VOGLIO CHE IL TEMPO, MENTRE SCORRE, LASCI SU DI ME IL SUO SEGNO... MA CHE NON SIANO SOLO RUGHE

Un uomo di 66 anni è morto nel giro di 48 ore.

I medici hanno effettuato degli esami per capire l’origine dell’infezione ed hanno scoperto che il 66enne
aveva contratto la fascite necrotizzante causata dai “batteri mangiacarne” che poi hanno portato alla sepsi fatale.

“Pensavo che i batteri mangiacarne fossero una leggenda, ma non è così. Il batterio lo ha completamente distrutto in appena 48 ore” ha raccontato la figlia.

“Non c’è abbastanza educazione sui batteri nell’acqua.
Devono esserci cartelli segnaletici in ogni spiaggia, in ogni città e parco statale per segnalare
che a causa di questi parassiti persone con ferite aperte o sistemi immunitari compromessi non dovrebbero entrare”.


Come scrive il Corriere della Sera, nelle settimane scorse questi batteri
hanno colpito altre persone sia sulla stessa spiaggia, sia in altre località della Florida:

“Nella stessa spiaggia una ragazzina di 12 anni ha contratto la fascite necrotizzante
e i medici sono riusciti a salvarle per miracolo la gamba finita in cancrena.
Un’altra donna, in una zona diversa della Florida è morta a causa di un’infezione
provocata dai batteri mangiacarne dopo essere caduta in spiaggia: attraverso la piccola ferita ha contratto l’infezione fatale”.

I “batteri mangiacarne” colpiscono persone immunodepresse ma non solo.
Producono una rara e gravissima infezione dei tessuti sottocutanei.

Se non trattata bene e in modo tempestivo, l’infezione può portare a setticemia fino alla morte del paziente.
I batteri, anche se chiamati “mangiacarne” in realtà non si nutrono della carne
ma la distruggono e la decompongono per via del rilascio di tossine molto potenti.
 
Quando ieri ho letto la notizia dei 7000 volts, mi son messo a ridere.
Per la verità, ho un amico elettricista che ha preso una "botta" dal 15000.
Ma è stata una "botta". E' sparato via. Lui la racconta spesso la cosa. ........
Ma che un orso scavalchi una recinzione di 4 metri prendendo i 7000 ????????

La versione ufficiale dice: orso M49 catturato, messo in gabbia-recinto e fuggito, tutto nel giro di poche ore.
Orso quindi non sedato, altrimenti come fugge?
Ma di solito prassi vuole l’orso in queste circostanze (la cattura) sia sedato.

E un’orso che scavalca muro di quattro metri?
Un muro su cui corre barriera elettrificata di cui qualcuno ha voluto specificare la potenza in migliaia di volt (probabilmente una bufala questa delle migliaia)?

Orso M49 che neanche fosse King Kong supera ogni barriera e resiste ad ogni scarica elettrica…

Davvero? Sembra un po’ troppo la sceneggiatura, scritta a tavolino, di un film.
 
Deutsche Bank sarà «reinventata».
Così il ceo Christian Sewing ha illustrato lunedì mattina alla stampa la più radicale ristrutturazione da decenni della banca
e una delle più ambiziose nei suoi 150 anni di storia: alla fine di questa complessa trasformazione,
che dovrebbe durare da quest'anno fino al 2022, il totale degli attivi e le dimensioni del portafoglio derivati
dovrebbero calare del 20% dagli attuali valori (rispettivamente 1.300 miliardi e 48.000 miliardi di valore nozionale)
mentre è confermato che i dipendendi a tempo pieno scenderanno di 18.000 unità a quota 74.000
«su scala mondiale anche perché usciamo dall’equity ovunque». Niente dividendo quest’anno e il prossimo.

Nel 2019 DB chiuderà in perdita, il prossimo anno prevede un bilancio in pareggio e per il 2022 intende restituire agli azionisti 5 miliardi di euro in buy-back e dividendi.

Deutsche Bank continuerà ad essere un colosso su scala globale, per servire meglio la clientela.
«Sarà la nostra ossessione soddisfare i nostri clienti» ha detto Sewing, più competitiva e più redditizia,
questa la promessa con RoTE (return on tangible assets) che dallo 0,5% del primo trimestre di quest’anno deve salire al 6% e poi all’8% nel 2022.

L'andamento del titolo DB in Borsa, che lo scorso mese ha toccato un minimo a quota 5,8 euro
e che lunedì mattina ha aperto sopra i 7 euro, è stato così «deludente», ha detto Sewing,
da imporre un'accelerazione della trasformazione della struttura e del modello di business della banca.
Verranno ora aggrediti con più forza gli alti costi e le inefficienze tecnologiche,
e gli investimenti e l'allocazione del capitale saranno più mirati, in aumento nelle aree dove la banca è leader e fa profitti,
con l'uscita dai mercati e dai prodotti in perdita o a basso rendimento.
 
Altro giro, altra corsa.

In vista delle elezioni presidenziali americane del 2020, i candidati democratici sono già scesi in campo
per guadagnare piccole percentuali di consensi alla volta a son di annunci più o meno veritieri.

Anche se il Partito Democratico non ha ancora partorito un personaggio di spessore capace di rubare a Donald Trump le chiavi della Casa Bianca,
i sondaggi pubblicati settimanalmente dai media affermano che il gradimento degli elettori nei confronti dell’attuale presidente degli Stati Uniti sia il più basso di sempre.

Sarà anche vero, ma l’economia di Washington va a gonfie vele;
la disoccupazione, dai dati registrati lo scorso maggio, è ai minimi storici dal 1969 e ha toccato il 3,6%;
centinaia di migliaia di posti di lavoro vengono creati ogni mese e pure i salari sono saliti, seppure di appena lo 0,2%.

Balza subito all’occhio un minimo comune denominatore tra Joe Biden e Bernie Sanders: tanti milioni in banca.

Entrambi si stanno attrezzando nel sembrare più popolari di quello che sono, organizzando comizi nei quartieri più poveri,
parlando alla pancia dell’elettorato più disagiato e cercando di conquistare la fiducia dei traditi dalla globalizzazione.

Insomma, stanno facendo spudoratamente quello per cui Trump veniva da loro criticato nella campagna elettorale del 2016.

Biden e Sanders, per vincere, sanno che non potranno contare solo sullo zoccolo duro democratico;
dovranno per forza di cose rubare gli elettori che Trump è stato bravo ad ammaliare.

Strategia legittima, ci mancherebbe altro.

Solo che c’è un particolare che non può passare in secondo piano:
sia Biden che Sanders hanno conti in banca milionari sempre più gonfi grazie alle rispettive attività politiche.

Negli Stati Uniti è in atto un vero e proprio paradosso:
i Democratici, che a voce dichiarano di voler rappresentare la classe media e predicano equità sociale,
sono in realtà macchine da soldi pronti a intascare milioni di dollari per fare un discorso in pubblico.

Per carità, non c’è niente di male nell’essere ricchi, ma ha poco senso attaccare Trump per il suo patrimonio e poi rivelarsi della stessa pasta.

Tra il duo Biden/Sanders e Donald Trump c’è però una differenza sostanziale:
i primi hanno scelto di adottare una narrazione che non li rappresenta, mentre il secondo è orgoglioso di essere se stesso.

Trump è ben contento di mostrare al mondo il suo impero economico, come a voler dire a tutti:
rimboccatevi le maniche e, grazie al Sogno Americano che riuscirò a farvi vivere, vedrete che potrete diventare come me.

Una differenza che potrebbe regalare a Trump la conferma alla presidenza degli Stati Uniti.
 
Se hai bisogno di un contatto, a chi ti rivolgi ?
A chi ha sempre avuto dei contatti........ops.

Francesco Vannucci, 62 anni, originario di Suvereto in provincia di Livorno, e collaboratore dell'avvocato Gianluca Meranda,
- a suo dire - presente all'hotel Metropol di Mosca il 18 ottobre 2018 in qualità di consulente esperto bancario,
è un ex militante del Partito Democratico e della Margherita.


Si tratta di nuovo tassello che si aggiunge all'intricata vicenda sui presunti finanziamenti russi alla Lega
nella quale è indagato per corruzione internazionale il Presidente dell'associazione Lombardia-Russia Gianluca Savoini.

Come riporta Il Tirreno, Vannucci ha costruito la sua carriera professionale all’interno del mondo bancario
muovendo i primi passi come dipendente del Monte dei Paschi di Siena.

Gli ex colleghi di partito lo ricordano come un semplice dipendente, ma con molte ambizioni,
tanto da entrare a far parte prima del sindacato bancari della Cisl per poi aderire, per breve tempo, anche alla Cgil.
Tanto che negli anni Novanta matura la scelta di darsi alla libera professione come advisor finanziario.

Dai sindacati alle banche fino all'impegno politico nella sinistra.
Francesco Vannucci ha mosso i suoi primi passi all’epoca della Margherita di cui è stato anche vice coordinatore per la provincia di Livorno.
Un percorso burrascoso, scrive Il Tirreno, concluso nel 2006 con l'addio dopo una lite furibonda con i vertici livornesi.
"Avevamo avuto dei contrasti - racconta Giorgio Kutufà, ex presidente della Provincia di Livorno e uno dei big della Margherita all'epoca -
Lui aveva delle aspirazioni che non furono soddisfatte. E quindi se ne andò sbattendo la porta".
Ma poi il suo nome figura anche nel direttivo locale del Partito Democratico nel 2010.

All'Ansa Vannucci ha spiegato di aver "partecipato all'incontro all'hotel Metropol di Mosca il 18 ottobre 2018
in qualità di consulente esperto bancario che da anni collabora con l'avvocato Gianluca Meranda.
Lo scopo dell'incontro era prettamente professionale e si è svolto nel rispetto dei canoni della deontologia commerciale.
Non ci sono state situazioni diverse rispetto a quelle previste dalle normative che disciplinano i rapporti d'affari".
Rimane curioso il fatto che il leghista Gianluca Savoini fosse accompagnato da un avvocato presumibilmentre legato,
almeno stando ad alcune ricostruzioni, alla massoneria francese come Gianluca Meranda e di un advisor finanziario che ha militato nel Partito Democratico.

Nel frattempo, i pm milanesi stanno indagando per capire se l'avvocato Gianluca Meranda e l'esperto contabile Francesco Vannucci,
che nei giorni scorsi si sono fatti avanti per dire di aver partecipato all'incontro all'hotel Metropol con Gianluca Savoini,
si trovassero effettivamente nel lussuoso albergo moscovita a pochi passi dalla piazza Rossa.

Dopo aver accertato la loro presenza a Mosca il 18 ottobre scorso, i magistrati potrebbero decidere di iscrivere anche loro nel registro degli indagati,
oltre al presidente dell'associazione Lombardia-Russia, che è indagato per l'ipotesi di corruzione internazionale.

Anche loro potrebbero essere convocati dai pm, com'è avvenuto per Savoini nei giorni scorsi.
Gli uomini delle fiamme gialle si sono presentati questo pomeriggio a Suvereto, in provincia di Livorno,
proprio per parlare con Vannucci, che ieri aveva contattato la stampa. La notizia è stata confermata da fonti giudiziarie e investigative.
Gli uomini della finanza si sono presentati anche a casa dell’avvocato Gianluca Meranda.

Sull'inchiesta pesano ancora troppi dubbi e poche certezze e l'ipotesi che si sia trattata di una "trappola", si fa sempre più concreta.

Secondo Sandro Teti, presidente della Fondazione del Premio Nobel Zhores Alferov in Italia
e dell'omonima casa editrice Sandro Teti Editore che oltre a vantare collane specializzate in saggistica storica, t
eatro, prosa e poesia russi, si distingue per le pubblicazioni sulla plurisecolare presenza russa nel Bel Paese e degli italiani in Russia,
"c'è una precisa regia di attacco alla Lega, ma anche alla Russia".
Interpellato dall'Adnkronos, Teti osserva che "quello che si è svolto a Roma in occasione della visita di Putin
non mi sembra che sia anomalo. Quello che si è svolto al Metropol è invece sospetto".

Sandro teti era presente alla cena ufficiale con Putin a Villa Madama ed anche al precedente
Foro di Dialogo italo russo delle società civili alla Farnesina a cui hanno partecipato ministri, esponenti del mondo degli affari e della cultura.
"Io ero una delle persone meno importanti", commenta l'editore che nell'occasione racconta di avere donato
al presidente russo una copia autobiografica del regista russo Andrei Konchalovsky, autore tra gli altri del kolossal 'Michelangelò.
"Anche Savoini era presente - aggiunge - come me in entrambe le occasioni".

Ma al Metropol, controllato a vista dalle telecamere in ogni angolo, è "singolare che non si sia risaliti all'autore" di chi ha immortalato l'incontro.
 
L’ultima dal Russiagate è la topica clamorosa di Buzzfeed, il sito americano abituato agli scoop. La notizia che avrebbe dovuto sconvolgere i lettori era questa: Donald Trump ha costretto il proprio avvocato, Mike Cohen, a mentire durante l’inchiesta del Congresso sulle trattative per costruire una Trump Tower a Mosca. Peccato che Buzzfeed si sia preso sui denti la smentita non di Trump ma addirittura di Robert Mueller, il procuratore che indaga sul Russiagate. Proprio lo sbirro taciturno che sta cercando di incastrare Trump.

Un epic fail, quello di Buzzfeed, che però la dice lunga sul clima che si respira negli Usa e non solo. Il presunto scoop su Cohen era fatto di voci e fonti anonime, nella migliore tradizione del Russiagate. Ma Buzzfeed si è lanciato perché sta crescendo l’ansia sugli esiti di un’indagine che ha, tra le altre, una caratteristica: non finisce mai. Tanto che di recente il mandato di Mueller è stato prolungato di altri sei mesi. Un bel po’, visto e considerato che, secondo la maggior parte dei media, le prove della colpevolezza di Trump si raccolgono a carrettate.


Sulle presunte interferenze del Cremlino nelle elezioni americane del 2016,
e in particolare sugli eventuali maneggi dei russi per far eleggere Trump, lavorano dall’estate del 2016
(cioè da quando Barack Obama, il presidente che faceva spiare mezzo mondo, compresi i telefonini della Merkel e di Hollande,
denunciò l’affare russo, rovesciando abilmente la frittata) i servizi segreti e lo stesso governo americano,
attraverso il Dipartimento di Giustizia che ha nominato, appunto, il procuratore Mueller.

Due anni e mezzo di indagini per approdare a nulla.

Nessuno ha saputo spiegare, finora, in che modo i tweet e i post dei presunti hacker russi
avrebbero fatto cambiare idea agli elettori americani, spostandoli dalla Clinton a Trump.

Nessuno ha finora prodotto uno straccio di prova sui presunti rapporti illeciti di Trump con il Cremlino.
Lo stesso si può dire dei personaggi collaterali dell’inchiesta. Bisogna citarne almeno tre.

La prima è Maria Butina, russa, 31 anni.
Arrestata nel luglio del 2018 e tenuta sempre in prigione, il 13 dicembre scorso ha raggiunto un accordo con l’accusa
e si è dichiarata colpevole di “conspiracy to act as an illegal foreign agent“, che potremmo tradurre con “associazione a delinquere per spionaggio”.
In sostanza, la ragazza avrebbe cercato di intortare un po’ di politici repubblicani per avere notizie e retroscena
che avrebbe poi girato ad Aleksandr Torshin, già senatore di Russia Unita (il partito di Vladimir Putin)
e vice governatore della Banca Centrale di Russia, suo mentore. Per esserci una conspiracy, però, bisogna che al reato abbiano partecipato altre persone.
Nessun altro, al momento, è incriminato con la Butina che, in caso di condanna, rischia cinque anni di carcere che non sconterà mai.
Tutti infatti prevedono la sua espulsione dagli Usa subito dopo la sentenza.
Da notare che questa super-spia per ben due volte, nel 2016, si era vantata con i compagni di college di avere relazioni in alto loco a Mosca,
e le sue vanterie erano state subito riportate alla polizia, che la teneva d’occhio.
Non si capisce quale relazione potrebbe aver avuto la Butina con Trump o con la sua vittoria elettorale.

Secondo: il lobbysta Paul Manafort.
Tutti lo chiamano “direttore della campagna elettorale” di Trump, perché fa effetto.
Ma lui occupò quella posizione solo per due mesi e mezzo (giugno-agosto) nel 2016.
Manafort è stato processato due volte. La prima in Virginia, con 18 imputazioni.
Dieci sono cadute, per le altre otto è stato giudicato colpevole ma si tratta di reati finanziari, dall’evasione fiscale alla frode.
La seconda nel Distretto di Columbia, con cinque imputazioni.
Dopo un accordo con l’accusa, si è riconosciuto colpevole di frode ai danni degli Usa e subornazione di testimone.
Che cosa c’entra con l’elezione del 2016?

Terzo: Mike Cohen, l’avvocato personale di Donald Trump.
Arrestato il 21 agosto del 2018, si è dichiarato colpevole di otto capi d’accusa: cinque per evasione fiscale,
uno per falsa testimonianza davanti a un’istituzione finanziaria, uno per aver ottenuto un contributo elettorale aziendale in modo illegale
e infine per aver fatto una donazione eccessiva durante la campagna elettorale “allo scopo di influenzarne l’esito”.
È questo il riferimento a Trump: sono i soldi dati alla pornostar Stormy Daniels perché tacesse sui suoi rapporti con Trump.
Fa rumore ma ci sono numerosi precedenti, nella storia politica americana, che autorizzano a dire
che Trump non sarebbe mai condannato per questo. Cohen, però, ha anche ammesso (21 novembre 2018)
di aver mentito al Senato e alla Camera avendo dichiarato sotto giuramento che le trattative per la Trump Tower di Mosca,
da lui condotte nel 2015 e 2016, si erano chiuse nel gennaio del 2016, mentre lo stop era arrivato nel giugno del 2016.

Ed è qui che arriva il finto scoop di Buzzfeed.
Il sito sosteneva che era stato Trump a ordinare a Cohen di mentire, mentre Cohen ha sempre detto di averlo fatto di propria spontanea volontà.

La smentita del procuratore Mueller fa capire quale sia la verità.

Due anni e mezzo di lavoro dei servizi segreti e del governo per questo?
Senza contare l’indagine su Trump che l’Fbi avrebbe aperto, e a quanto pare anche chiuso,
nel 2017 per verificare se il presidente stesse o no lavorando per i russi.

Immaginate che cosa succederebbe in Italia se saltasse fuori che i servizi segreti hanno indagato sul presidente Mattarella,
sospettandolo, si fa per dire, di lavorare per la Ue ai danni dell’Italia? Non vorremmo saperne di più?
Non vorremmo che il capo dei servizi ci desse, e desse a Mattarella, delle buone spiegazioni?

Invece tutti gridarono allo scandalo quando Trump licenziò James Comey, il direttore dell’Fbi che aveva ordinato appunto quell’indagine.
Ma se chiamiamo complottisti quelli che credono alle scie chimiche, come vogliamo chiamare quelli che credono al Russiagate
e sono convinti che il presidente degli Usa lo abbia scelto Putin?

Eppure non c’è dato di fatto o evidenza politica che faccia ragionare chi non vuole ragionare.

Gli ultimi, per restare negli Usa, sono quelli della rivista Wired, che in un recente numero hanno pubblicato un articolo intitolato
“Trump deve essere un agente russo, perché l’alternativa sarebbe troppo imbarazzante”.

Uno pensa: finalmente un po’ di buon senso. E invece no.
L’editorialista dice: Trump deve essere al servizio dei russi altrimenti, viste le cose che ha fatto, sarebbe un completo imbecille.
Cioè: Trump è colpevole comunque. Mentre ciò che certi media dovrebbero cominciare a pensare, arrivati a questo punto, è:
speriamo che Trump sia davvero un agente segreto del Cremlino, altrimenti salterà fuori che tutti noi siamo stati dei completi imbecilli.
 
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persi nel ....nulla. Poverini.

“Sindaco, sindaca? A me non importa, quello che conta è che sia una persona per bene”.
La signora che abbiamo davanti, una velletrana doc che porta sul viso i segni dell’esperienza, proprio non riesce a capire quale sia il problema.


“È nel linguaggio signora”, proviamo a rilanciare. Nulla, ci guarda disorientata, scrolla le spalle e si congeda con un sorriso. Difficile spiegare, soprattutto agli over sessanta, quello che sta succedendo in città.

Una vera e propria rivoluzione linguistica con cui, prossimamente, dovranno fare i conti tutti i cittadini
(anzi, meglio dire gli individui, per non far torto a nessuno) che si troveranno a dialogare con l’amministrazione locale.

Sarà allora che si accorgeranno dei cambiamenti introdotti dalla delibera approvata dalla giunta di Velletri lo scorso lunedì.

Un provvedimento dal sapore “boldriniano” che mette al bando il linguaggio sessista dalla modulistica e dalle comunicazioni ufficiali.

“Il linguaggio – si legge nelle premesse – rappresenta uno strumento fondamentale per diffondere una cultura paritaria”.

Alla classica (e un po’ cacofonica) declinazione di qualifiche professionali ed incarichi istituzionali al femminile
(la sindaca, l’assessora, l’architetta, la medica e via dicendo) si accompagnano anche altre novità.

“Leggendo le linee guida balzano all’occhio delle trovate tragicomiche”, spiega Chiara Ercoli,
con una discreta allergia per le quote rosa. “Noi donne non abbiamo bisogno della corsia preferenziale”, mette subito le mani avanti.

Ecco allora qualche esempio di “linguaggio rispettoso dell’identità di genere”:

evitare l’uso delle parole uomo e uomini in senso universale, meglio scrivere “diritti dell’umanità” piuttosto che dell’uomo;

parlando di popoli, invece, la formula consigliata è, ad esempio, “il popolo romano” anziché “i romani”;

per quanto riguarda la coppia oppositiva “uomo/donna” la nuova regola è quella di dare la precedenza al femminile.

Ma non finisce qui.

Dalla modulistica comunale spariranno anche parole di uso comune che, mettono in guardia gli estensori della delibera,
celerebbero in realtà stereotipi e pregiudizi sessisti.

Tra queste spiccano “signorina”, perché identificare una donna rispetto al proprio stato civile sarebbe discriminante,

ed anche “fraternità, fratellanza e paternità” quando si riferiscono ad entrambi i generi.

La Ercoli si domanda: “Per presentarci alle prossime elezioni, noi di Fratelli d’Italia dovremo cambiare il nome?”.

“Di questo passo – rilancia – sostituiranno l’inno nazionale con la Traviata”.
 
Il vero problema è capire se si diventa idioti perché si nasce komunisti,

oppure se si diventa komunisti perché si nasce idioti.

Ma è anche possibile che si nasca da subito idioti e komunisti.
 
Provo immensa vergogna per queste immagini.
Sapendo che delinquenti assassini sono a piede libero.


Sono un pugno nello stomaco le fotografie scattate ieri in un cortile del tribunale di Milano,
all’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, di passaggio da detenuto.

La classica immagine da postare su Facebook per dividere le reazioni tra gli olè di gioia
el o sconcerto dinanzi a un ex potente di 72 anni al culmine della sua fragilità esistenziale.

Formigoni è comparso a un’udienza del Tribunale di sorveglianza che deciderà se convertire
la pena ai domiciliari, anzichéal carcere di Bollate dove è recluso dal 22 febbraio con una condanna di 5 anni e 10 mesi per corruzione.

Questa l’asciutta cronaca giudiziaria. Ma quella foto non si può liquidare con una didascalia.

Quell’omone dalle giacche salmone e le camicie nere giovanilistiche oggi cammina curvo a sguardo basso,
affiancato da un agente della polizia penitenziaria che gli appoggia con pudore una mano sulla schiera per sorreggerlo.
Formigoni indossa una polo bianca e un jeans largo, troppo largo per una gamba che appare smagrita.

Ecco l’icona della legge «spazzacorrotti», un anziano provato da una detenzione che potrebbe scontare nella propria abitazione.

Non è pericoloso socialmente,
non può inquinare prove,
non può ripetere il reato (in sostanza avere scroccato vacanze ed essersi inebriato di un tenore di vita da imbucato).

Una triste parabola dopo aver lasciato il migliore sistema sanitario italiano e avere portato la Lombardia ai massimi livelli mondiali per Pil e sviluppo.

Ma questo non incide su una regolare sentenza da applicare senza attenuanti.

Non avrà la compassione di Di Maio e Di Battista e neppure quella di migliaia di scalmanati dei social: per loro è un corrotto da spazzare.

Riportatelo a casa, avrà anni davanti a sé per ripensare ai suoi errori. E per un politico in disgrazia è questo il vero ergastolo.
 

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