Debito pubblico, Tremonti: «L'Italia
come la Germania e meglio degli Usa»
Le tabelle mostrano che altri Paesi dovranno fare manovre più pesanti. «Merito del governo Berlusconi»
il ministro dell'economia al fondo Monetario Internazionale
Debito pubblico, Tremonti: «L'Italia
come la Germania e meglio degli Usa»
Le tabelle mostrano che altri Paesi dovranno fare manovre più pesanti. «Merito del governo Berlusconi»
MILANO - Le tabelle del Fondo Monetario Internazionale «ci vedono messi sul debito pubblico insieme, a fianco della Germania e molto meglio di tanti altri grandi Paesi, Stati Uniti compresi». Lo ha affermato il ministro dell'Economia Giulio Tremonti a margine del lavori del Fondo Monetario Internazionale, precisando che «questo è oggettivamente un merito del governo Berlusconi». «Questo non vuol dire che dobbiamo mollare la presa e che possiamo riprendere a spendere - ha aggiunto Tremonti - è esattamente l'opposto, ma almeno è un investimento per tutti». Il ministro ha spiegato che le tabelle da lui citate sono delle proiezioni dell'Fmi per arrivare a un debito/pil del 60% nel 2030 e illustrano per ogni Paese gli aggiustamenti strutturali che vanno fatti. Per l'Italia l'aggiustamento da attuare tra il 2010 e il 2020 per raggiungere tale obiettivo è attorno al 4% dell'avanzo primario, leggermente superiore a quello che dovrà fare la Germania.
«NON SIAMO PIU' LA PECORA NERA» - Parlando più nello specifico del debito italiano, che si può collocare a fianco di quello di Paesi come la Germania, Tremonti ha specificato che «questo vuol dire che i tedeschi hanno di per sé una grande virtù, noi abbiamo dovuto fare di necessità virtù». A suo parere, tuttavia, «è positivo alla fine trovarci nella parte migliore delle classifiche. Di solito non era così». «Per tanto tempo siamo stati la pecora nera - ha aggiunto il ministro - vedere oggi che l'Italia è vicina alla Germania e molto meglio di altri Paesi è una cosa che ci sembra positiva e che come governo Berlusconi ci riempie di orgoglio». «I dati ci dicono che dobbiamo fare almeno come i tedeschi e magari un po' di più, ma sicuramente le manovre che andranno fatte dagli altri Paesi sono molto più grandi e più pesanti per la gente di quelle che dovremmo fare anche noi i prossimi anni. Alla fine quello che conta sono i numeri e dicono che le difficoltà non sono finite e che dobbiamo fare di più», ha concluso Tremonti.
DRAGHI E LA RIFORMA - Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, è intervenuto a proposito della riforma del sistema finanziario internazionale, che a suo giudizio non metterà a rischio il rimbalzo dell'economia. Nel corso di una conferenza stampa tenuta al termine del G20 in qualità di presidente dell'Fsb, Draghi ha affermato: «Molti progressi sono stati fatti, ma i prossimi sei o sette mesi saranno cruciali per consolidarli». In generale, il numero uno di Palazzo Koch ha notato che «quanto più ci si avvicina al momento della riforma, tanto più le resistenze aumentano» e ha sottolineato che «sarà realizzata soltanto quando la ripresa sarà pienamente stabilita». Inoltre, «la sua realizzazione sarà graduale».
BANCHE PIU' SICURE - L'obiettivo, ha osservato il governatore, «è avere banche più sicure, anche se magari meno redditizie». Draghi ha individuato tre aree di lavoro: ridurre la probabilità di fallimenti, costruire un meccanismo per cui eventuali fallimenti possano essere gestiti in modo ordinato, le interconnessioni e i canali di diffusione del contagio. Quanto alla questione delle istituzioni di importanza sistemica, le cosiddette "too big to fail", Draghi ha rilevato che «al momento c'è un menu di opzioni ma è molto improbabile che tutti i Paesi facciano le stesse cose». Serve però, ha aggiunto, «un minimo comune denominatore». Infine Draghi si è soffermato sul mancato accordo nel G20 sull'imposizione di una tassa globale sulle banche, escludendo però che eventuali prelievi fiscali possano entrare in competizione con la «necessità prioritaria» di rafforzare il capitale degli istituti. Secondo il governatore, «alcuni Paesi lo faranno senza curarsi di ciò che faranno gli altri, altri Paesi non lo faranno a prescindere», in particolare, ha concluso Draghi, quelli che «non hanno messo soldi per salvare i propri istituti e ora avrebbero problemi a tassarli».