8 settembre 1943

Torniamo alla fuga: I fuggiaschi a Palazzo Mezzanotte a Chieti, e i reali a Crecchio, accaduto l'imprevisto, fuggirono a notte fonda del giorno 9, e l'operazione "liberazione del Duce" con grande agitazione, ne fu sconvolta. A questo punto dai tedeschi fu ripresa l'operazione con un altro programma domenica 12 settembre; e il programma non era più il "prelevamento" ma la "liberazione".
Ricordiamo ancora una volta cosa scrisse il generale Carboni nelle sue Memorie: "Se la fuga a Brindisi non fosse riuscita, Badoglio avrebbe prelevato Mussolini da Campo Imperatore (era Badoglio e il re che lo avevano messo agli arresti, e Badoglio e il re potevano anche prelevarlo!) e giustificandosi con Hitler, avrebbe dato la colpa della disfatta e la mancata difesa (dagli anglo-americani) di Roma al tradimento del Generale Cavallero col suo piano eversivo (il memoriale) antitedesco".
Della prigionia di Mussolini a Campo Imperatore ne parleremo più avanti.

RITORNIAMO SULLA RESA DI ROMA

Le cose invece a Roma andarono abbastanza bene per i germanici. Il pomeriggio del giorno 10 settembre, il genero del Re, Calvi di Bergolo, consegnava Roma ai tedeschi. La tanto celebrata battaglia nelle strade di Roma non fu poi così tanto epica, com'è spesso narrata, ma durò solo poche ore, e solo in alcuni quartieri. Alla sera i ritrovi e i cinema erano aperti e affollati, come se nulla fosse accaduto.
Il Comitato Nazionale dei Partiti Antifascisti, per la sera, alle ore 18, a piazza Colonna, con un manifestino aveva invitato i cittadini romani a intervenire "per inneggiare al nostro glorioso esercito che si batte contro i tedeschi". Si presentarono solo gli organizzatori. I romani rimasero a casa.
Quanto all'esercito una parte non si battè, ma si unì ai tedeschi.

La sera stessa del 10, l'agenzia Stefani, pubblicò un comunicato che mise particolarmente in vista l'atteggiamento del popolo che "....scettico, freddo, scanzonato ed incredulo più di quanto non si voglia generalmente ammetere e non si sappia, sembra oggi più che mai, esser rimasto e voler rimanere spiritualmente in margine agli avvenimenti, che pur strappano le carni alla sua Patria, con una mentalità ed un atteggiamento non soltanto di diffidenza, di sfiducia, di ostilità generale, ma perfino con un assenteismo, quasi disinteresse alla fase attuale della sua storia".

Del resto cacciare i tedeschi e difendere Roma, mancando ogni soccorso, persino aereo degli alleati, era tecnicamente impossibile; volerla fare senza che intorno a Roma ci fosse un largo campo trincerato o un valido sistema di fortificazioni armate di tutto punto, era un piano folle oltre che ridicolo. Inoltre mancavano i generali.

Badoglio e Roatta prima della fuga, e Carboni rimasto solo e senza i rinforzi promessi da Roatta, che abbiano reso più difficile la situazione per la difesa di Roma non ci sono dubbi. Ma che ci sia stata un sollevazione di tutta la città a battersi fino all'ultimo sangue col fermo proposito di cacciare e resistere ai tedeschi, non è neppure vero. Attivi furono soprattuto alcuni elementi dei gruppi di sinistra, con alcuni reparti di soldati che però non avevano ordini precisi dai loro comandanti (i pochi rimasti, fedeli alle consegne, e quindi in maggior parte filo-fascisti) che a loro volta erano indecisi cosa fare...


(in particolare a Porta san Paolo)......mentre la maggior parte del popolo romano rimase nelle case, fra l'apatia e l'indifferenza.
In questa difesa, che in sostanza era una cacciata dei pochi tedeschi che i "fuggiaschi" avevano lasciato a Roma, i nibelungi si difesero con violenza forse anche atroce, causando molti lutti. Ma siamo obiettivi: i tedeschi, "barbari" o no, avevano le loro buone ragione di reagire; anche un popolo mite, sentendosi addosso repentinamente come nemico il suo alleato, avrebbe reagito con violenza animalesca; Badoglio li aveva messi in una tremenda trappola.
La politica aveva reso nemici quelli che fino a poche ore prima nelle caserme erano camerati e kameraten. Inoltre l'armistizio -così ambiguo- non parlava di "dare la caccia" ai tedeschi, ma parlava di sospensione delle ostilità con gli anglo-americani, e se vogliamo interpretarlo giuridicamente, neppure aboliva nei confronti dei tedeschi il rapporto di alleanza (non c'era il minimo accenno di una dichiarazione di guerra alla Germania); né aboliva nei confronti degli anglo-americani il rapporto di nemico a nemico. I giornali riportavano anche il giorno dopo l'annuncio dell'armistizio i bollettini di guerra indicando con soddisfazione che in Sicilia "gli aerei, le navi dei nemici e i nemici stessi, erano stati abbattuti, affondati, respinti in mare".

Alcuni comandanti di ben 8 divisioni che erano nella capitale ("Sassari", "Granatieri" (il comandante Solina era un fascista; eppure con accanimento combattè a Roma e ad Ardea contro i tedeschi, ma fu fra i primi che poi passarono nelle file dell'Esercito repubblichino), "Piave" (idem, in 400 passarono nell'altra barricata), "Ariete", "Centauro" (la ex Milizia, era passata in blocco all'esercito badogliano, ma senza i carri armati, affidati pochi giorni prima ai tedeschi), "Piacenza", due divisioni costiere, oltre i reparti dei carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia e della P.A.I. (polizia Africa Italiana). Erano circa 60.000 uomini, più o meno armati, più o meno bene comandati dagli ufficiali inferiori, e si erano -nonostante tutto- dati da fare sparando qualche colpo contro le uniche due divisioni tedesche (PanzerGranadieren al nord -circa 24.000 uomini; alcuni reparti nei dintorni dei Castelli Romani -circa 12.000 uomini; e giunti da poco dalla Francia accasermati ad Ostia circa 14 mila paracadutisti).
Ma nonostante atti di valore della improvvisata resistenza e perfino attacchi, ad ogni istante gli improvvisati comandanti si domandavano, che cosa si dovesse poi fare, e dove dirigersi, e soprattutto da chi prendere ordini. Calvi di Bergolo, "sparito" Carboni dalla circolazione, assunse il comando di questa strana armata; ma prima di allora Calvi non aveva mai avuto grandi responsabilità decisionali come generale di divisione, era un personaggio in vista ma solo perchè era il genero del Re. Inoltre in quello stesso giorno lui stava patteggiando con i tedeschi la resa di Roma.

Gli italiani in questa strana lotta, non seguono una strategia coerente, le loro forze si sono frazionate, una parte consistente è in trasferimento ad est della città, mentre il centro della battaglia si trova tra l'Ardeatina e l' Ostiense. E' evidente che agli italiani manca una efficace azione di comando sostenuta da un sistema di collegamento affidabile. I comandanti di divisione, ma anche quelli minori, di battaglione, di compagnia, debbono agire d'iniziativa, privi di informazioni sull' andamento complessivo della battaglia, mentre i tedeschi si muovono in modo coordinato, a contatto tra loro attraverso gli apparecchi di comunicazione portatili e con il quartiere generale.

Risultato: trascorse poche ore, la maggior parte di questi soldati italiani non si difesero, non andarono all'attacco, e si lasciarono subito disarmare; anzi due battaglioni della ex Milizia passarono subito ai tedeschi. E se alcuni -spinti dalla loro coscienza sabotavano la guerra detta "fascista-nazista", altri allo stesso modo sabotavano la guerra detta "antifascista-nazista". Prove di ardimento le diedero comunque entrambi, ognuno credendo di agire bene per l'amor di Patria (leggeremo più avanti il singolare secondo comunicato di Calvi di Bergolo, e dove abitava l'amor di Patria).

Cosicchè, in breve, a Roma regnò la confusione. Carboni era sparito (disse poi che era andato in cerca di Roatta, il Capo di Stato Maggiore, che in quel momento era già a Chieti. Ma altre versioni affermano che anche lui si era messo sulla strada per raggiungere i fuggiaschi (portando con sé la cassa del SIM). E che fu fermato dai tedeschi a Tivoli e quindi costretto a tornare a Roma). Quelli che dovevano provvedere alle necessità militari erano latitanti. Chi doveva comandare la piazza era a colloquio con i tedeschi. I capi degli antifascisti che forse avrebbero potuto organizzare una difesa tenevano invece comizi. Mentre i soldati erano allo sbando; e quelli rimasti, alcuni accusavano gli altri di "tradimento", e questi accusavano quelli di "vigliaccheria".
Alla fine, alcuni ricevettero l'ordine di ritirarsi a Tivoli ma si sbandarono più della metà; altri senza ordini abbandonarono i reparti per andarsene da tutte le parti. Altri ancora si unirono ai tedeschi per poi sparare sugli italiani chiamandoli "traditori della Patria", e altri disertando dalla file, creando delle bande di guerriglieri si misero a sparare pure loro sugli italiani chiamandoli pure loro "traditori della Patria". Era il primo atto, di una lunga serie. Ma chi era il capo dei "salvatori della Patria", e da che parte stava? Nessuno lo sapeva (ci pensò poi Calvi di Bergolo, a chiarire il dilemma (!! - vedi il suo comunicato più avanti).

Solo ventiquattrore prima, tutti, tedeschi, italiani, civili nelle caserme avevano brindato fino a notte inoltrata la fine della guerra, l'avvento della pace, il ritorno a casa.

Ad un certo punto Calvi di Bergolo decise di sciogliere l'armata che era ai suoi ordini e di iniziare con Carboni (nel frattempo tornato a Roma) serie trattative con i tedeschi. Che dettarono le condizioni e chiesero la firma della resa di Roma, che però i due non vollero assumersi la responsabilità, firmò "allegramente" un loro sottoposto, il tenente colonnello LEANDRO GIACCONE, che davanti a Kesserling asserì "tanto, giuridicamente la mia firma essendo io di grado inferiore non ha nessun valore".

Significa che oltre commettere una disonestà, si opponeva una firma illegittima a un documento così importante, che toglieva ogni diritto di protestare, quando i tedeschi violeranno in seguito quell'accordo.
Il documento era non solo umiliante, ma vergognoso. Forse per questo che Calvi e Carboni non lo firmarono, tuttavia lo avallarono, anche se scaricarono le responsabiltà a Giaccone.
(Ricordiamo che Giaccone era il comandante della "Centauro", i cui reparti non si erano dati alla fuga, anche perché, la Centauro era la ex Milizia Fascista).

Il testo firmato da Giaccone e accettato dai due suoi superiori, non venne allora pubblicato ed è generalmente ignoto. Apparve solo in un opuscolo oggi introvabile; ma fu fortunatamente inserito da Musco, in Agguato a Roma, pag. 22. Ripreso poi da Attilio Tamaro, in Due anni di storia, 1943-1945, pubblicato nel 1948 (opera che abbiamo in originale).

E' un documento disonorevole e umiliante (molto di più dello stesso armistizio di Cassibile) perchè invitava specialmente gli ufficiali italiani a passare sotto le bandiere tedesche, giurando fedeltà a Hitler, e a sentirsene onorati.

(il testo è inserito SOLO nel CD
nell'apposito spazio dedicato ai numerosi documenti)
CD CRONOLOGIA - DOC.n. 101


Seguì poi il primo proclama di Calvi di Bergolo


Notare la situazione alle ore 10: "...la vita si svolge col ritmo consueto e normale"....

Poi il giorno 11, l'ordinanza di Kesserling; che affermava che non solo Roma, ma tutto il territorio italiano era dichiarato territorio di guerra, soggetta alle leggi di guerra della Germania. L'Italia è dichiarata una grande retrovia del fronte dove tutto va considerato al servizio della Wehrmacht.
Inoltre proibiva gli scioperi, le manifestazioni, ammoniva i sabotatori ecc.


Roma 11 settembre 1943


Il Comandante in Capo tedesco del sud, Mar.llo KESSERLING
ha emanato la seguente

ORDINANZA:

1) Il territorio dell'Italia a me sottoposto è dichiarato territorio di guerra. In esso sono valide le leggi tedesche di guerra.
2) Tutti i delitti commessi contro le Forze Armate tedesche saranno giudicati secondo il diritto tedesco di guerra.
3) Ogni sciopero è proibito e sarà giudicato dal tribunale di guerra.
4) Gli organizzatori di scioperi, i sabotatori ed i francotiratori saranno giudicati e fucilati per giudizio sommario.
5) Sono deciso a mantenere la calma e la disciplina e a sostenere le autorità italiane competenti con tutti i mezzi per assicurare alla popolazione il nutrimento.
6) Gli operai italiani i quali si mettono volontariamente a disposizione dei servizi tedeschi saranno trattati secondo i principii tedeschi e pagati secondo le tariffe tedesche.
7) 1 Ministeri amministrativi e le autorità giudiziarie continuano a lavorare.
8) Saranno subito rimessi in funzione il servizio ferroviario, le comunicazioni e le poste.
9) E' proibita fino a nuovo ordine la corrispondenza privata. Le conversazioni telefoniche, che dovranno essere limitate al minimo, saranno severamente sorvegliate.
10) Le autorità e le organizzazioni italiane civili sono verso di me responsabili per il funzionamento dell'ordine pubblico. Esse compiranno il loro dovere solamente se impediranno ogni atto di sabotaggio e di resistenza passiva contro le misure tedesche e se collaboreranno in modo esemplare con gli uffici tedeschi.

Maresciallo Kesserling

Roma 11 settembre 1943.






(per chi voleva intendere, nelle leggi di guerra (non solo tedesche) era contemplata la minaccia di rappresaglia in caso di attacchi di popolazioni locali nei confronti delle forze occupanti (in questo caso tedesche).
LA MINACCIA DUNQUE ERA NOTA, PRIMA DELL'ATTENTATO DI VIA RASELLA! DEL RESTO IL PRIMO A FARNE LA MORTALE ESPERIENZA, COME E' NOTO, FU IL BRIGADIERE SALVATORE D'ACQUISTO, CHE SI AUTOACCUSO' DELL'UCCISIONE DI 2 TEDESCHI, QUANDO IL 23 SETTEMBRE 20 CIVILI (PER RAPPRESAGLIA 1:10 = 20) ERANO GIA' STATI AVVIATI AL PLOTONE D'ESECUZIONE.)

CONTEMPORANEAMENTE IL SECONDO COMUNICATO DI CALVI DI BERGOLO
(il genero del Re, che affermava di "non far vacillare l'amor patrio"


Roma 11 settembre 1943

S.E. il Gen. Conte Calvi di Bergolo
rivolge alla cittadinanza romana il seguente messaggio:

«Romani, quale comandante responsabile della città aperta di Roma vi confermo il proclama che senza dubbio avrete letto e che ho già indirizzato alla cittadinanza.
Vi esorto a rimanere calmi e fiduciosi.
L'ora che attraversiamo è indubbiamente dolorosa e grave per tutti, ma potrebbe diventare infinitamente più grave e più dolorosa ancora, qualora il senso di responsabilità e l'amor patrio dovessero vacillare.
Le autorità responsabili stanno provvedendo con il massimo dell'energia per il ritorno della normalità in ogni aspetto della vita cittadina. Ho affrontato il problema alimentare. Tutti i servizi riprenderanno al più presto a funzionare regolarmente. Ognuno deve rimanere al suo posto ed assolvere il suo compito senza inquietudini, preoccupazioni od ansie, che non avrebbero giustificazioni.

Roma, 11 settembre 1943 - gen. Calvi di Bergolo


Calvi di Bergolo avverte con un altro breve comunicato, che chi verrà trovato con un arma (compresi i fucili da caccia) a partire dalla mezzanotte del 15 settembre sarà immediatamente fucilato.

Ci saranno incessanti e capillari rastrellamenti di militari italiani da deportare. Vengono istituiti campi di raccolta sorvegliati dalle SS nei dintorni di Roma, il principale a Pratica di Mare, in attesa dei carri bestiame ferroviari con i quali avviare, piombati, i prigionieri ai lager, gli ufficiali principalmente in Polonia, i soldati in Germania.
Le SS il 20 settembre si impadroniscono della intera riserva aurea italiana custodita nella Banca d' Italia in via Nazionale: 118 tonnellate di oro (Badoglio prima di fuggire da Roma, avrenne tutto il tempo (dal 3 al 9) per mettere in salvo l'oro della Banca D'Italia. Ed è anche questo molto strano).
Il 26 settembre Kappler ordina alla Comunità israelitica di consegnare 50 chili d' oro entro 48 ore, altrimenti tutti gli ebrei romani saranno deportati . Ricevuto l' oro, Kappler si reca nei locali della Comunità, si impadronisce dei registri ove sono riportati nomi ed indirizzi degli ebrei romani.
Moltissimi ebrei arrestati, prima obbligati a lavorare sugli argini del Tevere, poi saranno deportati in germania e pochissimi faranno ritorno.
 
E il CLN (in formazione) nel frattempo cosa aveva fatto? Già nella stessa mattina del 9, i partiti del "comitato nazionale delle correnti antifasciste" si riuniscono per costituisi in C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale). Lo compongono: Mauro Scoccimarro, Giorgio Amendola e Giovanni Roveda per il Partito Comunista; Alcide De Gasperi, Giovanni Gronchi e Giuseppe Spataro per la Democrazia Cristiana; Pietro Nenni, Giuseppe Romita e Sandro Pertini per il Partito Socialista di Unità Proletaria, Riccardo Bauer, Ugo la Malfa e Sergio Fenoaltea per il Partito d' Azione; Manlio Brosio, Alessandro Casati e Leone Cattani per il Partito Liberale; Bartolomeo Ruini e Giovanni Persico per il Partito Democratico del Lavoro (alla riunione mancano Manlio Brosio, rappresentato da Antonio Calvi e Sandro Pertini da Mario Zagari).
Altri gruppi e movimenti si formeranno al di fuori del CLN: il Fronte Militare Clandestino, emanazione diretta del governo Badoglio insediato a Brindisi; il Movimento Comunista d' Italia che formerà con altri -socialisti, comunisti cattolici (cattolici comunisti e cristiano sociali), anarchici, repubblicani e apolitici- il raggruppamento armato Bandiera Rossa (dal nome del giornale del M.C.d'I.); altre formazioni minori che, in unione con Bandiera Rossa, riterranno irrinunciabile la pregiudiziale repubblicana, accantonata invece dalla maggioranza del CLN (tranne che dagli azionisti che manterranno la riserva sino alla liberazione di Roma e alla nomina del governo Bonomi).
Quanto alla situazione di emergenza che si era venuta a creare volevano adottare tutti i provvedimenti atti a organizzare e prolungare la resistenza di Roma; volevano armare il popolo, incitarlo a insorgere.
Prima scoprirono che il governo e il sovrano, avevano capitolato e si erano dati alla fuga. Poi chiesero e offrirono la collaborazione a Carboni unico interlocutore (tornato a Roma dopo il tentativo di fuga). Ma Carboni con Calvi ormai era sulla strada della firma, e il Comitato non ebbe alcuna carta in mano per modificare la più che deteriorata situazione. Qualche arma la ottennero (ipocritamente) da Carboni, ma furono distribuite a chi le voleva, cioè se ne impossessarono ragazzetti, teppisti e criminali, ma anche chi voleva combattere seriamente, ma dopo, questi ultimi, di lì a qualche ora furono messi poi al bando dai comunicati che abbiamo appena letto, di Calvi di Bergolo e da Kesserling. Molte armi, soprattutto quelle pesanti, furono abbandonate per le strade.


.


Tuttavia, autonomamente, il giorno 9, si diedero da fare, e alcuni audaci manipoli il mattino del 10 settembre sparavano ancora negli angoli delle strade in vari quartieri, e altri sparavano sui tedeschi dai tetti. Molti giovani si sacrificarono con passione, lasciando sul campo le loro giovani vite e con loro tanti cittadini coinvolti. Nel pomeriggio residui focolai, incalzati dai tedeschi si ritirarono verso l'Aventino. Alcuni di loro con tanta retorica e fuori dalla realtà, evocavano le gesta di Garibaldi, Mameli, Fratelli Bandiera, la Repubblica Romana di Mazzini nel 1849.

Paradossale è, che anche i fascisti si rifacevano agli stessi eventi e agli stessi personaggi.
Questo è il manifesto durante la difesa di Roma


E poco dopo, altrettanto incitava a fare la nuova Repubblica Sociale Italiana


Altri ancora gridavano di voler imitare Stalingrado e Mosca, difendere Roma con la "guerra di popolo" (ma quelli però avevano almeno ricevuto armi, cannoni e ottimi generali).
La bandiera bianca issata a mezzogiorno da un reparto italiano a Porta San Paolo è tolta quasi subito da altri soldati italiani che invece vogliono combattere e cacciare i tedeschi. Scontri al Testaccio, a San Saba, alla Passeggiata Archeologica, a Porta San Giovanni, a via Sannio, a Largo Brindisi, a Santa Maria Maggiore, in via Cavour, in via Nazionale, in via Gioberti. Combattimenti proseguono accaniti anche dopo la resa, firmata nel pomeriggio, alle ore 16.
Nello stesso pomeriggio uscì un giornale redatto da comunisti e socialisti "Il lavoro italiano" (vedi più avanti) affermando che tutto il popolo italiano era in armi contro i tedeschi. Ma non era vero. Alla sera del 10, a Roma, era tutto finito; il popolo mantenne la sua imperturbabile calma; nel caos gli italiani si erano egregiamente governati da soli; non era mancato il pane, e la sera i caffè, i ristoranti i bar, rimasero aperti fino a tardi, e così i cinema e i teatri. Il mattino dopo, i giornali anche se fatti male e in ritardo uscirono, ma con in prima pagina il proclama di Calvi di Bergolo e poi quello di Kesserling che abbiamo visto sopra.

Il genero del Re aveva già trattato il giorno 9, e già consegnato la città di Roma a Kesserling il giorno 10, alle ore 16. Inoltre da notare che alle ore 10, del giorno 10 l'agenzia Stefani (non più fascista ma da due mesi era agli ordini di Badoglio) riferiva "la città di Roma è completamente tranquilla. La vita si svolge con il ritmo consueto e normale".

Il popolo, che non era nemmeno una folla, oltre che essere tranquillo e indifferente, scese in strada a vedere come in un film i combattimenti. C'era gente che moriva o veniva ferita, e capannelli di persone si formavano attorno a questi audaci ma poveri disgraziati. Ben vestiti, indifferenti, qualcuno fra un ferito e un morto, come se si trattasse di una banale esercitazione, guardando da un'altra parte, si fumava tranquillo pure la sigaretta.


I caduti per la difesa di Roma furono complessivamente 703, uccisi durante i combattimenti (di cui circa 70 civili e 51 donne) e 1800 feriti.
Perdite germaniche: 109 morti, 500 feriti.


Molto diverso era invece il tono del giornale...



Anche questo incitava il popolo italiano in armi contro i tedeschi e il ritorno di Garibaldi.
Ma quando uscì, i tedeschi erano già padroni della situazione. Come abbiamo visto sopra, alle ore 16 del giorno 10, Calvi aveva già consegnato Roma ai tedeschi, e affermava che era "patriottico" unirsi a loro e giurare a Hitler..
A sua difesa, c'è da dire che poi Carlo Calvi di Bergolo, invitato pure lui a giurare fedeltà alla nuova Repubblica Sociale fondata da Mussolini, rifiutò. Finì arrestato e avviato al Nord per essere deportato in Germania con altri ufficiali che ne avevano seguito l' esempio.

La sera stessa del 10 settembre, in base agli accordi, Roma è riconosciuta "città aperta" da entrambe le parti. Città aperta, per risparmiarne il patrimonio monumentale e artistico e rispettarne la funziome storica e sacra di centro della Cristianità. In quanto tale, secondo i patti, rigorosamente priva di apprestamenti e contingenti militari.

L'11 mattina sui muri poi comparvero i manifesti di Kesserling con le severe ordinanze dei tedeschi.
In due lingue !!


Iniziava così il Primo Atto della dominazione tedesca in Italia.

Il mattino dopo, il 12, il Messaggero scriveva: "Oggi Roma si sveglia da un torbido sogno".

Il giorno seguente i giornali italiani furono costretti a pubblicare le pesanti esternazioni di Hitler contro l'Italia; roventi parole sul "tradimento" del governo italiano.
 
Ma lo stesso 11 settembre, dal suo rifugio a Brindisi, finalmente Badoglio lancia un messaggio agli italiani dicendo che "sono i germanici i veri nemici del Popolo italiano, come in passato" e restando sempre nell'ambiguità concluderà dicendo: "Voi italiani trarrete da ciò le debite conseguenze e regolerete su di esse il vostro pensiero e la vostra azione".
(anche questo testo del discorso è inserito SOLO nel CD
nell'apposito spazio dedicato ai numerosi documenti)
CD CRONOLOGIA - DOC.n. 110

Il 19 SETTEMBRE, Kesserling invita gli italiani ad approffittare delle "favorevoli" condizioni di lavoro in Germania. Il 21 SETTEMBRE è pubblicato il bando di precettazione al lavoro obbligatorio che prevede la chiamata di 16.400 romani. Gli appartenenti a cinque classi, dal 1921 al 1925, dovranno presentarsi entro il 25 settembre per essere avviati in Germania o impiegati in opere di apprestamento militare. Se ne presenteranno 455. Gli altri, alcuni si daranno alla macchia, altri si nasconderanno dentro la capitale, guardandosi più dagli amici (che si credevano tali) che dai nemici. Infatti le delazioni non mancheranno per motivi abbietti: per antichi odii o per soldi.
L' ufficio culturale dell' ambasciata tedesca, in via Tasso, diventa sede della Gestapo e delle SS al comando di Kappler, luogo di reclusione e di tortura dei detenuti politici, con le stanze adibite a cella, con le porte a spioncino (e dopo qualche giorno saranno murate anche le finestre).

23 SETTEMBRE - "" L'eroismo di SALVATORE D'ACQUISTO, carabiniere, Medaglia d'Oro al valor militare alla memoria. Il giovane appena 23 enne, era nato a Napoli nel 1920.
Come tanti meridionali, si era arruolato nei Carabinieri nel 1939. L'anno successivo, aggregato alla 608a Sezione dell'Aeronautica, era stato trasferito in Africa settentrionale. Era tornato in Italia, nel 1942, per
seguire un corso per sottufficiali a Firenze. L'8 settembre 1943 lo colse a Roma, dove con il grado di vicebrigadiere, fu assegnato alla caserma dei carabinieri di Torre in Pietra. In quella località, la sera del 22 settembre, un'esplosione, avvenuta in una vicina caserma abbandonata dalle Guardia di Finanza, uccise due militari tedeschi e ne ferì alcuni altri che vi si erano acquartierati. Alcune bombe a mano, dimenticate dalle "Fiamme gialle" in una cassa, erano esplose quando i tedeschi vi si erano messi a curiosare. Fu il pretesto per organizzare un rastrellamento e il mattino i tedeschi si presentarono alla Stazione dei carabinieri trascinandovi 22 civili, fermati casualmente nei dintorni: per dare una sembianza di legalità a quello che si proponevano di fare, chiesero la presenza del comandante della Stazione. Il maresciallo non c'era e il vice brigadiere D'Acquisto fu costretto a seguire i tedeschi con i loro prigionieri sino a Palidoro. Dopo un sommario interrogatorio, durante il quale ciascuno professò la propria estraneità al fatto, l'ufficiale che comandava il drappello tedesco ordinò che a tutti i 22 civili fosse data una pala perché si scavassero la fossa. A questo punto il vice brigadiere, compreso che i tedeschi avrebbero ucciso tutti i prigionieri, per salvare 22 innocenti si accusò del preteso attentato.
D'Acquisto fu fucilato sul posto. I civili vennero tutti rilasciati."" (Nota di Antonio Gaito)

---------------------------------------

Ritorniamo al giorno 9 settembre su un altro versante: sul Gran Sasso

Mussolini e i suo custodi al Rifugio di Campo Imperatore, il giorno dopo, il 10 mattina, seppero della fuga dei reali e del governo fuggito a Brindisi e appresero alla sera dalla radio che fra le clausole dell'armistizio era compresa la consegna del Duce agli inglesi (* vedi in fondo). Ma per due giorni a Campo Imperatore non arrivò nessun ordine. A chi dunque dovevano ora ubbidire i custodi (Gueli e C.) visto che tutti erano uccel di bosco? Con Senise a Roma ormai incastrato da Badoglio e messo in mano ai tedeschi.

Mussolini alle ore 3 di domenica 12 mattina, perse forse ogni speranza, terrorizzato di essere consegnato agli inglesi (molte cose sarebbero cambiate!!!) cadde nella disperazione. Prima (che strana richiesta) chiese una pistola al tenente Faiola, poi al suo rifiuto Mussolini si svenò, lievemente, con una lametta di rasoio. Forse non proprio con l'intenzione di morire ma di avere da parte dei carcerieri compassione o un po' di solidarietà. In fin dei conti era Mussolini e un po' di carisma lo aveva ancora.
Faiola, proprio costui che era "un arnese di Badoglio", il 12 mattina cambia anche lui atteggiamento "vi giuro sulla testa dei miei figli che non vi consegnerò mai agli inglesi". Ma se dice queste cose, vuol dire che qualcosa sa (e che semmai - è sottinteso- lui lo avrebbe consegnato solo ai tedeschi).

Questo il racconto del maresciallo Osvaldo Antichi: "...entrando nella stanza del Duce, lo trovai seduto sulla sponda del letto con le braccia abbandonate e gli occhi sbarrati. Dai polsi, gli scendeva un rigagnolo di sangue. Sul comodino una lametta da barba. Con dello spago gli legai strettissimi gli avambracci per bloccare l'emorragia. Faiola corse con la cassetta di pronto soccorso poi con una garza gli medicammo le ferite".(Arrigo Petacco e Sergio Zavoli, Dal Gran Consiglio al Gran Sasso, Rizzoli, Milano, 1973).
(In molte foto che seguirono alla liberazione del Duce, si vede benissimo il suo polso fasciato)
----------------------------------------------------------

9-10 SETTEMBRE - Tutte le forze delle varie correnti antifasciste, finora vissute in clandestinità, escono allo scoperto; danno vita al Comitato di Liberazione Nazionale cercando di coordinare gli sbandati in funzione di una (vaga, perchè nessuno si aspettava dall'esercito un così colossale sbandamento e una così grande fuga di alti ufficiali) lotta anti-tedesca di resistenza. Nascono i vari reparti, con varie connotazioni politiche, che andranno ad assumere entro breve tempo carattere militare, inizialmente inquadrati, coordinati e con un sostegno militare e finanziario dei nuovi alleati; in un secondo tempo poi questi ne smorzarono l'entusiasmo, l'autonomia, e cessarono in molti casi anche gli aiuti; in una terza fase del conflitto si scontrarono perfino, ritenendoli dannosi e di intralcio alle loro operazioni.
Ma c'era un motivo: la migliore organizzazione partigiana era comunista, e questo non era stato previsto all'inizio (e nemmeno era stato previsto dagli anglo-americani un colossale sbandamento e la fuga di tutto l'esercito italiano). Si temeva insomma un golpe della sinistra. Gli Alleati chiesero, prima con CLARK (inascoltato) poi con ALEXANDER, perfino il disarmo dei partigiani, ma i capi della Resistenza si opporranno e soprattutto in Alta Italia organizzeranno un loro governo (al di fuori di ogni validità giuridica, in base alla Convenzione ma anche in base al diktat degli Alleati) fino all'arrivo degli anglo-americani. Poi il 7 giugno '45 smobiliteranno (Ma la paura agli alleati l'avevano messa addosso eccome! E Churchill, nell'eventualità, avrebbe agito come in Grecia, senza che Stalin mosse un dito. Nelle sue memorie, Churchill scrive "perchè avrebbe dovuto muoverlo? I patti della spartizione li avevamo già fatti". E l'italia pure questa ricadeva sull'influenza occidentale.
------------------------------------------------

(*) LA CONSEGNA DI MUSSOLINI AGLI INGLESI



Il Corriere della Sera, del "Pomeriggio" 16-17 settembre, pubblicò questa corrispondenza dall'estero.

Berlino 16 settembre. - I primi particolari sulle intenzioni che gli alleati avevano in animo verso Mussolini prigioniero si apprendono dalla Berliner Borse Zettung di giovedì mattina per tramine del corrispondente da Lisbona: "La liberazione di Mussolini è avvenuta tre, quattro ore prima che il Duce dovesse venir consegnato agli Stati Uniti. Da fonte degna di fede ho appreso i seguenti particolari sul progetto di consegna di Mussolini agli alleati, consegna che faceva parte essenziale delle clausole d'armistizio sottoscritto da Badoglio. Pochi giorni dopo il 25 luglio allorché Re Vittorio Emanuele e Badoglio avevano imprigionato Mussolini, opparve a Lisbona, a bordo di un aereo postale, il generale Castiglione e si mise in contatto con l'Ambasciata inglese e la Legazione degli Stati Uniti. La conversazione decisiva fra l'italiano e gli inglesi e americani ebbe luogo in un albergo a Manfra a circa 30 chilometri da Lisbona.

Alcuni giorni più tardi Castiglione ricevette l'invito di consegnare Mussolini agli Stati Uniti entro un termine stabilito da Roosevelt. La consegna, secondo il piano elaborato personalmente da Roosevelt doveva costituire un grosso colpo di scena politico simboleggiante la vittoria degli Stati Uniti sul fascismo e in pari tempo un trionfo capitale nella propaganda elettorale di Roosevelt. Una missione militare degli Stati Uniti avrebbe preso sotto la sua protezione Mussolini alla presenza di operatori cinematografici, fotografi, radiocorrispondenti e giornalisti. Mussolini doveva essere trasportato in aereo, dopo una sosta in Sicilia e a Gibilterra, direttamente a Nuova York e di là a Washington.

Roosevelt intendeva accogliere come prigioniero Mussolini alla Casa Bianca e alla presenza di Churchill in questa occasione avrebbe tenuto un radiodiscorso. L'arrivo a Nuova York era previsto per il 16 settembre. L'organizzazione di questo progetto richiese più tempo del previsto. Stimando erroneamente il valore delle contromisure tedesche di fronte alla capitolazione di Badoglio, non si diede alcuna importanza decisiva al fattore tempo".
Insomma fallì, perchè furono preceduti dai tedeschi.
-------------------------------------
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto