3°LE SCALATE.......FAZIO-SE !!!!!!!!!!!!!!

SINIBALDO

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IL PAFFUTO BAMBOLOTTO.........DELLA RUDE "BANDA" ROMANA SI E'
FINALMENTE GUADAGNATO.........UNA "PARODIA" PER IL 28/08/05
NELLA TRASMISSIONE TELEVISIVA........." A QUELLI CHE IL CALCIO" !!!!!!!!!
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Scalatori mascherati. La Consob accusa


La variopinta compagnia degli scalatori (da Gianpiero Fiorani a Emilio Gnutti, da Giovanni Consorte a Stefano Ricucci) è oggetto di una serie di inchieste giudiziarie per reati societari.

La procura di Roma, per esempio, sta indagando sulla scalata Bnl, i magistrati di Milano Giulia Perrotti ed Eugenio Fusco stanno invece indagando su Antonveneta.

Si comincia così a sollevare qualche velo sui finanziamenti occulti e sulla rete di società, alcune delle quali domiciliate nelle Isole Vergini e in altri paradisi fiscali, da cui quei finanziamenti sono transitati.

Fiorani inoltre è il protagonista anche per due ardite operazioni di salvataggio, quelle che hanno strappato dal crac Credieuronord, la banca della Lega, e Hdc-Datamedia, la società di sondaggi di Luigi Crespi (per questo è anche indagato).

Anche la Consob ha posto sotto osservazione gli scalatori.

E nel rapporto del 10 maggio 2005 sull’affare Antonveneta ricostruisce minuziosamente i flussi di denaro entrati nella partita.

Dimostrando che Fiorani e i suoi amici hanno cominciato a rastrellare azioni della banca di Padova ben prima del 3 febbraio 2005, data in cui la Popolare di Lodi (Bipielle) ha chiesto a Bankitalia l’autorizzazione a salire fino al 15 per cento.

Si erano già mossi, dice il rapporto Consob, 38 soggetti che avevano acquistato più del 22 per cento del capitale di Antonveneta.

È così dimostrato che «il progetto Bipielle fosse già da tempo esistente e strutturato» e che «l’amministratore delegato di Bipielle avesse posto in essere contatti e incontri, anche con soci italiani aderenti al patto, finalizzati ad acquisire una partecipazione in Antonveneta».

In spregio alle regole, dunque, Fiorani e gli scalatori (tra cui Ricucci e Coppola) hanno stretto accordi sotterranei e non dichiarati, hanno organizzato una cordata segreta e sottratta a ogni controllo, hanno costituito un patto di sindacato occulto.

Senza darne comunicazione al mercato e alle autorità di controllo, Consob e Bankitalia.

Di questo patto di sindacato occulto di cui fanno parte, secondo Consob, «38 soggetti», 18 appartengono al gruppo bresciano di Chicco Gnutti, 12 al gruppo dei lodigiani legati a Fiorani, cinque sono immobiliaristi (tra cui Stefano Ricucci e Danilo Coppola) e tre trader.

I 38 soggetti, grazie alle informazioni riservate ricevute da Fiorani, hanno anche realizzato consistenti plusvalenze, perché hanno comprato sotto

traccia titoli Antonveneta prima dell’inizio ufficiale della scalata, rivendendoli poi alla Popolare di Lodi quando i prezzi erano considerevolmente lievitati.

Al reato ipotizzato di false comunicazioni si aggiunge così quello di insider trading.

È ipotizzabile inoltre anche il reato di aggiotaggio, perché gli scalatori avrebbero manipolato i meccanismi di mercato facendo salire i prezzi di Antonveneta ben oltre i 25 euro ad azione offerti dagli olandesi di Abn-Amro, facendo così fallire la loro opa.

Ma Fiorani non ha solo passato preziose informazioni agli amici, li ha anche generosamente finanziati, con cifre variabili da 10 a 50 milioni di euro a testa, con un esborso totale di 1.118 milioni di euro.

In 31 casi su 38 si è trattato di finanziamenti, scrive la Consob, con «profilo di rischio elevatissimo».

Ricucci, secondo il rapporto, è un caso a sé.

«Ha avuto nel medesimo periodo una significativa crescita del suo affidamento complessivo con la banca», anche se «non direttamente collegabile agli acquisti in questione».

Ma sappiamo che la sua Magiste era impegnata anche in altre partite, tra cui spicca la scalata Rcs.

Quali e quanti soldi sono passati da Bipielle Suisse a misteriose società dei Caraibi e poi arrivati a Ricucci che li ha utilizzati per il suo shopping milionario?

Sulla base di quali garanzie patrimoniali? E fornite da chi? Domande ancora senza risposta, che le indagini dovranno cercare di trovare.

Compagno Ricucci?

Ma, come nei gialli, è capitato che alcuni indiziati, sentendosi gli occhi addosso, abbiano fatto un passo falso: hanno dichiarato di amare
gli outsider, i lanzichenecchi, la rude razza romana.

Intanto si rafforza un’altra pista quella che fa capo a un ricco imprenditore italiano, forte anche in politica, con fedeli alleati Oltralpe.

Chissà se è quello che è successo a proposito del grande assalto alla finanza italiana .

Volevamo capire e illustrare i movimenti in corso su Rcs, Bnl, Antonveneta, Mediobanca, Fiat, Generali...

Poiché sono movimenti in gran parte sotterranei, per niente trasparenti, con soldi che non si sa da dove vengono e protagonisti che non mostrano il loro volto, vediamo di allineare gli indizi.

Si raccontano diverse piste, tra cui la "pista Berlusconi" e la "pista rossa".

La reazione di Massimo D’Alema e degli uomini a lui vicini è stata inaspettata.

Ci si poteva immaginare una secca smentita, accompagnata da un elogio della trasparenza e del mercato.

La prima c’è stata, il secondo no.

Anzi. "Non conosco nessuno di quei personaggi che si citano.

Io questo Ricucci non so neanche chi sia", dichiara D’Alema il 10 giugno 2005 all’Unità.

C’è da credergli. Ma poi aggiunge:

"Certe campagne si concludono perché, immagino, si vogliono tutelare degli interessi specifici, di persone che ritengono che i loro interessi personali sono una nobile battaglia in difesa degli interessi del mercato,

mentre gli interessi degli altri sono un ignobile complotto dietro cui si cela un qualche Belzebù".

Dunque gli assalti finanziari in atto sono invece, per D’Alema, un corretto scontro di mercato a cui assistere con distacco, tanto una parte vale l’altra, e vinca il migliore.

Claudio Velardi, che fu il braccio destro di D’Alema a Palazzo Chigi (anche se oggi, civettando un po’, si definisce un "disilluso del dalemismo"), parla ancora più chiaro.

L’11 giugno sul Corriere della sera ammette che sì, D’Alema quando era presidente del Consiglio avrebbe fatto meglio a stare zitto, a non dire in pubblico ciò che pensava dei protagonisti dell’opa su Telecom

("Avrebbe dovuto risparmiarsi quella frase sui capitani coraggiosi").

Ma poi gli scappa che cosa pensa, oggi, dei nuovi capitani coraggiosi, della rude razza romana degli immobiliaristi d’assalto:

"Effettivamente Caltagirone è un grande imprenditore. Ma Ricucci cos’ha, la rogna?". Ce ne vorrebbero di più.
Il giornale di cui Velardi è editore, il Riformista, è più esplicito e afferma (nell’editoriale del 7 giugno) che "gli outsider, i lanzichenecchi, gli immobiliaristi, i redditieri" non sono un problema per il capitalismo italiano.

Anzi, ce ne vorrebbero di più.

"Il problema italiano è proprio quello di una certa carestia di outsider; sì, proprio di gente che viene dal nulla e si fa da sola, e mentre si fa da sola produce sviluppo, pil e benessere".

Come Michele Sindona? Come Roberto Calvi? Come Giancarlo Parretti e tanti altri outsider della finanza italiana

(i fratelli Canavesio, Florio Fiorini, Orazio Bagnasco, Paolo Federici, Vincenzo Cultrera, Luciano Sgarlata, Gianmario Borsano, Giorgio Mendella, Virgilio De Giovanni e tanti altri il cui elenco completo riempirebbe pagine e pagine)?

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(Continua)

SINIBALDO


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