciale di Voghera.

Condannato al carcere a vita, in primo grado, nel 2002, la difesa di Profeta, nel corso del processo, gioca invanola carta della perizia psichiatrica: il movente dei delitti starebbe in un delirio di onnipotenza. Profeta prima confessa i due omicidi, poi ritratta e infine, durante il dibattimento, ammette di aver ucciso. Il processo d’Appello prima e la Cassazione poi, confermano la sentenza.

Malato di cuore, il 16 luglio 2004, Profeta muore nella sala avvocati del carcere di San Vittore dove era stato trasferito per sostenere il suo primo esame universitario: storia della filosofia. “Era emozionatissimo per questa prova”, dirà il suo legale.

Profeta si accascia mentre sta rispondendo alle domande della commissione esaminatrice.

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si continua e rido quanto mi pare...

E' successo a Milano
Si getta dal balcone per sfuggire alla violenza
Una giovane romena seviziata e stuprata da un albanese. Esasperata, si butta dal secondo piano. Arrestato lo stupratore

MILANO - Una giovane romena appena giunta in Italia per fare la badante, e attirata invece in un giro di prostituzione, si è gettata dal balcone di un albergo di Milano per sfuggire ad un albanese che la stava violentando e seviziando. La giovane si trova ricoverata in ospedale, anche se non in pericolo di vita, mentre il suo aguzzino è stato rintracciato dai carabinieri in meno di 24 ore e arrestato.

L'episodio è accaduto nella notte tra venerdì e sabato scorsi, in via Lulli, non lontano dalla Stazione Centrale. La romena, una ventenne, si era fatta convincere da un'amica a venire in Italia per un posto come badante per cercare di guadagnare qualcosa per aiutare la sua famiglia, che vive in una delle zone più depresse della Romania. Anzi, i genitori avrebbero speso tutto ciò che avevano per ottenere in fretta un passaporto per lei, che non ne aveva mai posseduto uno.

Appena giunta nel capoluogo lombardo, però, è stata presa in carico da un albanese, S.N., 24 anni, con precedenti per rapina, che l'ha portata in un alberghetto e seviziata per convincerla a prostituirsi. La violenza, secondo quanto riferito dai carabinieri, è stata così brutale che la romena, esasperata, si è gettata dal secondo piano per fuggire. Si è salvata perchè un balcone ha attutito la caduta. Ha riportato una prognosi di 40 giorni.

L'uomo, grazie alle indagini dei carabinieri della prima sezione del Nucleo operativo di Milano, è stato rintracciato in provincia di Forlì, in un appartamento dove vivevano altri tre albanesi, che sono stati fermati per favoreggiamento. Stava cercando di lasciare l'Italia per la Grecia. Si trova ora in carcere con l'accusa di sequestro di persona, violenza sessuale e rapina. Nel corso dell'operazione è stata fermata anche una ucraina di 22 anni intercettata nei pressi dell'ospedale in cui è ricoverata la giovane romena. Si era recata lì per minacciarla e convincerla a ritrattare la denuncia contro l'albanese.

22 maggio 2007
 
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