Tuor - Salvataggio in tre mosse

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Salvataggio in tre mosse
Crisi dell'Euro ed eccesso di debiti pubblici e privati
10 mag 2010
di ALFONSO TUOR

In una drammatica fine di settimana l’Europa sfodera le ultime carte per salvare l’euro. Il piano si concretizza in tre mosse. Da un canto, la decisione di far comprare alla Banca centrale europea i titoli pubblici e la costituzione di un Fondo europeo salva-Stati; dall’altro, per superare le resistenze tedesche e della stessa BCE, la garanzia di un’accelerazione del processo di risanamento dei conti pubblici dei Paesi europei. Il compromesso raggiunto venerdì notte a Bruxelles è un cerotto di enormi dimensioni, che molto probabilmente riporterà per qualche mese la calma, ma che non risolverà i problemi.
La mossa principale è sicuramente costituita dall’allargamento del campo di azione della Banca centrale europea. L’istituto di emissione di Eurolandia è chiamato a reintrodurre le operazioni di rifinanziamento del sistema bancario a tasso fisso a sei e a dodici mesi (insomma a ripetere quanto aveva già fatto a partire dal mese di agosto del 2007 fino a pochi mesi orsono) e – ed è questa la grande novità – ad acquistare direttamente sul mercato i titoli attraverso cui gli Stati europei si finanziano. Gli acquisti di questi titoli non verrebbero effettuati direttamente dalla BCE, ma dalle vecchie banche centrali, che ancora esistono, le quali sono azioniste della BCE e costituiscono il Sistema monetario europeo. Usando le riserve che ancora detengono le vecchie banche centrali si aggirerebbe il divieto imposto alla BCE di comprare i titoli pubblici dei singoli Paesi, ma si creerebbe un altro ostacolo: queste riserve sono costituite di oro o di titoli che dovrebbero essere venduti per acquistare i titoli pubblici.
La seconda mossa è la costituzione di un Fondo europeo salva-Stati. Si tratta in buona sostanza di un mini Fondo monetario internazionale, il cui capitale sarebbe costituito da 10 miliardi di euro, che dovrebbero essere raggranellati dalla Commissione europea nelle pieghe del bilancio comunitario. A questo punto, il Fondo europeo si finanzierebbe direttamente sul mercato emettendo 60/70 miliardi di euro di titoli che verrebbero garantiti in modo esplicito dagli Stati membri dell’Unione. Si tratta di una grande novità: sarebbe il primo prestito dell’Unione europea, che diventerebbe così un soggetto autonomo sui mercati dei capitali. La creazione di questo Fondo è comunque incerta, poiché dovrà superare il veto della Gran Bretagna che considera queste modalità di finanziamento un passo verso la trasformazione dell’Unione europea in uno Stato sovranazionale.
La terza mossa è l’accelerazione dei piani di risanamento delle finanze pubbliche dei Paesi europei. Già sabato scorso i Governi di Spagna e Portogallo hanno annunciato il varo di nuove misure di austerità. Altrettanto hanno fatto il ministro italiano Giulio Tremonti, che ha presentato un budget che prevede 26 miliardi di euro di risparmi nell’arco di due anni, e il primo ministro François Fillon che ha annunciato il congelamento della spesa pubblica francese.
L’uso dell’arma nucleare costituita dall’acquisto da parte della Banca centrale europea dei titoli pubblici dovrebbe molto probabilmente riportare la calma sui mercati dei capitali e far scendere i tassi di interesse (che negli ultimi giorni si erano impennati) richiesti per sottoscrivere i titoli dei Paesi europei in difficoltà. Le operazioni di rifinanziamento a tasso fisso a sei e dodici mesi della BCE dovrebbero eliminare il pericolo, che la settimana scorsa si stava concretizzando, del crollo di uno o più istituti di credito a causa della chiusura dell’accesso al mercato interbancario. Incerta è invece la possibile reazione del tasso di cambio dell’euro. Infatti al sollievo per lo scampato pericolo, che dovrebbe spingere al rialzo la moneta unica europea, si contrappone l’apertura dei cordoni monetari da parte della BCE, che non dovrebbe aiutare l’euro. Se queste saranno le probabili reazioni dei mercati finanziari, ben più importanti sono le conseguenze economiche e anche politiche di queste scelte.
L’adozione di severe misure d’austerità da parte dei Paesi mediterranei dell’UE potrebbe far abortire una ripresa che ancora non è sbocciata ed avere pure conseguenze sulle esportazioni dei Paesi europei considerati virtuosi. In particolare, la crescita dell’economia tedesca dipenderà unicamente dall’evoluzione delle esportazioni verso l’Asia e verso gli altri Paesi emergenti. Il risultato finale potrebbe essere un’Europa spaccata in due, con il cuore in lenta ripresa mentre la periferia riprecipita in recessione. Questo scenario non farebbe altro che accentuare la divaricazione tra due diverse economie europee già emersa nel corso di questa crisi e rendere ancor più arduo il processo di risanamento dei conti pubblici dei Paesi europei deboli. Se così fosse, sarebbe la riprova che l’attuale crisi dell’euro, come quella dell’intera economia occidentale, è originata da un eccesso di debiti pubblici e privati oggi diventati insostenibili.
Ed è questo il limite delle misure adottate dall’Eurogruppo. Implicitamente esse partono dal presupposto che l’attuale crisi sia originata da un temporaneo problema di liquidità, per cui, risolto questo problema immediato, tutto si rimetterebbe a posto. La realtà è ben diversa. Il problema della Grecia, dell’Irlanda, del Portogallo, della Spagna e anche dell’Italia è di un eccesso di indebitamento privato e pubblico che, congiunto con la recessione e con una forte perdita di competitività delle economie di questi Paesi, diventa insostenibile. Non si tratta pertanto di un problema di liquidità, ma di insolvenza al pari di quelli che affliggono (e in modo ancor più grave) l’economia americana e quella britannica. Le capacità di rifinanziare questi debiti privati e pubblici è stata drasticamente ridotta dalla crisi finanziaria, che ha messo in ginocchio il sistema bancario e decurtato i risparmi delle famiglie. Ora, come è già accaduto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Giappone, la Banca centrale europea si mette a stampare soldi per finanziare questi debiti, rinviando il momento della verità, che consiste nel riconoscere che una gran parte di questi debiti sono inesigibili e quindi occorre cancellarli oppure accendere un grande falò inflazionistico per decurtarli drasticamente. Da quest’alternativa, che rimane ancora aperta, non si scappa. Le misure adottate dall’Eurogruppo sabato e domenica scorsi servono solo a rinviare il momento delle vere scelte.
Un’ultima considerazione. Durante questo fine settimana si è cercato di porre rimedio alla crisi dell’euro facendo un salto in avanti a livello politico, ossia stravolgendo gli statuti della BCE e dando all’Unione europea il diritto di emettere obbligazioni. Non è escluso che questo modo surrettizio di procedere provochi una reazione dell’opinione pubblica nei Paesi europei «forti», approfondendo le divisioni politiche all’interno dell’Unione.
 

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