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Aquila della notte
Scenari
Servizio
di Marco Valsania
11 marzo 2025
2 min
US President Donald Trump speaks in the Roosevelt Room of the White House in Washington, DC, on March 3, 2025. (Photo by ROBERTO SCHMIDT / AFP)
I punti chiave
WASHINGTON. Il rischio recessione negli Usa non è solo nelle parole di Donald Trump, che evoca sacrifici sulla strada di «qualcosa di grande». Si fa strada in barometri meno volubili: le chance di crisi misurate dagli analisti delle banche sono salite fino al 40% e decine di protagonisti della Corporate America hanno dato fiato ad allarmi, nei commenti sui bilanci e nei documenti depositati alla Sec, per gli effetti a cascata non solo di guerre commerciali o retate anti-immigrati ma anche di tagli indiscriminati a spesa federale e pubblica amministrazione.
Nuovi dazi, salvo sorprese date le recenti altalene, sono in arrivo già il 12 marzo, del 25% su tutto l’import di acciaio e alluminio. Il commissario al commercio dell’Unione europea, Maros Sefcovic, ha dichiarato che la Casa Bianca «non sembra impegnata a raggiungere un accordo». Altri sono previsti per il 2 aprile, comprese tariffe reciproche universali.
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Per Goldman Sachs le percentuali sono inferiori ma gli orizzonti sono ugualmente più cupi: il pericolo recessione è lievitato al 20% dal 15% con l’avvertimento che aumenterà se le scelte dell’amministrazione continueranno nonostante un peggioramento dei dati economici.
Morgan Stanley, citando soprattutto le tariffe, ha ridimensionato l’ipotesi di crescita all’1,5% nel 2025 e all’1,2% nel 2026, alzando le stime sul carovita, sollevando nei fatti lo spettro di stagflazione. E c’è chi teme che neppure interventi accelerati della Fed possano salvare l’economia da contrazioni.
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Ma oggi è sempre più anche la rivoluzione al governo a seminare panico: il Washington Post ha censito decine di moniti pubblici di società sui danni al business dei caotici cambiamenti nei programmi federali sotto l’egida del Doge di Elon Musk.
Compresi gruppi che avevano scommesso su un’era d’oro con Trump: dalla tecnologia alla farmaceutica, dall’immobiliare alla difesa. I risparmi rivendicati dal Doge sono stati spesso smentiti dai fatti, ma i tagli sono reali: dalla cancellazione dei contratti «non essenziali» (tuttavia manca ogni definizione) a licenziamenti di massa in enti cruciali, quali la Food and Drug Administration, che paralizzano nuovi medicinali.
Colossi degli uffici evocano svalutazioni quale ricaduta dell’esodo di dipendenti pubblici. E, prima ancora delle ultime cadute, Barclays aveva stimato che le aziende più esposte alle sciabolate del Doge erano sotto del 20% rispetto all’S&P 500.
Dazi, tagli del Doge e immigrati: l'allarme per l'economia Usa cresce
Preoccupazioni in aumento: JP Morgan porta al 40%
Servizio
di Marco Valsania
11 marzo 2025
2 min

I punti chiave
WASHINGTON. Il rischio recessione negli Usa non è solo nelle parole di Donald Trump, che evoca sacrifici sulla strada di «qualcosa di grande». Si fa strada in barometri meno volubili: le chance di crisi misurate dagli analisti delle banche sono salite fino al 40% e decine di protagonisti della Corporate America hanno dato fiato ad allarmi, nei commenti sui bilanci e nei documenti depositati alla Sec, per gli effetti a cascata non solo di guerre commerciali o retate anti-immigrati ma anche di tagli indiscriminati a spesa federale e pubblica amministrazione.
Nuovi dazi, salvo sorprese date le recenti altalene, sono in arrivo già il 12 marzo, del 25% su tutto l’import di acciaio e alluminio. Il commissario al commercio dell’Unione europea, Maros Sefcovic, ha dichiarato che la Casa Bianca «non sembra impegnata a raggiungere un accordo». Altri sono previsti per il 2 aprile, comprese tariffe reciproche universali.
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Le stime delle grandi banche
JP Morgan Chase guida la carica del pessimismo tra i colossi della finanza: ha portato le probabilità di recessione al 40% dal 30% a inizio anno: «Vediamo rischi materiali di caduta in recessione quest’anno a seguito di politiche estreme».Per Goldman Sachs le percentuali sono inferiori ma gli orizzonti sono ugualmente più cupi: il pericolo recessione è lievitato al 20% dal 15% con l’avvertimento che aumenterà se le scelte dell’amministrazione continueranno nonostante un peggioramento dei dati economici.
Morgan Stanley, citando soprattutto le tariffe, ha ridimensionato l’ipotesi di crescita all’1,5% nel 2025 e all’1,2% nel 2026, alzando le stime sul carovita, sollevando nei fatti lo spettro di stagflazione. E c’è chi teme che neppure interventi accelerati della Fed possano salvare l’economia da contrazioni.
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Aziende e incertezza
Il clima preoccupa le aziende. Paura e incertezza create dallo yo-yo dei dazi dominano: la US Chamber of Commerce, principale associazione di business, ha invitato l’amministrazione a retromarce denunciando impennate dei costi. In affanno sono settori dall’auto, con le sue catene integrate di produzione, al retail, che dipende da fornitori globali.Ma oggi è sempre più anche la rivoluzione al governo a seminare panico: il Washington Post ha censito decine di moniti pubblici di società sui danni al business dei caotici cambiamenti nei programmi federali sotto l’egida del Doge di Elon Musk.
Compresi gruppi che avevano scommesso su un’era d’oro con Trump: dalla tecnologia alla farmaceutica, dall’immobiliare alla difesa. I risparmi rivendicati dal Doge sono stati spesso smentiti dai fatti, ma i tagli sono reali: dalla cancellazione dei contratti «non essenziali» (tuttavia manca ogni definizione) a licenziamenti di massa in enti cruciali, quali la Food and Drug Administration, che paralizzano nuovi medicinali.
Colossi degli uffici evocano svalutazioni quale ricaduta dell’esodo di dipendenti pubblici. E, prima ancora delle ultime cadute, Barclays aveva stimato che le aziende più esposte alle sciabolate del Doge erano sotto del 20% rispetto all’S&P 500.