Sharnin 2
Forumer storico
Banche, è «accanimento terapeutico»
Alfonso Tuor
Il governo britannico ha varato ieri un nuovo piano da più di 100 miliardi di sterline, il secondo dopo il pacchetto di aiuti dello scorso autunno, per il salvataggio delle banche e la stabilizzazione dei mercati finanziari. Fra i principali provvedimenti annunciati dal Cancelliere dello Scacchiere, Alistair Darling, l’acquisto di altre azioni di Royal Bank of Scotland, fino ad arrivare a una partecipazione del 68 per cento (dal 58 per cento) e un programma assicurativo per tutelare le banche dalle perdite dovute ai cosiddetti titoli tossici, al fine di rendere disponibile sui mercati liquidità per prestiti a compagnie e privati.
Stati Uniti e Gran Bretagna stanno prendendo atto di quello che era evidente a tutti coloro che non avevano voluto chiudere gli occhi per non vedere: il sistema bancario internazionale è insolvente e finora la sua bancarotta è stata evitata unicamente grazie ai continui interventi dei Governi e delle banche centrali. Washington e Londra non vogliono però cedere all’evidenza e quindi procedono ad una versione bancaria di quello che abitualmente viene chiamato «accanimento terapeutico». Ma queste continue ed insistenti terapie non solo non riusciranno a salvare le banche, ma rischiano di incrinare la fiducia dei risparmiatori nei titoli attraverso i quali gli Stati finanziano i loro disavanzi pubblici e anche nel valore della moneta. Siamo quindi ad un nuovo pericoloso salto di qualità della cosiddetta crisi dei mutui subprime iniziata nell’agosto del 2007.
Il pacchetto inglese è di grande importanza poiché tutto lascia intendere che farà scuola. Esso consiste in un trasferimento di grandi dimensioni agli Stati delle enormi perdite ancora nascoste nelle pieghe dei bilanci delle banche. Infatti lo Stato britannico assicurerà il valore dei titoli tossici detenuti dalle banche. In pratica, ogni banca che intende beneficiare del programma preannuncerà al Governo la percentuale di perdite che si aspetta da ogni prodotto nel suo portafoglio e lo Stato stipulerà un contratto di assicurazione che coprirà il 90% delle perdite aggiuntive sullo stesso prodotto. La soluzione di assicurare i titoli tossici è già stata adottata dagli Stati Uniti per evitare la bancarotta di Citigroup e di Bank of America. Nel caso di Citigroup il Tesoro americano ha garantito 300 miliardi di dollari di attività; in quello di Bank of America 118 miliardi di dollari.
Il piano di Londra non si limita a fornire una garanzia statale sul valore dei titoli tossici, ma prevede altre due iniziative. Le obbligazioni convertibili, con cui si erano ricapitalizzate alcune banche, verranno trasformate in azioni ordinarie, poiché gli istituti non sono in grado di pagare gli interessi. Di transenna, ricordiamo che anche la Confederazione ha versato a UBS 6 miliardi di franchi sotto la forma di un’obbligazione convertibile ad un tasso del 12% oltre al prestito di 60 miliardi elargito dalla Banca Nazionale per finanziare l’acquisto dei titoli tossici della maggiore banca svizzera.
Ma tutto ciò ancora non basta: il Governo inglese fornirà garanzie alle banche per raccogliere fondi legati ai nuovi prestiti elargiti alle imprese e alle famiglie e ha anche preannunciato che sta studiando di fornire un’assicurazione sulle nuove obbligazioni emesse dalle società britanniche. Queste due misure tentano di alleggerire il problema determinato dal fatto che le banche concedono sempre meno credito alle imprese e alle famiglie, aggravando in questo modo la crisi economica.
Il secondo pacchetto inglese dimostra che i 400 miliardi di sterline stanziati lo scorso mese di ottobre per salvare il sistema sono stati risucchiati in poche settimane dal «buco nero» rappresentato dai titoli legati al mercato immobiliare americano e soprattutto dall’enorme quantità di prodotti costruiti dalla nuova ingegneria finanziaria, tra i quali spiccano i Credit Default Swap (ossia una forma di assicurazione sul valore di un’obbligazione) e gli Hedge Funds. La situazione non è diversa al di là dell’Atlantico. Citigroup, il maggiore gruppo finanziario del mondo, è ormai senza speranze, a tal punto che verrà diviso in due, dando vita ad una «bad bank» in cui verranno parcheggiate tutte le attività in difficoltà e i titoli tossici. Ma non c’è solo Citigroup: negli Stati Uniti il reparto di cure intense del settore bancario è molto affollato. L’ultimo istituto ad esservi entrato è la Bank of America, che nel giro di poche settimane sarà seguita da un altro colosso bancario, JP Morgan.
Il moltiplicarsi degli sforzi per tentare di salvare il sistema bancario può solo rinviare la data della bancarotta e soprattutto rischia paradossalmente di far precipitare la crisi. L’oligarchia finanziaria, con l’autorevole sostegno della Federal Reserve, sostiene che non si può uscire dalla crisi se prima non verrà risanato il sistema bancario. I sostenitori di questa tesi dimenticano però di esplicitare i costi di questo salvataggio. Un’idea delle somme in gioco la si può ricavare dalle migliaia di miliardi già spesi da Stati e banche centrali senza ottenere alcun risultato apprezzabile. Negli Stati Uniti si sono già spesi 8.000 miliardi di dollari, mentre il pacchetto inglese dello scorso ottobre è costato 400 miliardi di sterline.
È oramai indiscutibile che per risanare i catastrofici bilanci delle banche occorrerebbero altre migliaia di miliardi. Se non si abbraccia la teoria che i soldi possono essere stampati all’infinito senza alcuna conseguenza negativa, è pure ovvio che questa soluzione rischia di incrinare la fiducia nei titoli di Stato e quindi anche nel valore della moneta. A quel punto non vi sarebbero non solo le risorse, ma nemmeno i mezzi per aiutare le imprese e le famiglie che sono e soprattutto saranno le vere vittime di questa crisi provocata dall’industria finanziaria. Basti pensare che alcuni operatori ed economisti, fino a poco tempo fa di proclamata fede liberista, si sono ora messi ad invocare la nazionalizzazione delle banche. Tale prospettiva è da scongiurare, poiché vorrebbe dire trasferire completamenten le perdite dalle banche allo Stato, anche con lo scopo di salvare parti di quel sistema finanziario ombra e non regolamentato, come gli Hedge Funds.
Bisogna invece riconoscere che non si può salvare tutto e tutti e che bisogna stabilire delle priorità. Quindi occorre salvare la parte buona del sistema bancario, lasciare fallire la parte malata e concentrare le risorse per rilanciare l’economia, per difendere l’occupazione e il settore industriale. Solo attraverso questa scelta vi è la speranza di uscire veramente dalla crisi.
20.01.09 01:27:10
Alfonso Tuor
Il governo britannico ha varato ieri un nuovo piano da più di 100 miliardi di sterline, il secondo dopo il pacchetto di aiuti dello scorso autunno, per il salvataggio delle banche e la stabilizzazione dei mercati finanziari. Fra i principali provvedimenti annunciati dal Cancelliere dello Scacchiere, Alistair Darling, l’acquisto di altre azioni di Royal Bank of Scotland, fino ad arrivare a una partecipazione del 68 per cento (dal 58 per cento) e un programma assicurativo per tutelare le banche dalle perdite dovute ai cosiddetti titoli tossici, al fine di rendere disponibile sui mercati liquidità per prestiti a compagnie e privati.
Stati Uniti e Gran Bretagna stanno prendendo atto di quello che era evidente a tutti coloro che non avevano voluto chiudere gli occhi per non vedere: il sistema bancario internazionale è insolvente e finora la sua bancarotta è stata evitata unicamente grazie ai continui interventi dei Governi e delle banche centrali. Washington e Londra non vogliono però cedere all’evidenza e quindi procedono ad una versione bancaria di quello che abitualmente viene chiamato «accanimento terapeutico». Ma queste continue ed insistenti terapie non solo non riusciranno a salvare le banche, ma rischiano di incrinare la fiducia dei risparmiatori nei titoli attraverso i quali gli Stati finanziano i loro disavanzi pubblici e anche nel valore della moneta. Siamo quindi ad un nuovo pericoloso salto di qualità della cosiddetta crisi dei mutui subprime iniziata nell’agosto del 2007.
Il pacchetto inglese è di grande importanza poiché tutto lascia intendere che farà scuola. Esso consiste in un trasferimento di grandi dimensioni agli Stati delle enormi perdite ancora nascoste nelle pieghe dei bilanci delle banche. Infatti lo Stato britannico assicurerà il valore dei titoli tossici detenuti dalle banche. In pratica, ogni banca che intende beneficiare del programma preannuncerà al Governo la percentuale di perdite che si aspetta da ogni prodotto nel suo portafoglio e lo Stato stipulerà un contratto di assicurazione che coprirà il 90% delle perdite aggiuntive sullo stesso prodotto. La soluzione di assicurare i titoli tossici è già stata adottata dagli Stati Uniti per evitare la bancarotta di Citigroup e di Bank of America. Nel caso di Citigroup il Tesoro americano ha garantito 300 miliardi di dollari di attività; in quello di Bank of America 118 miliardi di dollari.
Il piano di Londra non si limita a fornire una garanzia statale sul valore dei titoli tossici, ma prevede altre due iniziative. Le obbligazioni convertibili, con cui si erano ricapitalizzate alcune banche, verranno trasformate in azioni ordinarie, poiché gli istituti non sono in grado di pagare gli interessi. Di transenna, ricordiamo che anche la Confederazione ha versato a UBS 6 miliardi di franchi sotto la forma di un’obbligazione convertibile ad un tasso del 12% oltre al prestito di 60 miliardi elargito dalla Banca Nazionale per finanziare l’acquisto dei titoli tossici della maggiore banca svizzera.
Ma tutto ciò ancora non basta: il Governo inglese fornirà garanzie alle banche per raccogliere fondi legati ai nuovi prestiti elargiti alle imprese e alle famiglie e ha anche preannunciato che sta studiando di fornire un’assicurazione sulle nuove obbligazioni emesse dalle società britanniche. Queste due misure tentano di alleggerire il problema determinato dal fatto che le banche concedono sempre meno credito alle imprese e alle famiglie, aggravando in questo modo la crisi economica.
Il secondo pacchetto inglese dimostra che i 400 miliardi di sterline stanziati lo scorso mese di ottobre per salvare il sistema sono stati risucchiati in poche settimane dal «buco nero» rappresentato dai titoli legati al mercato immobiliare americano e soprattutto dall’enorme quantità di prodotti costruiti dalla nuova ingegneria finanziaria, tra i quali spiccano i Credit Default Swap (ossia una forma di assicurazione sul valore di un’obbligazione) e gli Hedge Funds. La situazione non è diversa al di là dell’Atlantico. Citigroup, il maggiore gruppo finanziario del mondo, è ormai senza speranze, a tal punto che verrà diviso in due, dando vita ad una «bad bank» in cui verranno parcheggiate tutte le attività in difficoltà e i titoli tossici. Ma non c’è solo Citigroup: negli Stati Uniti il reparto di cure intense del settore bancario è molto affollato. L’ultimo istituto ad esservi entrato è la Bank of America, che nel giro di poche settimane sarà seguita da un altro colosso bancario, JP Morgan.
Il moltiplicarsi degli sforzi per tentare di salvare il sistema bancario può solo rinviare la data della bancarotta e soprattutto rischia paradossalmente di far precipitare la crisi. L’oligarchia finanziaria, con l’autorevole sostegno della Federal Reserve, sostiene che non si può uscire dalla crisi se prima non verrà risanato il sistema bancario. I sostenitori di questa tesi dimenticano però di esplicitare i costi di questo salvataggio. Un’idea delle somme in gioco la si può ricavare dalle migliaia di miliardi già spesi da Stati e banche centrali senza ottenere alcun risultato apprezzabile. Negli Stati Uniti si sono già spesi 8.000 miliardi di dollari, mentre il pacchetto inglese dello scorso ottobre è costato 400 miliardi di sterline.
È oramai indiscutibile che per risanare i catastrofici bilanci delle banche occorrerebbero altre migliaia di miliardi. Se non si abbraccia la teoria che i soldi possono essere stampati all’infinito senza alcuna conseguenza negativa, è pure ovvio che questa soluzione rischia di incrinare la fiducia nei titoli di Stato e quindi anche nel valore della moneta. A quel punto non vi sarebbero non solo le risorse, ma nemmeno i mezzi per aiutare le imprese e le famiglie che sono e soprattutto saranno le vere vittime di questa crisi provocata dall’industria finanziaria. Basti pensare che alcuni operatori ed economisti, fino a poco tempo fa di proclamata fede liberista, si sono ora messi ad invocare la nazionalizzazione delle banche. Tale prospettiva è da scongiurare, poiché vorrebbe dire trasferire completamenten le perdite dalle banche allo Stato, anche con lo scopo di salvare parti di quel sistema finanziario ombra e non regolamentato, come gli Hedge Funds.
Bisogna invece riconoscere che non si può salvare tutto e tutti e che bisogna stabilire delle priorità. Quindi occorre salvare la parte buona del sistema bancario, lasciare fallire la parte malata e concentrare le risorse per rilanciare l’economia, per difendere l’occupazione e il settore industriale. Solo attraverso questa scelta vi è la speranza di uscire veramente dalla crisi.
20.01.09 01:27:10