Milano - Anche la buona borghesia imprenditoriale milanese, quella che simpatizza per il «civico» Ambrosoli e che sprizza liberalismo ed etica da tutti i pori (fra un sushi da Nobu e un aperitivo all'Armani Café), può comportarsi come un qualsiasi cumenda, come un padrone delle ferriere.
Magari proprio in un campo come l'editoria dove quel bon ton pubblicamente predicato dovrebbe poi essere messo in pratica.
È il triste caso de Linkiesta, il quotidiano internet, che ieri in un sol colpo ha perso il vicedirettore, il direttore e dove tutta la redazione minaccia di dimettersi. Ma veniamo al casus belli. Ieri mattina il direttore responsabile Jacopo Tondelli ha annunciato con un web-editoriale che «arriva un giorno in cui devi andare via» perché gli organi di gestione «hanno preso una decisione sopra la mia testa»: il licenziamento in tronco del vicedirettore e responsabile della redazione romana, Massimiliano Gallo.
Fin qui nulla di strano. Tondelli e Gallo sono due stimati professionisti, legati oltreché da un rapporto fiduciario anche da una comune esperienza al Riformista. È chiaro che chi licenzia uno, in pratica licenzia pure l'altro e il contratto giornalistico equipara i vicedirettori ai direttori: sono manager «silurabili» in qualsiasi momento. L'editore, tramite il Cda de Linkiesta.it Spa, ha motivato la decisione sottolineando la necessità di chiudere la redazione romana perché «gli azionisti hanno sostenuto la società con 2,5 milioni di euro di versamenti e a breve altri saranno necessari». Nel 2011 la perdita è stata di un milione di euro e l'anno scorso i soci hanno ricapitalizzato per il medesimo importo.
Tondelli e Gallo, però, fanno filtrare una versione differente della vicenda in prima battuta attraverso il sito del quotidiano del Pd Europa. Gallo è stato licenziato perché nello scorso ottobre approvò un articolo molto critico nei confronti del finanziere Davide Serra, fondatore dell'hedge fund Algebris e organizzatore della cena milanese di raccolta fondi per la campagna di Matteo Renzi alle primarie del centrosinistra. A non gradire la sortita fu Guido Roberto Vitale, azionista de Linkiesta, numero uno della società di consulenza Vitale&Associati ed ex presidente di Rcs (l'editore del Corriere).
Vitale a quella cena aveva partecipato e al Corriere.it aveva rilasciato dichiarazioni nelle quali sosteneva l'assoluta liceità degli hedge fund e tacciando di «maleducazione» il cronista che gli aveva chiesto quanto avesse offerto per la causa renziana. Certo, se Bersani non avesse attaccato il suo avversario perché il suo sostenitore aveva domiciliato alcune sue società alle Isole Cayman (noto paradiso fiscale), nessuno si sarebbe accorto di nulla. Ma siccome nel composito azionariato de Linkiesta oltre al sostenitore di Ambrosoli Vitale vi è una nutrita schiera di avvocati e fiscalisti oltreché di imprenditori, un articolo contro le Cayman e contro Davide Serra all'illuminata compagine azionaria proprio non è andata giù. E così Gallo è stato messo alla porta.
Certo occorre precisare che, secondo fonti vicine agli azionisti, Tondelli sarebbe stato a conoscenza delle intenzioni dell'azionista. Dunque, quell'«a mia insaputa» non avrebbe ragion d'essere. Il problema, però, è un altro: il modo. Un editore «illuminato» avrebbe potuto gestire la vicenda con più stile e non con i calci nel sedere. E soprattutto non lasciando una redazione di validi professionisti come una nave senza nocchiero.