Angela Montagna Casella “mamma coraggio” e donna straordinaria
Il Cristo dei sequestrati ebbe il cuore trafitto da un colpo di lupara. Una mano pietosa cercò di mascherare quella ferita. Incappucciato ed in catene, salì lassù, per i monti dell’Aspromonte dove, lungo i dirupi, fu intagliata una statale da brivido che, quando non frana a valle, collega Platì al passo dello Zillastro, spartiacque tra lo Jonio e il Tirreno. In ginocchio, mamma coraggio pregò per il suo Cesare.Davanti al grande crocifisso, che volta le spalle a Montalto e al Santuario della Madonna di Polsi, Angela Casella si inginocchiò quando, in incognito, aveva cercato traccia del suo ragazzo nelle chiese e tra la gente dei tanti paesini dell’Aspromonte.Indossava un pantalone nero e una maglietta rossa, i lunghi capelli raccolti dietro la nuca. Appariva di una fragilità estrema ma dimostrava di avere grande forza interiore. Ogni sua azione aveva un significato: le catene, la tenda, il sacco a pelo. Era così una prigione dell’Anonima sequestri? Le notti erano dure. C’era freddo, umidità. Nell’albergo
Demaco di Locri, suo quartier generale, aveva ripercorso passo per passo, da quel 18 gennaio del 1988, i momenti drammatici del rapimento, la difficile trattativa, le foto che davano la
“prova dell’esistenza in vita” dell’ostaggio, il pagamento del miliardo di lire di riscatto, le botte subite dal marito, la nuova richiesta dei banditi, le minacce di uccidere l’ostaggio, la nuova trattativa. Scelse di pregare sotto il Cristo di Zervò. Era la zona dove venivano pagati i riscatti di tanti e tanti sequestri. Sotto il crocefisso di Zervò, Angela Casella ebbe espressioni di solidarietà. Una coppia di fidanzatini di Oppido Mamertina l’avevano abbracciata forte forte. Nello stesso giorno, incontrando i Carabinieri accampati nei pressi del Sanatorio, si fermò davanti a una baracca adibita a spaccio per mangiare un pezzo di pane, con olio e origano, per bere un bicchiere d’acqua (un pasto da sequestrato). Aveva freddo e il Brigadiere Nino MARINO
(ucciso dalla ‘ndrangheta a Bovalino (RC) il 9 settembre 1990 durante i festeggiamenti civili in onore dell’Immacolata) le diede la sua giacca a vento.
Cesare Casella aveva diciotto anni quando venne sequestrato la sera del 19 gennaio 1988 a Pavia, davanti al cancello della sua abitazione, alla periferia della città. A dare l’allarme fu il padre, Luigi, che trovò la Citroen Ax del figlio con le portiere aperte e il motore acceso.
Cominciò quella sera la disavventura di Cesare, una delle più lunghe nella storia dei sequestri di persona in Italia.
Per avere il primo contatto con la banda dei rapitori passarono alcuni mesi.
Nel maggio 1988 l’avvertimento di pagare un miliardo di lire per riavere Cesare libero.
Il pagamento avvenne il 15 agosto 1988, nelle montagne fra San Luca e Samo, nell’ Aspromonte Jonico.
Luigi Casella pagò il miliardo richiesto ma attese invano la liberazione. Tornò a Pavia, dove giunse una nuova richiesta di pagamento: altri cinque miliardi di lire.
Angela Casella, nell’ottobre 1988, fece il suo primo viaggio in Calabria. Andava in giro per i paesi di San Luca, Platì, Cirella, Careri, Natile a chiedere notizie di suo figlio.
Fu un viaggio senza esito; di Cesare non si avevano più notizie da mesi.
L’ultima foto che provava la sua esistenza in vita era remota.
Un lungo silenzio fino ai primi di giugno, quando Angela Casella, accompagnata dalla sua amica Cinzia, si recò in Calabria. Alloggiava all’hotel Demaco di Locri.
“
Mamma coraggio” iniziava il viaggio della speranza.
Dieci giorni di clamorose iniziative nei paesi della mafia.
Angela Casella mobilitò la stampa di tutto il mondo. Il 16 giugno don Riboldi si offriva come ostaggio e mediatore; il 20 giugno, i 42 sindaci della Locride annunciavano le dimissioni; lo stesso giorno mamma Casella decideva di tornarsene a Pavia ed il 21 giugno il Ministro dell’Interno istituiva un Nucleo Speciale di Polizia nella lotta ai sequestri (N.A.P.S.). Cesare compì vent’anni in mano all’Anonima, il 22 luglio, e la madre gli scrisse una toccante lettera:
“Ho combattuto nove mesi per averti e sono diciotto mesi che combatto per riaverti”.
Si riaprirono le trattative: i rapitori da cinque scesero a tre miliardi, poi ad uno e mezzo e, infine, ad un miliardo di lire.
Cesare fu liberato a Natile di Careri il 30 gennaio 1990