UBS: presto il giudizio degli azionisti

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Forumer storico
Crisi dei mutui subprime
UBS: presto il giudizio degli azionisti
Mario Tettamanti

UBS è nella bufera. L’appuntamento di giovedì scorso con la comunicazione dei dati sull’esercizio 2007, invece di portare chiarezza ha fatto nascere parecchi dubbi, anche i più cupi. La borsa in queste circostanze non ha pietà e il titolo della grande banca svizzera è precipitato. Dalle cifre e dalle spiegazioni fornite dai massimi dirigenti dell’istituto si è chiaramente capito che la situazione è peggiore di quanto si poteva presumere. All’esposizione in mutui subprime, che dopo la prima svalutazione ammonta ora a circa 27 miliardi di dollari, si aggiunge infatti un’altra esposizione, calcolata attorno ai 26 miliardi, sempre in prestiti subprime ma di qualità leggermente migliore. Ma non è finita perché all’appuntamento vi sono ulteriori esposizioni per 11 miliardi nei confronti dei cosiddetti assicuratori di obbligazioni (bond insurer) e 3,5 miliardi verso un non ben identificato programma di crediti strutturati. Davanti a queste ammissioni e soprattutto a queste cifre è chiaro che giovedì la fiducia degli investitori nei confronti dell’istituto e soprattutto dei suoi dirigenti è caduta miseramente.
Le comunicazioni e le cifre di giovedì chiariscono altri aspetti. Per esempio la fretta e soprattutto le particolari condizioni di emissione dell’obbligazione convertibile offerta da UBS al Fondo sovrano GIC di Singapore. Oggi sappiamo che queste condizioni costituivano un buon indicatore per capire quanto fosse alto per UBS il rischio di ulteriori perdite. E’ evidente che al momento delle trattative per definire i termini dell’operazione le parti in causa hanno messo sul tavolo delle trattative tutto quello che c’era da mettere. Alla base dell’accordo vi è un’obbligazione convertibile dell’ammontare di 13 miliardi di franchi con scadenza di due anni e con una cedola che ha dell’incredibile se paragonata ai tassi di mercato. Ora lo sappiamo: in quel 9% che i gestori del Fondo di Singapore hanno preteso per prestare 13 miliardi di franchi all’UBS vi è la prevedibile mancanza di utili dovuti a ulteriori svalutazioni miliardarie per i prossimi due anni. Nell’accettare obbligatoriamente la conversione in azioni (questa è la bella notizia) vi è d’altra parte la presunzione che la banca, dopo un periodo di difficoltà, possa ritrovare la strada della crescita.
La volontà di trovare un accordo con il Fondo sovrano di Singapore e l’insistenza di UBS (spalleggiata dalla Banca nazionale svizzera e dalla Commissione federale delle banche) affinché gli azionisti ratifichino nel corso dell’Assemblea questo accordo, è ora molto più comprensibile. Meno comprensibile è invece l’opposizione di alcuni piccoli azionisti, che invocano il diritto di prelazione in caso di aumento di capitale. Un diritto che in qualsiasi caso può essere annullato dall’Assemblea e che in questo caso specifico sarebbe meglio non avanzare. Alla luce di quanto sappiamo ora, i 13 miliardi del Fondo di Singapore non sono solo importanti ma addirittura vitali.
Giovedì, abbiamo detto, i dirigenti hanno snocciolato le cifre. Il 27 febbraio, in occasione di una delle più attese assemblee societarie della storia svizzera, potranno esprimersi anche gli azionisti. Un’Assemblea che si preannuncia assai movimentata. Quali sono le domande che molti si pongono e porranno all’Assemblea? Eccone alcune: com’è stato possibile che alti dirigenti della banca investissero un ammontare così enorme delle proprie riserve in titoli ad alto rischio come i mutui subprime? Si tratta di un investimento che la banca avrebbe voluto inserire (ma non ha fatto in tempo) in strumenti finanziari da poi piazzare presso i propri clienti oppure si è trattato di un investimento voluto per far aumentare il rendimento delle proprie riserve? Com’è stato possibile che funzionari tecnicamente preparati abbiano potuto ipotizzare di evitare i rischi assicurando questi investimenti attraverso accordi con società che oggi non sono assolutamente in grado di far fronte ai loro impegni? Com’è possibile che non siano stati valutati in modo chiaro i rischi della cartolarizzazione di beni immobiliari negli Stati Uniti quando è ormai da una decina d’anni che si considerava il «mattone» americano a rischio bolla? Com’è stato possibile investire in titoli del genere e in tale quantità quando oramai da diversi anni nelle banche svizzere ha fatto la sua apparizione la figura del «risk manager», venduta come fosse il nuovo supergarante in grado di controllare tutto e tutti? Per quale motivo i dirigenti di una banca come UBS, in grado di generare ogni anno utili da capogiro nelle sue attività di private banking, di investment banking, di retail e in quelle commerciali e creditizie, hanno deciso di rendere «stellari» (oggi sappiamo con quali rischi) i già eccezionali utili degli anni passati?
A porre queste domande non saranno soltanto i piccoli azionisti o i loro rappresentanti come la fondazione Profond (gruppo zurighese che riunisce diverse casse pensioni) e come la fondazione Ethos che gestisce diversi fondi d’investimento etici e casse pensioni. Questa volta a sostegno dei «fanti svizzeri» arriverà anche la «cavalleria americana». Tra gli azionisti che stanno affilando le armi vi sono infatti alcuni hedge fund statunitensi che non hanno molto apprezzato l’andamento di borsa del titolo UBS. Ebbene questi investitori esteri, di cui non si conosce il peso (alcuni affermano che detengano il 20% dei diritti di voto), hanno già fatto sapere che in occasione dell’Assemblea non intendono assolutamente giocare alle «belle statuine». Sembra che intendano chiedere addirittura la separazione della banca in due tronconi: il Private banking da una parte e l’Investment banking dall’altra.
Chi uscirà vincitore dalla battaglia che avrà il suo epilogo il prossimo 27 febbraio? La speranza di azionisti e stakeholder (che siamo tutti noi) è che vincitrice esca UBS quale istituto, anche se al prezzo della caduta dei suoi attuali dirigenti.

CdT

16/02/2008 00:12
 

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