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Una settimana fa, la nota soubrette Heather Parisi, che risiede a Hong Kong,
aveva postato una foto sul suo profilo Instagram, con il seguente testo accompagnatorio:


Molti mi hanno chiesto qual è la situazione del vaccino in Cina e a Hong Kong e cosa faremo io e la mia famiglia.
In Cina al momento, sono state vaccinate 1 milione di persone (su 1.4 miliardi!).

È prevista la vaccinaziine di 50 milioni, ma la risposta della gente è molto tiepida per ammissione delle stesse autorità che non stanno forzando la mano.
A Hong Kong sarà disponibile forse a Gennaio e forse verrà data la possibilità di scegliere quale vaccino.

Io sono per la libertà vaccinale (cosìdetto consenso informato) che è un diritto riconosciuto in tutto il mondo

dalla Dichiarazione di Helsinki, dalla Dichiarazione dell’Unesco, dalla Dichiarazione di Norimberga;

io e la mia famiglia NON faremo il vaccino perchè è fuor di dubbio che si tratta di un vaccino sperimentale

di cui non si hanno avuto modo di vedere gli effetti nel breve, nel medio e nel lungo periodo.

Sono perfettamente consapevole che per questa scelta in Italia (non a Hong Kong)

sarò derisa, attaccata, emarginata e che molti, in assoluta malafede, mi definiranno “novax”.

Purtroppo, nella società di oggi, la libertà e la tolleranza hanno ceduto il posto alla prevaricazione e alla violenza.

Ma se questo è il prezzo da pagare per difendere l’ennesima violazione di un diritto inviolabile, lo faccio senza esitazione. H*
HeatherParisi.jpg
 
Non bisognava essere di certo aruspici particolarmente capaci,
per vaticinare che sarebbe stata “derisa, attaccata, emarginata e che molti, in assoluta malafede,” l’avrebbero definita “novax“.

E infatti Luca Telese non si è fatto attendere, arrivando addirittura ad evocare lo scenario tanto caro a chi a scuola,
durante l’ora di educazione civica (quando ancora c’era), andava in bagno con il Postalmarket anziché prendere appunti:

Heather Parisi non vuole vaccinarsi? Allora non ha diritto a curarsi negli ospedali italiani“.


Capite questi sinceri democratici come ragionano?

Si possono curare mafiosi, assassini, criminali di qualsivoglia risma,
ma non si può e non si deve assolutamente curare chi mette in discussione il primo comandamento
di quella nuova religione universale che è lo scientismo

(sì, “scientismo”. Che è cosa ben diversa da “Scienza”, nobile frutto dell’ingegno umano che addentano bande di servi del vil danaro): parliamo del sacro vaccino.


Non avrai altra cura all’infuori del vaccino, recita il primo dogma dello scientismo.


E che di dogma trattasi lo dimostra il modo in cui i sacerdoti di questa nuova casta religiosa si stracciano le vesti
appena uno che non è servo osa mettere in discussione il loro sacro feticcio.

Chi si pone dei dubbi e chiede che gli vengano chiariti, paradossalmente, dimostra di essere molto più scienziato,
in questo suo evocare la ragion critica, rispetto a quelli che obbediscono senza pretendere di capire,
avallando così la tesi dello scientismo come “nuova religione” che impone obbedienza cieca in assenza della quale,
come accade in tutte le sette, lancia anatemi e proclama editti per bandire, esiliare i rei discepoli del metodo socratico
(i quali sapevano di non sapere già migliaia di anni fa, mentre oggi siamo circondati da gente che è sicura di sapere tutto,
o attribuisce questa onniscienza a chi è certamente infallibile, come appunto le divinità nelle religioni rivelate).

Se poi si riuscisse a superare anche quel cavillo giuridico che impedisce la lapidazione istantanea,
di certo per costoro tornare ai tempi della giustizia sommaria sarebbe un passo avanti verso il progresso e verso la civiltà,
perché anche stupratori e pluriomicidi hanno diritto ad un giusto processo,
ma non i blasfemi che non si inchinano all’altare dei miliardi di fatturato che girano intorno al nuovo elisir di lunga vita,
la nuova pietra filosofale che trasforma la malattia in salute.

Tanto efficace che, pure se la possiedi, sei terrorizzato da chi non ce l’ha,
costretto a vivere di nascosto dalla vita che ormai può esistere solo servoassistita dalla tecnobiologia coperta da brevetto.



Che poi, è significativo che proprio i giornalisti, che si può dire senza tema di smentita
che “di vaccini non capiscano un’emerita sega“, ne siano i primi strenui difensori,
pronti ad immolarsi sull’altare della più cieca obbedienza, come un kamikaze.

Se non ne possono capire nulla, allora perché se ne fanno paladini?

Perché sposano una tesi attribuita a un magico unicorno (la “comunità scientifica”) che non sono in grado di verificare?

Non è questa forse la negazione del giornalismo stesso, ovvero quello che prescrive la verifica delle fonti?

Hanno forse condotto di persona numerosi esperimenti, prima di asserire, pronunciare, sentenziare?


I tribunali hanno condannato per decenni fior di penne, perché avevano osato scrivere di cose che non avevano verificato personalmente,
ma quando si tratta di parlare del “sacro vaccino”, allora ogni altra disciplina deve inchinarsi e lasciare strada.

Un giornalista può parlare dei vaccini solo se è un integralista della siringa:

se invece osa porsi delle domande, la risposta della “comunità scientifica”

(o meglio dell’esercito di servi delle case farmaceutiche) è “taci, che non sei un immunologo“.



Ed ecco la contraddizione: se non puoi parlarne male perché non hai il camice bianco (ma anche in quel caso poi ti radiano),
non dovrebbe essere egualmente esecrabile, a parità di requisiti, parlarne bene?

Se la logica è “taci che non è il tuo mestiere“, allora dovrebbe tacere anche Telese, nonostante ne parli bene.


E perché, se uno non è un officiante del rito scientista, non può osare scrivere di vaccini sui social,
ma può fare tranquillamente il Ministro della Salute e andare a pontificare in televisione come faceva Beatrice Lorenzin, che aveva solo la terza media?


Un po’ come dire che, siccome non sei laureato in matematica, non ti puoi azzardare a parlare delle tabelline,
ma puoi esprimerti con sicumera sulla teoria della relatività ristretta.


Forse ha ragione Stefano Montanari, che durante il #NoCensuraDay andato in onda ieri e oggi su DavveroTv

ha detto che la comunità scientifica è quella cosa che può essere evocata solo da chi non ne ha mai fatto parte,

perché se fosse uno scienziato saprebbe che tale comunità, intesa come gruppo che si esprime con un unica voce, non esiste.



Come gli unicorni magici.


Heather Parisi, comunque, non si fa mettere il sale sulla coda (come avrebbe detto mio nonno),
e in un post del 31 dicembre sul suo blog, replica così a Luca Telese.
 
Ho inviato al giornalista Luca Telese di TPI.it (The Post Internazionale) la mia risposta all’articolo a sua firma del 26 dicembre e ve la riporto di seguito.

Gentilissimo Luca Telese,
ho letto con attenzione l’articolo che ha voluto dedicarmi e le chiedo la cortesia di concedermi qualche minuto del suo prezioso tempo
per aggiungere qualcosa a vantaggio dei suoi numerosi lettori.

Anche se sono cresciuta a San Francisco, io sono la classica americana “booney town” di quegli americani che, per dirla in maniera diretta, parlano come mangiano.
E spesso parlo senza immaginare le conseguenze, senza cercare le parole giuste, quelle che piacciono a tutti e che non scontentano nessuno.
Bastava che a chi mi chiedeva se mi vaccino, rispondessi: “Dopo un po’, sì.”,
con l’espressione usata da una mia collega che lei ha in grande stima, e tutto sarebbe passato liscio.
Nessun giornale si sarebbe chiesto “perché dopo un po’ e non adesso?”,
oppure “quanto è un po’?”
“Dopo” è rassicurante quel tanto che basta.
Lo dicono sempre anche i miei gemelli quando chiedo loro di fare i compiti: “Li facciamo dopo un po’, mamma!” ed io torno a fare le mie cose, tranquilla.

Oppure avrei potuto fare come il grande Beppe e dire che mi sarei inoculata tutti i vaccini in un colpo solo. ‎
Così non avrei scontentato nessuno.

Il vaccino cinese in ossequio al paese in cui vivo, quello americano per orgoglio di patria e magari, perché no, anche quello Italiano.

E i titoli sui giornali sarebbero stati come quelli per Beppe: “La Parisi come Grillo, ha detto che si vaccina”.

Poco importa se tecnicamente non è possibile inocularsi tutti i vaccini e se l’affermazione di Beppe ha il tipico gusto della boutade.

La faccia è salva per tutti.
Oppure avrei potuto dire come Paolo Mieli dalla Gruber:

“Io subito sì, lo farei, ma se dovessi fare figli sarei più cauto”.

E avendo avuto due figli a 50 anni, sono sicura che nessuno si sarebbe sognato di contestare la mia scelta di non farlo per mantenere la possibilità di averne anche a 60.

Vede, caro Telese, si possono dire cose anche senza dirle.

In fondo la lingua italiana si presta così bene alle frasi ambigue.

E invece io ho detto quello che penso e che pensano anche altri, senza tanti giri di parole e magari con qualche approssimazione.


Lei scrive “se la Parisi non vuole credere alle autorità sanitarie”.

No, io voglio credere alle autorità sanitarie e per questa ragione, per capire, ho consultato, tra gli altri,
il sito ufficiale dell’AIFA dove ho trovato un documento con il titolo: “Domande e risposte EMA su Comirnaty”.

Sono domande e risposte destinate a spiegare e a dissipare i dubbi dei cittadini.

Ma l’effetto, almeno per me, è stato esattamente il contrario.

Sono rimasta sorpresa e preoccupata dalla serie incredibile di risposte che ho rinvenuto nel documento
e che contenevano le espressioni “non ha fornito dati sufficienti”, “non è ancora noto”, “non si conosce”,
i dati sono in numero limitato” (o addirittura) “molto limitato”, “non esistono studi”.

Davvero tante per un vaccino che, occorre dirlo per non venire tacciati di incompetenza, NON è sperimentale.

Le porto alcuni esempi che sono sicuro lei conoscerà già.

Domanda: Le persone che hanno già avuto COVID-19 possono essere vaccinate con Comirnaty?
Risposta EMA: Non sono stati segnalati ulteriori effetti indesiderati nei 545 soggetti che hanno ricevuto Comirnaty
nell’ambito dello studio e che erano stati precedentemente colpiti da COVID-19.
Lo studio non ha fornito dati sufficienti per stabilire in che misura Comirnaty funzioni nei soggetti che hanno già avuto COVID-19.


Domanda: Può Comirnaty ridurre la trasmissione del virus da un soggetto a un altro?
Risposta EMA: L’impatto della vaccinazione con Comirnaty sulla diffusione del virus SARS-CoV-2 nella popolazione generale non è ancora noto.
Non si conosce
ancora fino a che punto le persone vaccinate possano ancora essere in grado di trasportare e diffondere il virus.


Domanda: Quanto dura la protezione di Comirnaty?
Risposta EMA: Al momento non si conosce la durata della protezione fornita da Comirnaty.
Le persone vaccinate nell’ambito dello studio clinico continueranno a essere monitorate per due anni per raccogliere maggiori informazioni sulla durata della protezione.


Domanda: Le persone immunocompromesse possono essere vaccinate con Comirnaty?
Risposta EMA: I dati relativi all’uso nelle persone immunocompromesse (il cui sistema immunitario è indebolito) sono in numero limitato.
Sebbene queste persone possano non rispondere altrettanto bene al vaccino, non vi sono particolari problemi di sicurezza.
Le persone immunocompromesse possono essere vaccinate in quanto potrebbero essere ad alto rischio di COVID-19.


Domanda: Le donne in gravidanza o in allattamento possono essere vaccinate con Comirnaty?
Risposta EMA: Studi sugli animali non mostrano effetti dannosi durante la gravidanza;
tuttavia, i dati relativi all’uso di Comirnaty in donne in gravidanza sono in numero molto limitato.
Sebbene non esistano studi sull’allattamento, non si prevedono rischi per l’allattamento stesso.
Deve essere presa la decisione se usare il vaccino in donne in gravidanza di concerto con il medico, dopo aver considerato i benefici e i rischi.



Tra le altre cose l’EMA dichiara che si tratta di “una autorizzazione subordinata a condizioni.

Significa che dovranno essere forniti ulteriori dati sul vaccino per due anni
”.


Di fronte a questo quadro di informazioni, è davvero così sbagliato porsi qualche domanda e avere qualche dubbio?

Perché accanirsi con tanta violenza contro chi lo vuole fare e dichiara di non volersi vaccinare?

Tanto più che esiste un diritto di scelta legalmente riconosciuto?


Criminalizzare e condannare alla gogna mediatica chi fa una scelta diversa da quella ufficiale equivale a negare ‎qualsiasi diritto di scelta
.

In fondo di fronte alle domande fondamentali come quella relativa al
Può Cominarty ridurre la trasmissione del virus da un soggetto all’altro” e a quella
Quanto dura la protezione di Comirnaty”, l’EMA risponde rispettivamente con “non è ancora noto” e “non si conosce”.


Quindi la presunta superiorità morale di chi dice che si vaccina per rispetto degli altri,
è basata su un dato che “non è ancora noto” e che “non si conosce”.



Non voglio rispondere alla sua provocazione sul fatto che non ho diritto a farmi curare dagli ospedali italiani.

Sono cittadina di Hong Kong (mentre non sono cittadina italiana) dove vivo da dieci anni
e le autorità di qui hanno sicuramente abdicato su molti diritti civili ultimamente,
ma non hanno mai sollevato alcun dubbio o reticenza sulla volontà di assicurare trattamento sanitario a ogni cittadino,
indipendentemente da come la pensa sui vaccini.


Come vede, a volte, la difesa dei diritti inviolabili del cittadino la trovi dove meno te la aspetti.


Però credo che i ricatti morali e pratici uniti alla volontà di relegare chi non si vaccina tra i paria della società
escludendolo da ogni servizio pubblico, dalla possibilità di lavorare e di muoversi e, secondo lei,
anche dall’avere accesso alle cure mediche, non aiuti a convincere gli indecisi.


Anzi.


Appare l’atto di prevaricazione di chi, non avendo gli strumenti per convincere, fa valere la legge del più forte.


È questo quello a cui è destinata la nostra società oggi?

Il sopravvento di quella parte della società che, riconoscendosi superiore sul piano morale,
si sente legittimata a decidere per tutti qual è il bene comune da conseguire con l’uso della forza?

Con stima,
Heather Elizabeth Parisi
 
La Parisi, una soubrette, si è dimostrata più giornalista di Luca Telese.

Che, intendiamoci, non è certo il più rappresentativo della sua categoria in quanto a scientismo acritico
e probabilmente anche di comodo (garantisce di non farsi cacciare a pedate dalla conduzione dei grandi studi televisivi).


Tanto che lui rispondeSiamo d’accordo, ovviamente, sul fatto che dilemmi così grandi non si risolvono a colpi di slogan“.


Ah! Siamo d’accordo?

Sul serio?

E allora perché liquidate a colpi di slogan tutti quelli che questi “dilemmi così grandi“, a differenza vostra,
se li pongono sul serio e si prendono tutta la responsabilità di subire una costante macchina del fango, tutti i giorni,
per il solo fatto di non essere politicamente allineati al corteo di topolini che seguono il pifferaio magico fino al mare?


Continua Telese: “E per questo, in linea con lo spirito di questa testata, approfondiremo nei prossimi giorni,
sul nostro sito, con degli esperti, anche molti dei suoi dubbi (alcuni dei quali partono da interrogativi fondati che attraversano tutti noi)
“.


No, Telese.

Non millantare uno “spirito” che non avete.

State soltanto cercando di parare il colpo perché la verità è che Heather Parisi,
elencando tutte le risposte date dall’Aifa e dall’Ema stesse,
vi ha messi con le spalle al muro e state provando ad improvvisarvi liberali e aperti al dialogo solo per uscire dall’angolo.



Se davvero voi aveste fatto il vostro lavoro di giornalisti,
e non quello poco nobile e molto più sicuro di mettervi in scia delle grandi navi da crociera,
come gabbianelle affamate, a raccattare gli avanzi che il potere economico e finanziario gettava dai boccaporto,
senza librarsi mai in cielo ad un’altezza sufficiente per guardare la rotta sulla quale quei giganti del mare
stavano conducendo tutti i loro passeggeri, questi “approfondimenti” li avreste condotti già da tempo,
sui vostri accreditatissimi siti web, sulle vostre ricchissime trasmissioni quotidiane – e non vi sono certamente mancati i mezzi.

Avreste invitato i vari sacerdoti del potere scientista non per onorarli e celebrare sacri riti in loro onore,
ma per metterli a confronto con questi dubbi e queste domande che, caro Telese, attraversano la società ormai da anni.


Ma la tua categoria, in tutti questi anni, ha massacrato centinaia di migliaia,
forse milioni di famiglie che chiedevano solo di capire,
che osavano esercitare il loro spirito critico e non chiedevano altro che ascoltare dibattiti, confronti seri.



Quei dibattiti che qui in rete a noi sono stati negati, perché gli dei dell’Olimpo scientista si sono sempre rifiutati di partecipare,
convinti come sono di appartenere ad una razza aliena di rango superiore a quella di una madre che doveva scegliere se vaccinare o no i suoi tre figli,
che per lei erano tutto, erano la sua vita, mentre per costoro erano solo numeri da snocciolare con sprezzante sicumera,
certi come sono di avere ricevuto direttamente dal creatore il diritto divino di disporre delle nostre vite
senza che noi si possa obiettare o anche solo esitare.

Avete chiamato quelle madri e quei padri “negazionisti”, “no vax”, “complottisti”, “contrari al progresso”.

Avete detto e scritto che sono “untori”, che meritano di non essere curati,

che dovrebbero essere violati nel loro corpo, presi con la forza,

che devono perdere la patria potestà, proprio loro che quella responsabilità genitoriale

l’hanno presa così seriamente da osare chiedere risposte certe prima di affidare i loro bambini

agli sherpa inoculatori che lavorano in catena di montaggio,

gli stessi per i quali “i danneggiati da vaccino non esistono”,

sebbene esista addirittura una legge dello Stato per risarcirli.



Su una cosa Heather Parisi, tra le altre, ha certamente ragione, quando dice che
i ricatti morali e pratici uniti alla volontà di relegare chi non si vaccina tra i paria della società escludendolo da ogni servizio pubblico,
dalla possibilità di lavorare e di muoversi e, secondo lei, anche dall’avere accesso alle cure mediche, non aiuti a convincere gli indecisi.
Anzi. Appare l’atto di prevaricazione di chi, non avendo gli strumenti per convincere, fa valere la legge del più forte
“.


In Piemonte il 40% dei cittadini sono scettici o contrari alla vaccinazione (fonte: il Corriere della Sera).

Sono due milioni di “negazionisti”, “no vax”, “complottisti” o “webeti” (per usare un’espressione cara al tuo amico Mentana)?

Quanti sono secondo te nelle altre regione?

Vi siete chiesti davvero perché, o pensate che appartengano tutti ad una specie inferiore,
incapace di comprendere i sacri testi degli scriba unti dal Signore?


Perché Myrta Merlino si stupisce pubblicamente, dichiarandosi esterrefatta,
che in Italia ci siano 20 o 30 milioni di persone che non vogliono vaccinarsi
(a cominciare, ironia della sorte, proprio dal personale sanitario)?

Dov’è stata in tutti questi anni?

Non era meglio farlo, un salto fuori dagli studi televisivi, ogni tanto?

Perché da giornalista quale è, invece di schiacciarsi sulle tesi dei detentori di brevetti,
non realizza anche lei trasmissioni dove si va a fondo delle questioni,
mettendo a confronto veri scienziati con gli scientisti di ogni risma, senza trappoloni, senza tesi precostituite o scalette compiacenti?


Te lo dico io perché, Telese, che un po’ di televisione per mia sfortuna l’ho conosciuta, prima di cominciare a rifiutare gli inviti:

perché i vostri stipendi arrivano dagli sponsor pubblicitari,

e le case farmaceutiche grazie alle loro politiche lobbiste da caimani

hanno oggi budget superiori al PIL di molti stati,

budget di cui nessuno dei vostri grandi editori può fare a men
o.


E poi perché se vi azzardate a realizzare una trasmissione seria di approfondimento,
i grandi faraoni dell’esercito mediatico scientista iniziano a darvi buca
e la prima cosa che vi succede è che non avete più ospiti in trasmissione
(come accade a noi, che veniamo accusati di non fare i confronti,
ma nessuno sa che sono gli stessi ospiti a rifiutarsi di farli).


La seconda cosa che vi succede è probabilmente che vi chiudono il programma,
come è successo a Paragone con La Gabbia, e non lavorate più da nessuna parte.

Al massimo potrete scrivere sul giornalino di quartiere.


Diciamola la verità sullo stato dell’informazione in questo Paese:

i giornalisti non vogliono rischiare la carriera, perché i signori che hanno il portafoglio in mano, se sgarrano, gliela distruggono.


Non siete stati liberi fino ad oggi.


Avete chiuso gli occhi e avete preferito non vedere.



E' umano cercare di mantenersi in sella al cavallo che vi sta dando tante soddisfazioni.

Gli eroi sono pochi e poi fanno tutti una brutta fine.

Adesso però, almeno, abbiate la compiacenza di non rivendervi come quelli il cui “spirito della testata” è improntato al confronto.

Quello che farete è fare il giro delle sette chiese per preparare un pezzo che possa rispondere alle domande di Heather Parisi
e tranquillizzare non tanto lei, di cui nulla vi interessa, ma le tante persone che hanno letto, compreso e condiviso le sue parole.

A lei avete risposto solo per cercare di tapparle la bocca, per chiudere la stalla prima che i buoi scappassero,
su mandato di quella stessa élite scientista di cui adesso cercherete di sostenere le ragioni.


E lo dimostra la prima, secca risposta che le hai dato.


Io invece, Luca, da anni faccio mio quel vecchio aforisma di Bertolt Brecht:

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”.


È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.
 
Dunque, come ampiamente previsto da chi conosce i suoi polli,
il Governo della paura sta rilanciando la sua linea di restrizioni
anche dopo averci fatto passare il peggior Natale della nostra vita.

E lo sta facendo in un confuso marasma di annunci,
di modifiche e di contro-modifiche (quella relativa alle zone gialle rafforzate è magnifica)
con il quale risulta assai difficile districarsi.


Ora, dopo quasi un anno vissuto all’insegna di un durissimo regime sanitario che, repetita iuvant,

i numeri della pandemia non giustificano affatto,

nel mondo dell’informazione sono ancora ben poche le persone autorevoli che si oppongono ad una narrazione folle

che sta contribuendo a portare il Paese nell’inferno del sottosviluppo, non solo economico.



Tra questi spicca per coerenza e determinazione Nicola Porro il quale, attraverso le sue seguitissime “Zuppe” mattutine,
sostiene sin dall’inizio di questa tragedia – prima che sanitaria – politica, sociale ed economica, il vessillo delle libertà costituzionali.


Chi ha la fortuna o sfortuna, a seconda del punto di vista, di frequentarmi sa bene che non sono uso alle facili adulazioni.

Tuttavia, non faccio fatica ad ammettere che soprattutto nei giorni più bui del lunghissimo confinamento in casa della scorsa primavera,
le citate “Zuppe” hanno rappresentato per me, e credo per moltissime altre persone, un breve ma significativo sollievo quotidiano.


Un squarcio di buon senso nell’ambito di un panorama giornalistico quasi completamente sdraiato sulle posizioni terrorizzanti

di chi ha deciso di contrastare una malattia dalla bassa letalità – il 99,7 per cento di chi la contrae sopravvive –

con il blocco di buona parte dell’economia e con gli arresti domiciliari di massa.



Al pari di altri amici che condividono le mie crescenti perplessità circa le misure dittatoriali del Governo Conte,
mi sembra incredibile che, al di fuori delle citate “Zuppe” e di qualche altro coraggioso quotidiano di area liberale,
continui ad imperversare quello che lo stesso Porro ha efficacemente definito come il giornale unico del virus,
con tutta la sua devastante informazione del terrore, se così vogliamo definirla.



D’altro canto, a ben pensarci, se ai vertici del sistema politico sono arrivate persone a cui personalmente
non affiderei neppure la gestione della bocciofila del mio quartiere,
forse non è poi così assurdo che ad un Paese che si definisce avanzato non restino che le “Zuppe” e poco altro
per ascoltare e leggere qualcosa di ragionevole sulla pandemia di follia in atto.


Povera Italia.
 
Si vede e si intravede.


Cari italiani, forse non ve ne siete accorti, ma abbiamo vinto la battaglia contro il coronavirus.

Come?

Dite che forse un’economia al collasso e la rabbia dei cittadini costretti da tempo a tenere abbassate le saracinesche
rinunciando al lavoro non sono proprio segnali di un successo?

Vi sbagliate, e di grosso.

A dirlo è il ministro ai Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, che ai microfoni di Agorà, su Rai Tre,
è stato capace di lanciarsi in una grottesca celebrazione del governo giallorosso,
parole talmente surreali da aver subito scatenato la reazione rabbiosa degli utenti,
increduli di fronte all’ennesima follia di questo esecutivo ormai senza più nemmeno una dignità.


D’Incà, forse convinto di essere capitato in un programma di barzellette, ha infatti spiegato, gonfiando il petto:

“La maggioranza è quella che fino ad oggi ci ha permesso di poter affrontare questa sfida nei confronti del Coronavirus e di vincerla, fino ad oggi.
Adesso dobbiamo completare questa vittoria e portare finalmente il risultato… per uscire dalla pandemia”.


Parole che hanno suscitato lo stupore degli altri ospiti in studio, con Stefano Zurlo del Giornale a replicare:

“Vincere la sfida con il record dei morti è un po’ azzardata come affermazione,
poi mi rendo conto che siamo in una crisi mondiale drammatica
ed è molto facile parlare e bacchettare come stiamo facendo da uno studio televisivo”.


Si potrebbe azzardare il più classico dei “siamo alle comiche”, se la questione non fosse maledettamente seria.

Mentre D’Incà si loda e sbroda pubblicamente, si moltiplicano in tutta Italia le proteste delle categorie di lavoratori
costretti a rinunciare alla propria attività a causa dell’incapacità del governo di affrontare l’emergenza:
la seconda ondata, ampiamente prevedibile, ha colto di sorpresa Conte & co.,
che hanno saputo rispondere soltanto imponendo agli italiani di rinunciare a spostamenti, lavoro, pranzi e cene.

Mentre gli aiuti promessi continuano ad arrivare in maniera centellinata
e decisamente fuori tempo massimo per aiutare famiglie ormai in ginocchio a causa dell’incapacità manifesta del mondo politico.


A D’Incà sarebbe stato forse il caso di ricordare, tra l’altro,
che mentre Conte parlava di “Italia come esempio per tutto il mondo” nella gestione della pandemia,
una manina ormai non più anonima faceva sparire un dossier dell’Oms in cui si certificava
come il nostro Paese non avesse un piano pandemico aggiornato.

Era stato l’onnipotente Ranieri Guerra, come evidenziato dalla trasmissione Report,
a occuparsi di nascondere la cosa, evitando notevoli imbarazzi ai giallorossi.


La verità, però, purtroppo, ha il brutto vizio di saltar fuori, di tanto in tanto.
 
Gent.mo Senatore Paragone,


mi rivolgo a lei in quanto depositario di molte idee del M5S che loro hanno completamente tradito e dei quali non mi fido più.


Segnalo che ho pagato il premio annuale 2021 per l’autovettura, una vecchia Fiat Panda Young, di € 480,50.


Rilevo che per il 2020 pagai un premio di € 466,50.


Preciso che il valore per incendio e furto non è variato.


Mi chiedo e le chiedo: per quale ragione, considerato che causa Covid siamo stati chiusi in casa
e conseguentemente gli incidenti sono diminuiti, i premi RC Auto sono invece aumentati?


Grazie. Cordialmente. Lidia
 
Doccia gelata per Giuseppe Conte.

In un'intervista rilasciata qualche tempo fa a Marco Travaglio, aveva confessato che il suo modello politico è Aldo Moro.

Peccato che proprio la figlia di Aldo Moro, Maria Fida, adesso lo abbandoni e firmi la petizione di Giorgia Meloni per porre fine all'esperienza di questo governo.


"Mio figlio, Luca Moro, ed io - si legge nella lettera firmata Maria Fida Moro -
abbiamo deciso di aderire alla raccolta firme lanciata dall’onorevole Giorgia Meloni per “rispedire al mittente l’attuale Governo”.

Le ragioni sono semplicissime. Un’intera generazione di studenti ha già perso oltre sette mesi di scuola e, se va tutto bene perderà un altro anno.

L’economia del nostro Paese è stata azzerata, bonus o non bonus.

La gente è terrorizzata a causa della mancanza di informazioni chiare e precise.

Siamo tutti agli arresti domiciliari, ma non sappiamo fino a quando.

È stato eroso il potere sovrano del Parlamento e cancellati, come se fosse normale, i diritti inviolabili dell’uomo.

Primo fra tutti la libertà, che è il bene più prezioso di tutti.



Mio padre, Aldo Moro, è stato ucciso e come lui tanti altri servitori dello Stato in nome della libertà.

Ci sono state innumerevoli terribili guerre per riavere e difendere la libertà.

La normalità non è una gentile concessione del Governo, è il nostro destino di uomini liberi,
creati a immagine e somiglianza di Dio che ci ha fatto dono del libero arbitrio.

Non siamo pedine inanimate su una scacchiera.

Siamo persone!

Il Governo faccia al meglio il proprio lavoro, cosa che fin ora non ha saputo fare, invece di tiranneggiare sugli italiani.

Dove sono gli uomini di legge e coloro che hanno studiato diritto?

Dove sono gli uomini di buona volontà?

Dov’è la gente di buon senso?

Dove sono gli uomini liberi?


Venite a firmare o i morti di tutte le guerre saranno morti invano".
 
Il rapporto tra popolo e potere (o poteri) non è mai stato idilliaco,
e storicamente le conflittualità sono sempre state mediate da quelli che oggi definiremmo corpi intermedi,
ovvero religioni, tribuni del popolo, mafie, sacerdoti, maghi, sindacalisti…partiti politici.

Va detto che il potere ha sempre cercato di comprare i rappresentanti dei corpi intermedi, quanto meno d’addomesticarli.


Inutile ribadire che la storia dei popoli è diversa, ma presenta comunque similitudini.

Negli ultimi duecento anni le aristocrazie storiche hanno pian pianino ceduto lo scettro a quelle tecnologico-finanziarie.

Il rapporto tra popolo e nuovi padroni del potere è stato comunque calmierato da corpi intermedi
come chiesa, sindacati e partiti politici (negli ultimi settant’anni si sono aggiunte le organizzazioni internazionali).


Ma oggi siamo ad una svolta epocale, ad una resa di conti, tra popolo e potere.


Questo perché il potere non ha più bisogno del popolo, degli esseri umani.



Il potere non ha più bisogno di braccia che lavorino nei campi o nelle fabbriche,

e nemmeno di tanti addetti alle manutenzioni edili ed urbane,

troppi sono anche insegnanti ed impiegati, pericolosi gli autonomi dediti ad artigianato e commercio.

Questi ultimi rappresentano per il potere l’insidiosa classe che potrebbe azionare l’ascensore sociale,

tentando la prevaricazione economica nei riguardi del potere consolidato.


Per bloccare ogni tumulto, quindi evitare che vengano insidiati i poteri,

è stato siglato un patto di stabilità tra i gruppi mondiali che detengono il potere.



Il patto tra poteri (amministratori di gruppi finanziari, multinazionali tecnologiche ed industria della sicurezza) prende il nome di “Great Reset”,

ed è stato siglato al Forum di Davos circa vent’anni fa, nel 2001: durante quell’appuntamento, dal titolo “Global information technology report”,

si definirono a Davos le basi del “Great Reset”.



Il 2 gennaio 2021, Maurizio Blondet ha pubblicato un estratto dell’Economist (settimanale di Sir Evelyn de Rothschild)

in cui si acclarano i postulati di quello storico accordo di Davos:
ovvero

- soppressione della proprietà privata,

- limitazione della mobilità dei popoli,

- limiti al lavoro creativo ed individuale,

- introduzione della moneta elettronica per scongiurare risparmio individuale ed accumulo di danaro fuori dal controllo dei sistemi bancari,

- rafforzamento delle norme di sicurezza al fine di controllare l’agire degli individui.


Norme e metodiche che, i potenti di Davos hanno fatto digerire alle politiche nazionali come antidoto alla distruzione del pianeta.


In pratica la salvaguardia del Pianeta verrebbe garantita con la schiavitù dei popoli.


Nicoletta Forcheri
ha già documentato la mitica riunione di Davos sulla web-tv ByoBlu,
determinando l’ira del conformismo mediatico italiano:

non dimentichiamo che gran parte dei giornalisti italioti gradivano essere ospiti negli alberghi di Davos.



Nel 2016 il piano del Forum di Davos viene illustrato dall’Istituto Mises
: ovvero

diviene di dominio pubblico la volontà del potere di abolire la proprietà privata.


Il titolo di quel rapporto (e programma) è
No privacy, no property: the world in 2030 according to the Wef”.


Quindi entro il 2030 i potenti della terra contano d’aver convinto tutti gli stati del pianeta
ad abolire per legge la proprietà di alloggi e strumenti di produzione.

In questo progetto del potere si rivela provvidenziale la pandemia da Covid,

- che sta di fatto agevolando la criminalizzazione del lavoro umano (valutato come primo fattore d’inquinamento),

- del turismo di massa e

- della socializzazione umana in genere.


La pandemia sta anche favorendo il depauperamento del risparmio individuale di coloro che non sono parte del sistema:

ovvero tutti gli individui che non lavorano per entità statali e multinazionali.


Perché il Great Reset prevede che debbano essere chiuse tutte le attività individuali artigianali e commerciali,

e per favorire l’accordo unico tra grande distribuzione e commercio elettronico.


Obiettivo dei signori di Davos è far decollare il reddito universale (la “povertà sostenibile”) entro il secondo trimestre 2021:

sarebbero proprio artigiani e commercianti a dover per primi abbandonare le rispettive attività per piegarsi ad un programma di “povertà sostenibile”.



La pandemia s’è rivelata fondamentale per l’opera di convincimento al non lavoro.


“Oltre la privacy e la proprietà” è una pubblicazione, per il World economic forum, dell’ecoattivista danese Ida Auken
(dal 2011 al 2014 ministro dell’Ambiente della Danimarca, ancora membro del Parlamento danese)
e parla d’un mondo “senza privacy o proprietà”:

immagina un mondo in cui “non possiedo nulla, non ho privacy e la vita non è mai stata migliore”.


L’obiettivo è entro il 2030 (scenario di Ida Auken) che

“lo shopping e il possesso sono diventati obsoleti, perché tutto ciò che una volta era un prodotto ora è un servizio.

In questo suo nuovo mondo idilliaco, le persone hanno libero accesso a mezzi di trasporto,

alloggio, cibo e tutte le cose di cui abbiamo bisogno nella nostra vita quotidiana”.



I poteri si sono inseriti in questi disegni utopici e, per fare propri tutti i beni dei popoli,
hanno elaborato la trappola della “povertà sostenibile”, il reddito di base garantito.


Antony Peter Mueller (professore tedesco di Economia) sottolinea che questo progetto va oltre il comunismo più estremo.


“L’imminente esproprio andrebbe oltre anche la richiesta comunista – nota Mueller –
questa vuole abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione, ma lascia spazio ai beni privati.
La proiezione del Wef afferma che anche i beni di consumo non sarebbero più proprietà privata (…)
secondo le proiezioni dei “Global future Councils” del Wef, la proprietà privata e la privacy saranno abolite nel prossimo decennio.
Le persone non possederanno nulla. Le merci sono gratuite o devono essere prestate dallo Stato”.


“La proprietà privata è di ostacolo al capitalismo”, afferma l’Economist nel suo elogio alle politiche del Forum di Davos.


L’Fmi (Fondo monetario internazionale) ha sposato il programma del Forum di Davos,

infatti è partito il programma mondiale di reset del debito:


in cambio gli stati con maggiore debito pubblico sarebbero i primi a dover garantire ai poteri

che i cittadini perdano per sempre la proprietà privata di qualsiasi bene.



E chi gestirebbe i beni confiscati?

Le élite, che pensano di risolvere il problema abolendo mondialmente la proprietà privata,

hanno già predisposto un unico fondo planetario che controlli i diritti sui beni e terreni.


L’idea, davvero utopica, veniva per la prima volta paventata da George Soros nel 1970,

due anni dopo la sua invenzione degli “hedge fund”:

il cosiddetto “sistema finanziario buono” che convinse moltissimi hippie sessantottini a trasformarsi in yuppies finanziari di successo.



Ora che il pianeta è ancor più bruciato dai debiti, gli stessi tentano di reinterpretare Karl Marx e Friedrich Engels,
e questa volta lo fanno raccontandoci che c’è in “dispotismo asiatico buono”
e che poggia sull’“assenza della proprietà privata…chiave della pace per i popoli”.


Un particolare, non secondario per noi italiani, è che ai passati Forum di Davos era ospite fisso Gianroberto Casaleggio
(fondatore dell’omonima azienda che controlla i 5 Stelle):

ne deriva che, su noi italiani potrebbe abbattersi la sperimentazione d’abolizione della proprietà privata.

Un programma che partirebbe certamente con una modifica costituzionale:

del resto l’Unione europea chiede da almeno un decennio che lo stato ponga limiti alla libertà privata in Italia

(circa l’80 per cento dei cittadini italiani vivono in case di proprietà).


Ecco che i pignoramenti europei, che dovrebbero colpire i proprietari anche per minimi importi,

agevolerebbero la transizione delle proprietà italiane verso un fondo immobiliare europeo.


Poi la carestia e la mancanza di danaro che decollerebbero entro luglio 2021 (interruzione programmata delle catene di rifornimento)

darebbero alla società la grande instabilità economica utile alla svendita dei beni ai grandi gruppi finanziari:

i “compro casa” (collegati alle grandi finanziarie) stanno affacciandosi al mercato insieme ai “compro oro”.


Di fatto, i potenti della terra stanno riportando l’orologio della storia al tempo di sumeri, babilonesi ed egiziani pre-ellenistici:
quindi a prima che il diritto romano desse certezza alla proprietà privata.

Quest’ultima garantiva la libertà dei cittadini, la loro non sudditanza verso un unico padrone,
era meritocratica perché costruita da colui che lavorava e risparmiava.


Ecco perché lo scrivente condivide le parole (e l’appello) di Maurizio Blondet:

“Ciò che viene venduto al pubblico come promessa di uguaglianza e sostenibilità ecologica è in realtà un brutale assalto alla dignità umana e alla libertà”.



Del resto, il discorso di buon anno di Angela Merkel non lascia spazio a fraintendimenti:

la potente tedesca ha detto che necessita colpire giudiziariamente i pensatori complottisti,

istituendo un reato europeo di negazionismo che permetta di punire

chi critica verità processuali, giudiziarie, finanziarie e scientifiche.


La proprietà privata, ed il lavoro libero ed individuale, danno all’uomo libertà e lo sottraggono all’omologazione ordinata dai potenti.


L’Occidente sta accettando supinamente una dittatura
da cui è difficile sortire,
perché sicurezza informatica, forze di polizia (eserciti e security di multinazionali),
magistratura e governi sono illuminati dai potenti di Davos.

Ed i potenti gestiscono il potere come la propria fattoria,
parafrasando il dittatore paraguaiano Alfredo Stroessner:

in Paraguay le forze dell’ordine giuravano fedeltà al potere.


Quest’ultima è consuetudine in tutte le multinazionali, le stesse che oggi stanno subentrando al controllo degli stati democratici.
 
La vicenda delle presidenziali negli Stati Uniti è finita come doveva finire:
per l’ultimo atto di Donald Trump da capo della prima potenza mondiale,
uno scenario wagneriano da Crepuscolo degli dei.

L’assalto a Capitol Hill, simbolo della democrazia occidentale, è stato un errore e, insieme,
una trappola in cui i rozzi sostenitori di “The Donald” si sono cacciati trascinando con loro la reputazione dello stesso Trump.

A dirla tutta, per le modalità con le quali si è svolta l’incursione nell’edificio del Congresso
c’è da sospettare che quella follia a qualcuno dei nemici del presidente in carica non dispiacesse affatto,
al punto da auspicarla se non proprio favorirla
.

Perché, decorticando la realtà dal denso strato di demagogia con cui il mondo progressista ha narrato l’accaduto all’opinione pubblica mondiale,
le conseguenze concrete del gesto inconsulto sono state un generoso regalo al neoeletto Joe Biden,
ai Democratici e ai loro supporter incistati negli interstizi del Deep State (lo Stato profondo dei cosiddetti poteri forti)
che è stato il vero nemico politico della presidenza Trump.



Dopo Capitol Hill a Trump e a i suoi sostenitori sarà difficile continuare a battere sul tasto del furto elettorale subìto.

Tuttavia, la farsa dell’assalto al Parlamento,
proseguita con la sceneggiata delle anime belle del progressismo sull’insurrezione contro le “sacre” istituzioni democratiche,
non sana la faglia che divide l’America in profondità e che riflette la condizione di una crisi identitaria dell’Occidente.

Al netto del folklore dei rivoltosi di Capitol Hill, la piazza che si è radunata a Washington
per contestare la proclamazione ufficiale della vittoria di Joe Biden restituisce la fotografia di quel popolo degli abissi

(la locuzione è stata coniata dallo storico dell’Economia, Giulio Sapelli) che emerge dalle profondità delle aree marginalizzate delle società capitalistiche,
bucando la superficie del conformismo ideologico.

L’obiettivo della protesta, debordata in scimmiottamenti ribellistico-insurrezionali,
è di rendere manifesta la rabbia verso un sistema socio-culturale-economico
che penalizza gli esclusi dalle dinamiche della globalizzazione inducendo disperazione economica ed esistenziale.

Sbeffeggiare i ruspanti contestatori muniti di elmi con le corna, di pelli di bisonte e di armi, criminalizzarli, insultarli non servirà ad eliminarli.

Il malessere nell’America profonda c’è e non saranno le condanne e le sopracciglia inarcate dei benpensanti ad estirparlo.

È possibile che dopo la follia di ieri l’altro Donald Trump si sia giocato il proprio futuro politico,
ma il trumpismo, e tutto ciò che esso ha rappresentato per gli Stati Uniti e per l’Occidente, non è morto.

È un fuoco che coverà sotto la cenere, pronto a ravvivarsi quando la razza padrona progressista,

che oggi si riconosce in Joe Biden e ancor più nella vicepresidente Kamala Harris,

proverà a completare la trasformazione antropologica della società americana,

e di rimando occidentale, iniziata da Barack Obama.



Esploderà quando i “liberal” di Washington e la buona borghesia dell’Upper side della costa atlantica
spalancheranno le porte all’onda, azzeratrice della storia, mossa dalla “Cancel Culture”.

L’incendio propagherà quando nelle scuole e nelle università
grandi capolavori della letteratura e dell’arte non potranno più essere letti o studiati perché giudicati razzisti o sessisti.

Com’è accaduto in una High School del Massachusetts dove gli insegnanti, adepti del “Disrupt Texts”,
hanno sentenziato che l’Iliade e l’Odissea dovessero essere espunte dai programmi di studio
essendo stato ritenuto Omero “un bieco razzista e sessista”
(la notizia è riportata nell’illuminante articolo di Michele Marsonet, pubblicato su Atlantico, di cui si consiglia la lettura).


Siamo sulla soglia dell’abisso con l’inverarsi nel reale del mondo descritto da Ray Bradbury nel profetico Fahrenheit 451:

chissà che un giorno alcuni di noi, i più tenaci, non saranno costretti a imparare a memoria le grandi opere del passato

per poterle salvare dalla furia iconoclasta del politicamente corretto per poi trasmetterle alle future generazioni

quando il mondo sarà liberato dalla dittatura del progressismo.


Ciò che di spaventoso si va delineando all’orizzonte della coppia Biden-Harris è l’instaurazione di una democrazia-simulacro,
che dell’antica forma di governo mantiene l’involucro esteriore ma ne ha dismesso il contenuto sostanziale,
di rappresentazione fedele della sovranità popolare.


La democrazia-simulacro ha un linguaggio universale, il politicamente corretto, al quale non solo gli statunitensi ma tutti gli occidentali dovranno adeguarsi.


Ma cosa accadrà quando in nome dell’ideologia “green”, in tutto l’Occidente verranno bruciati milioni di posti di lavoro?

Cosa accadrà quando il solco che divide le élite dei privilegiati dalle masse dei diseredati diventerà una voragine incolmabile?


La razza padrona di Washington con i suoi referenti europei, anche italiani, punta a disegnare il futuro di una quota d’umanità,

cancellandone storia, identità, memoria e riscrivendo i codici di alcuni valori finora ritenuti fondanti.


Come quello assoluto della libertà di espressione.


Nel giorno della bravata dei trumpiani a Capitol Hill, di là dall’infantile sbrego al simbolo della democrazia (costato la vita a quattro manifestanti),

il vero atto sostanziale di privazione della libertà l’hanno compiuto i manipolatori del pensiero,

che controllano l’immenso mondo dei social, decidendo autoritativamente di oscurare i messaggi del presidente Trump.



A seguito degli incidenti nella capitale, Facebook ha bloccato a tempo indeterminato la pagina di Donald Trump.

Il proprietario Mark Zuckerberg, secondo le ricostruzioni di Axios, avrebbe definito la situazione a Washington un’emergenza.


Domandiamoci allora chi sia più pericoloso per la sopravvivenza dell’idea di libertà:

il rozzo contestatore che si fa fotografare seduto alla scrivania della Speaker alla Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi,

o il titolare di una rete social di dimensioni planetarie che decide insindacabilmente chi debba esprimersi e chi invece debba essere censurato?


Oggi si parla di Stati Uniti e sono tante le anime belle del progressismo nostrano
che l’altra notte si sono straccate le vesti per la protesta inscenata a Washington.


Eppure, le medesime anime belle non si preoccupano di ciò che sta accadendo in Italia
con un governo minoritario nella volontà popolare che imperterrito continua a tenere in scacco il Paese.


C’è un comun denominatore che connette il progressismo delle due sponde dell’Atlantico:

la pretesa di riconfigurare la democrazia privandola dell’elemento strutturale della volontà popolare.



Nel luglio del 2019, in un’intervista al Financial Times,
il leader russo Vladimir Putin parlò apertamente di democrazia liberale finita nel presente contesto storico.


L’asserzione destò l’indignazione dei liberal occidentali,

cioè di quegli stessi che hanno trovato giusto che, negli Stati Uniti,

la prassi elettorale democratica venisse profanata dal ricorso massiccio al voto postale,

tutt’altro che trasparente, nella convinzione che il fine (far fuori politicamente Donald Trump)

giustificasse il mezzo (la truffa elettorale).



Resta da chiedersi chi meglio abbia intonato il De profundis allo spirito autentico della democrazia:

i sovranisti, brutti sporchi e cattivi, o

i progressisti, campioni del Bene e delle buone maniere?


La giornata dell’assalto a Capitol Hill andrà presto in archivio
e verrà tirata fuori soltanto per completare l’opera di annientamento del nemico politico Donald Trump.

Ma qualcosa è sfuggito al perfetto quadretto confezionato dalla narrazione liberal:

i rozzi invasori di Capitol Hill un risultato l’hanno ottenuto.



Hanno avuto il loro martire, l’eroina in nome della quale continuare la crociata anti-progressista.


È Ashli Babbit, la donna (disarmata) uccisa da un proiettile al cuore esploso da un agente in servizio al Campidoglio.



La Babbit era nel vivo della protesta perché convinta fan di Donald Trump.

Aveva 35 anni ed era una veterana dell’Us Air Force.

Nelle foto sui social amava apparire con la maglietta del QAnon, l
a milizia estremista che sostiene teorie complottiste sul ruolo del Deep State nell’affossare la presidenza Trump.


Giusta o sbagliata che fosse la sua idea, quel che certo è che da domani la defunta Babbit

sarà un’icona da portare in battaglia alla testa delle schiere dei “barbari”, visti all’opera ieri l’altro.


E quando un popolo di disperati trova la sua Giovanna d’Arco alla quale votarsi, per i nemici e persecutori, di solito, non finisce bene.
 

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