Sharnin 2
Forumer storico
Eurolandia, l'estate sta finendo
21 ago 2010
di ALFONSO TUOR
Con l’approssimarsi della fine del periodo delle vacanze estive riemergono i problemi lasciati aperti dalla crisi. La moneta unica europea ha ripreso a scendere, i mercati azionari sono in ribasso, mentre crescono le preoccupazioni sulle prospettive dell’economia americana e sulla tenuta di Eurolandia. Tutto ciò può apparire piuttosto strano visti gli ottimi risultati ottenuti dalla locomotiva tedesca, che nel secondo trimestre di quest’anno è cresciuta ad un tasso da primato del 2,2% e che, stando alle stime della Bundesbank, dovrebbe chiudere questo 2010 con un tasso di espansione del 3%. Questi dati invidiabili devono però essere letti attentamente.
Innanzitutto, come mette in rilievo la stessa Banca centrale tedesca, nonostante questi tassi di crescita la Germania ha recuperato solo la metà del PIL perso durante la crisi. In secondo luogo, gran parte dell’espansione (si stima attorno al 70%) è dovuta alle esportazioni verso la Cina, ossia verso un’economia che sta visibilmente rallentando a causa delle politiche restrittive adottate da Pechino. Infine, ed è l’aspetto più importante, la forte ripresa della Germania mette ancor più in rilievo l’andamento divergente delle economie che fanno capo all’euro. Infatti, al passo di corsa dell’economia tedesca fanno da contraltare l’andamento stagnante di Spagna, Portogallo ed Irlanda e la contrazione superiore alle previsioni dell’economia greca. Le esigenze di questi Paesi, che insieme rappresentano circa il 20% del PIL di Eurolandia, sono completamente diverse da quelle tedesche. Ne consegue che il Governo della signora Merkel intende realizzare le misure previste per contenere il disavanzo pubblico, mentre i Governi di questi Paesi cominciano a manifestare insofferenza verso gli impegni presi, a tal punto che il primo ministro spagnolo Zapatero ha già rotto i ranghi ripristinando una serie di investimenti pubblici cancellati negli scorsi mesi. Questa indisciplina è destinata ad accentuarsi anche a causa delle tensioni politiche e sociali provocate dalle misure di austerità. E ciò non riguarda unicamente i Paesi in maggiore difficoltà, ma anche un Paese come la Francia dove si incontrano seri problemi a varare un piano credibile di riduzione del disavanzo pubblico, come viene richiesto dall’Unione europea.
A questi problemi, che sono palesi, se ne aggiungono altri che si cerca di tenere nascosti. Tra questi spiccano le difficoltà di rifinanziamento del sistema bancario spagnolo, che ha di fatto ostruito l’accesso al mercato e si rifinanzia grazie alla liquidità fornita dalla Banca centrale europea. O ancora le perdite, nettamente superiori alle previsioni, di alcune banche irlandesi che hanno dovuto essere prese a carico dal Governo di Dublino. Per non parlare della situazione delle banche greche. Dunque, nulla o molto poco è cambiato in Europa in queste ultime settimane di relativa calma dei mercati, dovuta principalmente al successo delle aste grazie alle quali questi Paesi sono riusciti a raccogliere capitali sui mercati per finanziare i loro debiti pubblici. Il successo di queste aste ha però indotto a trascurare il dato di fatto che il differenziale tra i rendimenti dei titoli pubblici tedeschi e quelli di questi Paesi si è allargato. Anche se è incontestabile che questo processo è principalmente dovuto al calo dei rendimenti dei titoli tedeschi, esso è comunque un’ulteriore prova dell’andamento divergente dei Paesi che compongono Eurolandia.
Tutto ciò induce a ritenere che dopo questa quiete estiva, che forse sta già finendo, le turbolenze all’interno dell’area dell’euro siano destinate a manifestarsi nuovamente, riproponendo la contrapposizione tra i diktat di una Germania che chiede il risanamento dei conti pubblici e una politica monetaria non lassista e le esigenze non solo dei Paesi in maggiore difficoltà, ma anche di Francia ed Italia, che considerano questa impostazione alla stregua di una camicia di forza che non lascia spazio di manovra per contrastare le tendenze negative. Questa contraddizione, che appare insanabile, è destinata a riemergere con forza nelle prossime settimane, anche perché l’attuale brusca frenata dell’economia statunitense e il rallentamento della crescita dei principali Paesi emergenti inducono a ritenere che si stia concludendo un’altra fase di questa crisi, ossia quella della breve e temporanea ripresa dovuta alle eccezionali misure di stimolo monetario e fiscale varate dalla maggior parte dei Paesi.
Quello che si staglia all’orizzonte appare sempre più chiaro. Un nuovo forte rallentamento dell’economia mondiale, la cui intensità varierà da Paese a Paese. Ciò non porterà ad una risposta unitaria dei principali Paesi, come avvenne con il vertice del G20 di Londra di inizio aprile 2009, ma a scelte differenziate e per certi versi contraddittorie. Tra queste, e appare la via pericolosa, vi sarà la tentazione delle svalutazioni competitive per guadagnare qualche punto di crescita a scapito degli altri Paesi. All’interno dell’Europa si acuiranno le tensioni tra la Germania e i Paesi latini che indeboliranno ancora l’euro e molto probabilmente porteranno all’uscita della Germania dalla moneta unica europea. In questo contesto si rafforzeranno le pressioni deflazionistiche che costringeranno ad adottare nuovi pacchetti di stimolo fiscale e spingeranno alcuni Paesi a continuare a stampare moneta.
Insomma, la crisi finanziaria, iniziata nell’estate del 2007 con lo scoppio del bubbone dei mutui subprime americani e che ha toccato il suo apice con il fallimento della Lehman Brothers del settembre 2008, è lungi dall’essere conclusa.
21 ago 2010
di ALFONSO TUOR
Con l’approssimarsi della fine del periodo delle vacanze estive riemergono i problemi lasciati aperti dalla crisi. La moneta unica europea ha ripreso a scendere, i mercati azionari sono in ribasso, mentre crescono le preoccupazioni sulle prospettive dell’economia americana e sulla tenuta di Eurolandia. Tutto ciò può apparire piuttosto strano visti gli ottimi risultati ottenuti dalla locomotiva tedesca, che nel secondo trimestre di quest’anno è cresciuta ad un tasso da primato del 2,2% e che, stando alle stime della Bundesbank, dovrebbe chiudere questo 2010 con un tasso di espansione del 3%. Questi dati invidiabili devono però essere letti attentamente.
Innanzitutto, come mette in rilievo la stessa Banca centrale tedesca, nonostante questi tassi di crescita la Germania ha recuperato solo la metà del PIL perso durante la crisi. In secondo luogo, gran parte dell’espansione (si stima attorno al 70%) è dovuta alle esportazioni verso la Cina, ossia verso un’economia che sta visibilmente rallentando a causa delle politiche restrittive adottate da Pechino. Infine, ed è l’aspetto più importante, la forte ripresa della Germania mette ancor più in rilievo l’andamento divergente delle economie che fanno capo all’euro. Infatti, al passo di corsa dell’economia tedesca fanno da contraltare l’andamento stagnante di Spagna, Portogallo ed Irlanda e la contrazione superiore alle previsioni dell’economia greca. Le esigenze di questi Paesi, che insieme rappresentano circa il 20% del PIL di Eurolandia, sono completamente diverse da quelle tedesche. Ne consegue che il Governo della signora Merkel intende realizzare le misure previste per contenere il disavanzo pubblico, mentre i Governi di questi Paesi cominciano a manifestare insofferenza verso gli impegni presi, a tal punto che il primo ministro spagnolo Zapatero ha già rotto i ranghi ripristinando una serie di investimenti pubblici cancellati negli scorsi mesi. Questa indisciplina è destinata ad accentuarsi anche a causa delle tensioni politiche e sociali provocate dalle misure di austerità. E ciò non riguarda unicamente i Paesi in maggiore difficoltà, ma anche un Paese come la Francia dove si incontrano seri problemi a varare un piano credibile di riduzione del disavanzo pubblico, come viene richiesto dall’Unione europea.
A questi problemi, che sono palesi, se ne aggiungono altri che si cerca di tenere nascosti. Tra questi spiccano le difficoltà di rifinanziamento del sistema bancario spagnolo, che ha di fatto ostruito l’accesso al mercato e si rifinanzia grazie alla liquidità fornita dalla Banca centrale europea. O ancora le perdite, nettamente superiori alle previsioni, di alcune banche irlandesi che hanno dovuto essere prese a carico dal Governo di Dublino. Per non parlare della situazione delle banche greche. Dunque, nulla o molto poco è cambiato in Europa in queste ultime settimane di relativa calma dei mercati, dovuta principalmente al successo delle aste grazie alle quali questi Paesi sono riusciti a raccogliere capitali sui mercati per finanziare i loro debiti pubblici. Il successo di queste aste ha però indotto a trascurare il dato di fatto che il differenziale tra i rendimenti dei titoli pubblici tedeschi e quelli di questi Paesi si è allargato. Anche se è incontestabile che questo processo è principalmente dovuto al calo dei rendimenti dei titoli tedeschi, esso è comunque un’ulteriore prova dell’andamento divergente dei Paesi che compongono Eurolandia.
Tutto ciò induce a ritenere che dopo questa quiete estiva, che forse sta già finendo, le turbolenze all’interno dell’area dell’euro siano destinate a manifestarsi nuovamente, riproponendo la contrapposizione tra i diktat di una Germania che chiede il risanamento dei conti pubblici e una politica monetaria non lassista e le esigenze non solo dei Paesi in maggiore difficoltà, ma anche di Francia ed Italia, che considerano questa impostazione alla stregua di una camicia di forza che non lascia spazio di manovra per contrastare le tendenze negative. Questa contraddizione, che appare insanabile, è destinata a riemergere con forza nelle prossime settimane, anche perché l’attuale brusca frenata dell’economia statunitense e il rallentamento della crescita dei principali Paesi emergenti inducono a ritenere che si stia concludendo un’altra fase di questa crisi, ossia quella della breve e temporanea ripresa dovuta alle eccezionali misure di stimolo monetario e fiscale varate dalla maggior parte dei Paesi.
Quello che si staglia all’orizzonte appare sempre più chiaro. Un nuovo forte rallentamento dell’economia mondiale, la cui intensità varierà da Paese a Paese. Ciò non porterà ad una risposta unitaria dei principali Paesi, come avvenne con il vertice del G20 di Londra di inizio aprile 2009, ma a scelte differenziate e per certi versi contraddittorie. Tra queste, e appare la via pericolosa, vi sarà la tentazione delle svalutazioni competitive per guadagnare qualche punto di crescita a scapito degli altri Paesi. All’interno dell’Europa si acuiranno le tensioni tra la Germania e i Paesi latini che indeboliranno ancora l’euro e molto probabilmente porteranno all’uscita della Germania dalla moneta unica europea. In questo contesto si rafforzeranno le pressioni deflazionistiche che costringeranno ad adottare nuovi pacchetti di stimolo fiscale e spingeranno alcuni Paesi a continuare a stampare moneta.
Insomma, la crisi finanziaria, iniziata nell’estate del 2007 con lo scoppio del bubbone dei mutui subprime americani e che ha toccato il suo apice con il fallimento della Lehman Brothers del settembre 2008, è lungi dall’essere conclusa.