Tuor - Il mercato da solo non ce la fa

Sharnin 2

Forumer storico
Crisi finanziaria
Il mercato da solo non ce la fa
Alfonso Tuor

Nella settimana che sta per concludersi la crisi che scuote il sistema finanziario ha registrato un salto di qualità. Si è iniziato con il salvataggio della banca di investimento americana Bear Stearns da parte della Federal Reserve con l’ausilio di JP Morgan; si è continuato con la decisione della Banca centrale americana di concedere alle banche di investimento USA l’accesso diretto alle sue operazioni di rifinanziamento e si è decisa una riduzione dei tassi statunitensi di tre quarti di punto, così come del tasso di sconto già tagliato di un quarto di punto con una mossa a sorpresa domenica scorsa.
Ma non è finita. Negli scorsi giorni accanto alla Fed è sceso in campo anche lo Stato federale americano. In primo luogo, acconsentendo che la Banca centrale accettasse di assorbire 30 miliardi di dollari di titoli a forte rischio detenuti da Bear Stearns, ma anche cambiando le regole di funzionamento dei due giganti del credito ipotecario, Freddie Mac e Fannie Mae, affinché possano erogare altri 200 miliardi di dollari di ipoteche e sostenendo la proposta, che dovrebbe essere approvata nei prossimi giorni, secondo cui la Federal Housing Finance Board potrà acquistare 160 miliardi di dollari di titoli legati al mercato immobiliare.
Insomma, lo Stato federale americano ha cominciato ad intervenire direttamente, anche se lo ha fatto in modo camuffato per non incrinare la «religiosa fiducia» in un mercato in grado, da solo, di affrontare e risolvere la crisi.
Nonostante queste misure, una soluzione della crisi non sembra all’orizzonte. Infatti la tensione sui mercati finanziari continua a rimanere elevata a tal punto che ieri la Banca centrale europea ha dovuto di nuovo iniettare svariati miliardi di euro per cercare di ridurre i tassi sul mercato interbancario (quello in cui le banche si prestano tra loro i soldi) saliti ai massimi dalla fine dell’anno scorso anche a causa dell’annuncio di ulteriori perdite della tedesca IKB e del «profit warning» del Credit Suisse che ha comunicato che nel primo trimestre di quest’anno non farà alcun utile (poiché – aggiungiamo noi – dovrà operare importanti rettifiche di valore dei titoli e/o dei crediti che detiene in portafoglio).
Insomma, la situazione continua a peggiorare e il superattivismo delle autorità politiche e monetarie americane non sta finora producendo risultati.
Anzi, la crisi «morde» sempre più l’economia reale americana: i prezzi degli immobili continuano a scendere, mentre continuano ad aumentare i pignoramenti. Inoltre, i tagli dei tassi (scesi dal 5,25% al 2,25%) decisi dalla Federal Reserve sono serviti essenzialmente a compensare l’aumento dei costi di rifinanziamento delle banche con il risultato che non vi è stato un ribasso dei tassi ipotecari e quindi non vi è stata la corsa delle famiglie americane a rifinanziare a tassi più bassi le loro ipoteche. D’altro canto, gli indici precursori dell’economia reale segnalano che è in pieno corso la contrazione dell’economia reale. Sul fronte finanziario la crisi non investe più solo i titoli con cui sono stati finanziati i mutui ipotecari subprime, ma si è estesa a quasi tutte le categorie di credito, incidendo anche sulla capacità di raccogliere capitali da parte degli enti pubblici (in primis dei Comuni americani).
Alcuni ritengono che, nonostante i ribassi del costo del denaro e le massicce iniezioni di liquidità attuate dalla Federal Reserve, stiamo assistendo ad una veloce contrazione del credito (ossia ad un vero e proprio «credit crunch»), le cui dinamiche principali sono facilmente spiegabili. Le banche sono a corto di capitale a causa delle perdite già denunciate e soprattutto a causa dei titoli e dei crediti a rischio, che ancora detengono nei loro bilanci, e che molto probabilmente si trasformeranno in perdite. In queste condizioni non vogliono assumere nuovi rischi (concedere nuovi crediti) ed anzi vogliono ridurre le posizioni a rischio che già detengono. Ciò le induce ad essere più restrittive e, ad esempio, a chiedere maggiori garanzie per i crediti concessi agli Hedge Funds e ad altri operatori finanziari. Questa politica creditizia più restrittiva è all’origine dell’inizio del processo di implosione dell’industria degli Hedge Funds, che ha già «perso sul campo» nomi illustri come Peloton, Carlyle Capital, Focus, ecc.
L’inizio del processo di implosione degli Hedge Funds, un’industria che è prosperata sull’uso massiccio delle linee di credito bancarie, comporta la vendita da parte di questi ultimi di titoli sul mercato con la conseguenza di deprimerne i prezzi o addirittura di vederli fallire con la conseguente entrata nei bilanci bancari di altri titoli a rischio, che gli Hedge Funds avevano lasciato alle banche come pegno per i loro crediti.
Il risultato è un ulteriore peggioramento dei bilanci bancari e necessità supplementari di capitali. E il processo può continuare all’infinito, poiché le iniezioni di liquidità della Federal Reserve non migliorano la situazione patrimoniale delle banche. Infatti i soldi presi a prestito dalle banche centrali non aumentano i mezzi propri delle banche, ma servono per continuare ad operare e hanno essenzialmente l’effetto di rallentare la contrazione del credito.
Non sorprende quindi che negli Stati Uniti si cominci a pensare ad altre vie, che comunque di fatto mirano ad un grande salvataggio, diretto od indiretto, del sistema bancario da parte dello Stato. E questa settimana le autorità politiche e monetarie statunitensi hanno già compiuto i primi significativi passi in questa direzione.

21/03/2008 01:14
CdT
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto