Claire
ἰοίην
Cynthia Maung
La chiamano la “Signora di Mae Sot”, mentre in Occidente è stata ribattezzata la “Madre Teresa” birmana. Nel 2003 la rivista Time la soprannominò l’”eroina” per il coraggio umano, l’impegno civile, il lavoro umanitario. Oggi la Lady di Mae Sot gestisce una clinica sul confine tra la Thailandia e il Myanmar: un’ex stalla, fatiscente ed essenziale, divenuta un punto di riferimento per la gente del posto.
Cynthia Maung è una Karen dall’aspetto tranquillo, dalle poche chiacchiere ma dal piglio deciso.
Viveva a Moulmein nel 1988 quando in Birmania scoppiò la rivolta e come migliaia di altre persone scese in strada a manifestare contro i militari. Per evitare la repressione fuggì a piedi verso il confine con la Thailandia e si rifugiò nel campo profughi di Mae La, dove iniziò a lavorare incessantemente come medico, curando gli altri rifugiati e i feriti che arrivavano senza sosta.
Comprese presto che il campo di Mae La sarebbe diventato una città vera, la casa di migliaia di persone, e decise che col suo lavoro ne avrebbe cambiato il volto, trasformandolo da luogo di ricordi a luogo di speranza. Così Cynthia si mise alla ricerca di una struttura dove poter dar vita al suo progetto.
All’epoca, lungo il confine tra la Birmania e la Thailandia imperversava la malaria, la tubercolosi, la diarrea, la malnutrizione uccideva i bambini e la gente non sapeva come curarsi. Cynthia trovò un’ ex stalla nella periferia del campo e col permesso delle autorità locali la trasformò in un ospedale da campo.
“Non sembrava una clinica”, racconta in un’intervista al quotidiano Irrawaddy. “Era più che altro un rifugio per tutti gli attivisti scampati alle persecuzioni. Molti erano medici, infermieri, studenti di medicina, tutti davano una mano per quel che potevano”.
La clinica riceveva duemila pazienti all’anno, dormivano sul pavimento di legno perché non c’erano lettini, e i volontari si avvicendavano a distribuire riso, acqua, frutta”.
Oggi quella di Cynthia è diventata un’istituzione, un punto di riferimento sia per chi vive in Myanmar e sia per chi vive in Thailandia.
“Non abbiamo fondi fissi né un budget regolare” – spiega – “ma la Karen National Union (KNU) ci fornisce assistenza continua. Ci aiutano con la raccolta fondi, ci offrono contatti con i donatori internazionali, con le ONG, con le chiese e con gli uomini d’affari thailandesi”.
Il progetto ha ricevuto il suo primo finanziamento di 20 milioni di bath, cioè 650,000 dollari, nel 1999 e con questo vennero organizzati i primi corsi di formazione gratuiti per l’assistenza sanitaria e per sensibilizzare sul tema dei diritti umani.
Oggi il bilancio della clinica di Cynthia è di 120 milioni di bath (4 milioni di dollari), di cui 85 sono destinati a diversi progetti sanitari, altri 25,000 sono stanziati per l’istruzione e i servizi per l’infanzia, il resto è destinato alla costruzione di scuole.
I duemila pazienti all’anno sono diventati 130,000, compresi quelli malati di AIDS/HIV. Molti dei suoi pazienti sono i lavoratori migranti che non dispongono di documenti legali e di risorse economiche sufficienti per pagare le spese mediche, e così vanno da lei, alla sua clinica, che per le cure gratuite che offre hanno soprannominato “l’ospedale dello studente”.
Oggi nell’ospedale dello studente lavorano in 300 tra medici, infermieri e membri dello staff amministrativo. C’è una equipe di altri medici che lavora solo nel campo della formazione, istruendo il personale sanitario nella Birmania orientale attraverso cliniche mobili, per aiutare gli sfollati delle altre regioni.
Il lavoro della clinica di Cynthia è riconosciuto a livello internazionale e le è valso il Premio Jonathan Mann nel 1999 e il Premio Ramon Magsayysay nel 2002.
Fin qui quella di Cynthia è una bella storia di impegno e umanità. Manca ancora, purtroppo, il lieto fine.
Uno dei principali finanziatori della clinica, infatti, il Norwegian Church Aid (NCA), non ha approvato il budget del 2012 per la struttura ospedaliera perché parte dei fondi saranno destinati in altri progetti birmani per sostenere le riforme in corso, racconta Cynthia.
“Per ora abbiamo garantito solo il 50% del finanziamento che ci occorre per continuare a lavorare, e tutto questo come risultato degli accordi di pace tra i gruppi etnici, compresi i Karen.” Ma i tagli al lavoro di Cynthia portano con sé molti effetti collaterali. Innanzitutto la diffidenza della gente, dei gruppi etnici minori, che non credono nella durata degli accordi di pace e si sentono doppiamente penalizzati. E poi la cecità del governo centrale, che sembra non accorgersi del fatto che sul confine tra la Thailandia e la Birmania la gente vive nei campi, senza case, senza sicurezza, senza salute, senza la possibilità di educare e istruire i propri figli.
“Se il governo non vede tutto questo – osserva Cynthia – non possiamo chiudere gli occhi anche noi, organizzazioni di assistenza.”
La chiamano la “Signora di Mae Sot”, mentre in Occidente è stata ribattezzata la “Madre Teresa” birmana. Nel 2003 la rivista Time la soprannominò l’”eroina” per il coraggio umano, l’impegno civile, il lavoro umanitario. Oggi la Lady di Mae Sot gestisce una clinica sul confine tra la Thailandia e il Myanmar: un’ex stalla, fatiscente ed essenziale, divenuta un punto di riferimento per la gente del posto.
Cynthia Maung è una Karen dall’aspetto tranquillo, dalle poche chiacchiere ma dal piglio deciso.
Viveva a Moulmein nel 1988 quando in Birmania scoppiò la rivolta e come migliaia di altre persone scese in strada a manifestare contro i militari. Per evitare la repressione fuggì a piedi verso il confine con la Thailandia e si rifugiò nel campo profughi di Mae La, dove iniziò a lavorare incessantemente come medico, curando gli altri rifugiati e i feriti che arrivavano senza sosta.
Comprese presto che il campo di Mae La sarebbe diventato una città vera, la casa di migliaia di persone, e decise che col suo lavoro ne avrebbe cambiato il volto, trasformandolo da luogo di ricordi a luogo di speranza. Così Cynthia si mise alla ricerca di una struttura dove poter dar vita al suo progetto.
All’epoca, lungo il confine tra la Birmania e la Thailandia imperversava la malaria, la tubercolosi, la diarrea, la malnutrizione uccideva i bambini e la gente non sapeva come curarsi. Cynthia trovò un’ ex stalla nella periferia del campo e col permesso delle autorità locali la trasformò in un ospedale da campo.
“Non sembrava una clinica”, racconta in un’intervista al quotidiano Irrawaddy. “Era più che altro un rifugio per tutti gli attivisti scampati alle persecuzioni. Molti erano medici, infermieri, studenti di medicina, tutti davano una mano per quel che potevano”.
La clinica riceveva duemila pazienti all’anno, dormivano sul pavimento di legno perché non c’erano lettini, e i volontari si avvicendavano a distribuire riso, acqua, frutta”.
Oggi quella di Cynthia è diventata un’istituzione, un punto di riferimento sia per chi vive in Myanmar e sia per chi vive in Thailandia.
“Non abbiamo fondi fissi né un budget regolare” – spiega – “ma la Karen National Union (KNU) ci fornisce assistenza continua. Ci aiutano con la raccolta fondi, ci offrono contatti con i donatori internazionali, con le ONG, con le chiese e con gli uomini d’affari thailandesi”.
Il progetto ha ricevuto il suo primo finanziamento di 20 milioni di bath, cioè 650,000 dollari, nel 1999 e con questo vennero organizzati i primi corsi di formazione gratuiti per l’assistenza sanitaria e per sensibilizzare sul tema dei diritti umani.
Oggi il bilancio della clinica di Cynthia è di 120 milioni di bath (4 milioni di dollari), di cui 85 sono destinati a diversi progetti sanitari, altri 25,000 sono stanziati per l’istruzione e i servizi per l’infanzia, il resto è destinato alla costruzione di scuole.
I duemila pazienti all’anno sono diventati 130,000, compresi quelli malati di AIDS/HIV. Molti dei suoi pazienti sono i lavoratori migranti che non dispongono di documenti legali e di risorse economiche sufficienti per pagare le spese mediche, e così vanno da lei, alla sua clinica, che per le cure gratuite che offre hanno soprannominato “l’ospedale dello studente”.
Oggi nell’ospedale dello studente lavorano in 300 tra medici, infermieri e membri dello staff amministrativo. C’è una equipe di altri medici che lavora solo nel campo della formazione, istruendo il personale sanitario nella Birmania orientale attraverso cliniche mobili, per aiutare gli sfollati delle altre regioni.
Il lavoro della clinica di Cynthia è riconosciuto a livello internazionale e le è valso il Premio Jonathan Mann nel 1999 e il Premio Ramon Magsayysay nel 2002.
Fin qui quella di Cynthia è una bella storia di impegno e umanità. Manca ancora, purtroppo, il lieto fine.
Uno dei principali finanziatori della clinica, infatti, il Norwegian Church Aid (NCA), non ha approvato il budget del 2012 per la struttura ospedaliera perché parte dei fondi saranno destinati in altri progetti birmani per sostenere le riforme in corso, racconta Cynthia.
“Per ora abbiamo garantito solo il 50% del finanziamento che ci occorre per continuare a lavorare, e tutto questo come risultato degli accordi di pace tra i gruppi etnici, compresi i Karen.” Ma i tagli al lavoro di Cynthia portano con sé molti effetti collaterali. Innanzitutto la diffidenza della gente, dei gruppi etnici minori, che non credono nella durata degli accordi di pace e si sentono doppiamente penalizzati. E poi la cecità del governo centrale, che sembra non accorgersi del fatto che sul confine tra la Thailandia e la Birmania la gente vive nei campi, senza case, senza sicurezza, senza salute, senza la possibilità di educare e istruire i propri figli.
“Se il governo non vede tutto questo – osserva Cynthia – non possiamo chiudere gli occhi anche noi, organizzazioni di assistenza.”