UN VERO VIAGGIO Di SCOPERTA NON E' CERCARE NUOVE TERRE, MA AVERE NUOVI OCCHI

Qualcuno ricorderà sicuramente la vicenda dell'orso Bruno, fucilato, qualche anno fa, dopo che aveva sconfinato in Baviera, da cacciatori tedeschi arruolati dal governo locale all'uopo.
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Non fu un episodio di bracconaggio, ma un evento previsto con largo preavviso dalle autorità tedesche. Il celebre orso che, dopo aver creato scompiglio in Alto Adige e Austria, ha avuto la pessima idea di sconfinare in Baviera, dove da 170 anni di orsi non ne vedevano, non era un cattivo orso, ma forse un tantino troppo esuberante. Visto che i tedeschi stavano bene così e non avevano rimpianti di plantigradi buoni, cattivi o zuzzurelloni, avevano cortesemente avvertito le autorità italiane sul destino che avrebbe avuto Bruno qualora avesse passato il confine. Hanno avuto un bel da dire animalisti e Grünen, che Bruno era soltanto un giovinastro, ma era un bravo orso. «Nein», ha risposto la popolazione locale. Sarà anche bravo e buono, ma se continua a mangiare pecore e galline ci rimette il pelo. Purtroppo Bruno ha continuato e i crucchi, quando hanno preso una decisione, non è facile farli tornare indietro. Infatti oggi Bruno lo potete andare a trovare imbalsamato all'ingresso di un museo di Monaco.
Gli svizzeri non sono esattamente tedeschi, ma ci vanno piuttosto vicini. Anche loro hanno una certa propensione per l'ordine, la pulizia, la puntualità (si pensi ai loro orologi) e la privacy (si pensi ai capitali che hanno nelle banche) e la sicurezza. Quando l'orso, denominato M13, ha cominciato ad avvicinarsi troppo agli abitati e a non mostrare paura dell'uomo è scattato quello che loro chiamano «Strategia Orso Svizzera» che non ci va tanto per il sottile. L'orso è un bravo orso? Bene, giri pure sulle montagne innevate, si mangi le sue marmotte, i suoi stambecchi e noi saremo felici di ospitarlo nel nostro Paese. L'orso non è un bravo orso? Si avvicina troppo alle persone, mangia pecore e galline suscitando l'ira di pastori e allevatori, insomma può diventare pericoloso per l'ordine pubblico? La soluzione è pronta e «tranchant». Un bel pallettone in testa e la faccenda è chiusa, con tanti saluti a Verdi, Grünen, animalisti, ambientalisti e tutti gli altri «isti». Orso avvertito mezzo salvato. Gli avevano messo anche il radio collare.
Avevano tentato di allontanarlo dagli abitati. Purtroppo gli orsi sono golosi e curiosi e soprattutto non sono vegetariani, ma agli svizzeri non gliene può fregare di meno. La pagina Facebook «Emme Tredici» oggi è macchiata di sangue come segno di lutto per l'abbattimento del plantigrado in Val Poschiavo
 
Milano - Anche la buona borghesia imprenditoriale milanese, quella che simpatizza per il «civico» Ambrosoli e che sprizza liberalismo ed etica da tutti i pori (fra un sushi da Nobu e un aperitivo all'Armani Café), può comportarsi come un qualsiasi cumenda, come un padrone delle ferriere.
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Magari proprio in un campo come l'editoria dove quel bon ton pubblicamente predicato dovrebbe poi essere messo in pratica.
È il triste caso de Linkiesta, il quotidiano internet, che ieri in un sol colpo ha perso il vicedirettore, il direttore e dove tutta la redazione minaccia di dimettersi. Ma veniamo al casus belli. Ieri mattina il direttore responsabile Jacopo Tondelli ha annunciato con un web-editoriale che «arriva un giorno in cui devi andare via» perché gli organi di gestione «hanno preso una decisione sopra la mia testa»: il licenziamento in tronco del vicedirettore e responsabile della redazione romana, Massimiliano Gallo.
Fin qui nulla di strano. Tondelli e Gallo sono due stimati professionisti, legati oltreché da un rapporto fiduciario anche da una comune esperienza al Riformista. È chiaro che chi licenzia uno, in pratica licenzia pure l'altro e il contratto giornalistico equipara i vicedirettori ai direttori: sono manager «silurabili» in qualsiasi momento. L'editore, tramite il Cda de Linkiesta.it Spa, ha motivato la decisione sottolineando la necessità di chiudere la redazione romana perché «gli azionisti hanno sostenuto la società con 2,5 milioni di euro di versamenti e a breve altri saranno necessari». Nel 2011 la perdita è stata di un milione di euro e l'anno scorso i soci hanno ricapitalizzato per il medesimo importo.
Tondelli e Gallo, però, fanno filtrare una versione differente della vicenda in prima battuta attraverso il sito del quotidiano del Pd Europa. Gallo è stato licenziato perché nello scorso ottobre approvò un articolo molto critico nei confronti del finanziere Davide Serra, fondatore dell'hedge fund Algebris e organizzatore della cena milanese di raccolta fondi per la campagna di Matteo Renzi alle primarie del centrosinistra. A non gradire la sortita fu Guido Roberto Vitale, azionista de Linkiesta, numero uno della società di consulenza Vitale&Associati ed ex presidente di Rcs (l'editore del Corriere).
Vitale a quella cena aveva partecipato e al Corriere.it aveva rilasciato dichiarazioni nelle quali sosteneva l'assoluta liceità degli hedge fund e tacciando di «maleducazione» il cronista che gli aveva chiesto quanto avesse offerto per la causa renziana. Certo, se Bersani non avesse attaccato il suo avversario perché il suo sostenitore aveva domiciliato alcune sue società alle Isole Cayman (noto paradiso fiscale), nessuno si sarebbe accorto di nulla. Ma siccome nel composito azionariato de Linkiesta oltre al sostenitore di Ambrosoli Vitale vi è una nutrita schiera di avvocati e fiscalisti oltreché di imprenditori, un articolo contro le Cayman e contro Davide Serra all'illuminata compagine azionaria proprio non è andata giù. E così Gallo è stato messo alla porta.
Certo occorre precisare che, secondo fonti vicine agli azionisti, Tondelli sarebbe stato a conoscenza delle intenzioni dell'azionista. Dunque, quell'«a mia insaputa» non avrebbe ragion d'essere. Il problema, però, è un altro: il modo. Un editore «illuminato» avrebbe potuto gestire la vicenda con più stile e non con i calci nel sedere. E soprattutto non lasciando una redazione di validi professionisti come una nave senza nocchiero.
 

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