Fleursdumal
फूल की बुराई
Torniamo alla fuga: I fuggiaschi a Palazzo Mezzanotte a Chieti, e i reali a Crecchio, accaduto l'imprevisto, fuggirono a notte fonda del giorno 9, e l'operazione "liberazione del Duce" con grande agitazione, ne fu sconvolta. A questo punto dai tedeschi fu ripresa l'operazione con un altro programma domenica 12 settembre; e il programma non era più il "prelevamento" ma la "liberazione".
Ricordiamo ancora una volta cosa scrisse il generale Carboni nelle sue Memorie: "Se la fuga a Brindisi non fosse riuscita, Badoglio avrebbe prelevato Mussolini da Campo Imperatore (era Badoglio e il re che lo avevano messo agli arresti, e Badoglio e il re potevano anche prelevarlo!) e giustificandosi con Hitler, avrebbe dato la colpa della disfatta e la mancata difesa (dagli anglo-americani) di Roma al tradimento del Generale Cavallero col suo piano eversivo (il memoriale) antitedesco".
Della prigionia di Mussolini a Campo Imperatore ne parleremo più avanti.
RITORNIAMO SULLA RESA DI ROMA
Le cose invece a Roma andarono abbastanza bene per i germanici. Il pomeriggio del giorno 10 settembre, il genero del Re, Calvi di Bergolo, consegnava Roma ai tedeschi. La tanto celebrata battaglia nelle strade di Roma non fu poi così tanto epica, com'è spesso narrata, ma durò solo poche ore, e solo in alcuni quartieri. Alla sera i ritrovi e i cinema erano aperti e affollati, come se nulla fosse accaduto.
Il Comitato Nazionale dei Partiti Antifascisti, per la sera, alle ore 18, a piazza Colonna, con un manifestino aveva invitato i cittadini romani a intervenire "per inneggiare al nostro glorioso esercito che si batte contro i tedeschi". Si presentarono solo gli organizzatori. I romani rimasero a casa.
Quanto all'esercito una parte non si battè, ma si unì ai tedeschi.
La sera stessa del 10, l'agenzia Stefani, pubblicò un comunicato che mise particolarmente in vista l'atteggiamento del popolo che "....scettico, freddo, scanzonato ed incredulo più di quanto non si voglia generalmente ammetere e non si sappia, sembra oggi più che mai, esser rimasto e voler rimanere spiritualmente in margine agli avvenimenti, che pur strappano le carni alla sua Patria, con una mentalità ed un atteggiamento non soltanto di diffidenza, di sfiducia, di ostilità generale, ma perfino con un assenteismo, quasi disinteresse alla fase attuale della sua storia".
Del resto cacciare i tedeschi e difendere Roma, mancando ogni soccorso, persino aereo degli alleati, era tecnicamente impossibile; volerla fare senza che intorno a Roma ci fosse un largo campo trincerato o un valido sistema di fortificazioni armate di tutto punto, era un piano folle oltre che ridicolo. Inoltre mancavano i generali.
Badoglio e Roatta prima della fuga, e Carboni rimasto solo e senza i rinforzi promessi da Roatta, che abbiano reso più difficile la situazione per la difesa di Roma non ci sono dubbi. Ma che ci sia stata un sollevazione di tutta la città a battersi fino all'ultimo sangue col fermo proposito di cacciare e resistere ai tedeschi, non è neppure vero. Attivi furono soprattuto alcuni elementi dei gruppi di sinistra, con alcuni reparti di soldati che però non avevano ordini precisi dai loro comandanti (i pochi rimasti, fedeli alle consegne, e quindi in maggior parte filo-fascisti) che a loro volta erano indecisi cosa fare...
(in particolare a Porta san Paolo)......mentre la maggior parte del popolo romano rimase nelle case, fra l'apatia e l'indifferenza.
In questa difesa, che in sostanza era una cacciata dei pochi tedeschi che i "fuggiaschi" avevano lasciato a Roma, i nibelungi si difesero con violenza forse anche atroce, causando molti lutti. Ma siamo obiettivi: i tedeschi, "barbari" o no, avevano le loro buone ragione di reagire; anche un popolo mite, sentendosi addosso repentinamente come nemico il suo alleato, avrebbe reagito con violenza animalesca; Badoglio li aveva messi in una tremenda trappola.
La politica aveva reso nemici quelli che fino a poche ore prima nelle caserme erano camerati e kameraten. Inoltre l'armistizio -così ambiguo- non parlava di "dare la caccia" ai tedeschi, ma parlava di sospensione delle ostilità con gli anglo-americani, e se vogliamo interpretarlo giuridicamente, neppure aboliva nei confronti dei tedeschi il rapporto di alleanza (non c'era il minimo accenno di una dichiarazione di guerra alla Germania); né aboliva nei confronti degli anglo-americani il rapporto di nemico a nemico. I giornali riportavano anche il giorno dopo l'annuncio dell'armistizio i bollettini di guerra indicando con soddisfazione che in Sicilia "gli aerei, le navi dei nemici e i nemici stessi, erano stati abbattuti, affondati, respinti in mare".
Alcuni comandanti di ben 8 divisioni che erano nella capitale ("Sassari", "Granatieri" (il comandante Solina era un fascista; eppure con accanimento combattè a Roma e ad Ardea contro i tedeschi, ma fu fra i primi che poi passarono nelle file dell'Esercito repubblichino), "Piave" (idem, in 400 passarono nell'altra barricata), "Ariete", "Centauro" (la ex Milizia, era passata in blocco all'esercito badogliano, ma senza i carri armati, affidati pochi giorni prima ai tedeschi), "Piacenza", due divisioni costiere, oltre i reparti dei carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia e della P.A.I. (polizia Africa Italiana). Erano circa 60.000 uomini, più o meno armati, più o meno bene comandati dagli ufficiali inferiori, e si erano -nonostante tutto- dati da fare sparando qualche colpo contro le uniche due divisioni tedesche (PanzerGranadieren al nord -circa 24.000 uomini; alcuni reparti nei dintorni dei Castelli Romani -circa 12.000 uomini; e giunti da poco dalla Francia accasermati ad Ostia circa 14 mila paracadutisti).
Ma nonostante atti di valore della improvvisata resistenza e perfino attacchi, ad ogni istante gli improvvisati comandanti si domandavano, che cosa si dovesse poi fare, e dove dirigersi, e soprattutto da chi prendere ordini. Calvi di Bergolo, "sparito" Carboni dalla circolazione, assunse il comando di questa strana armata; ma prima di allora Calvi non aveva mai avuto grandi responsabilità decisionali come generale di divisione, era un personaggio in vista ma solo perchè era il genero del Re. Inoltre in quello stesso giorno lui stava patteggiando con i tedeschi la resa di Roma.
Gli italiani in questa strana lotta, non seguono una strategia coerente, le loro forze si sono frazionate, una parte consistente è in trasferimento ad est della città, mentre il centro della battaglia si trova tra l'Ardeatina e l' Ostiense. E' evidente che agli italiani manca una efficace azione di comando sostenuta da un sistema di collegamento affidabile. I comandanti di divisione, ma anche quelli minori, di battaglione, di compagnia, debbono agire d'iniziativa, privi di informazioni sull' andamento complessivo della battaglia, mentre i tedeschi si muovono in modo coordinato, a contatto tra loro attraverso gli apparecchi di comunicazione portatili e con il quartiere generale.
Risultato: trascorse poche ore, la maggior parte di questi soldati italiani non si difesero, non andarono all'attacco, e si lasciarono subito disarmare; anzi due battaglioni della ex Milizia passarono subito ai tedeschi. E se alcuni -spinti dalla loro coscienza sabotavano la guerra detta "fascista-nazista", altri allo stesso modo sabotavano la guerra detta "antifascista-nazista". Prove di ardimento le diedero comunque entrambi, ognuno credendo di agire bene per l'amor di Patria (leggeremo più avanti il singolare secondo comunicato di Calvi di Bergolo, e dove abitava l'amor di Patria).
Cosicchè, in breve, a Roma regnò la confusione. Carboni era sparito (disse poi che era andato in cerca di Roatta, il Capo di Stato Maggiore, che in quel momento era già a Chieti. Ma altre versioni affermano che anche lui si era messo sulla strada per raggiungere i fuggiaschi (portando con sé la cassa del SIM). E che fu fermato dai tedeschi a Tivoli e quindi costretto a tornare a Roma). Quelli che dovevano provvedere alle necessità militari erano latitanti. Chi doveva comandare la piazza era a colloquio con i tedeschi. I capi degli antifascisti che forse avrebbero potuto organizzare una difesa tenevano invece comizi. Mentre i soldati erano allo sbando; e quelli rimasti, alcuni accusavano gli altri di "tradimento", e questi accusavano quelli di "vigliaccheria".
Alla fine, alcuni ricevettero l'ordine di ritirarsi a Tivoli ma si sbandarono più della metà; altri senza ordini abbandonarono i reparti per andarsene da tutte le parti. Altri ancora si unirono ai tedeschi per poi sparare sugli italiani chiamandoli "traditori della Patria", e altri disertando dalla file, creando delle bande di guerriglieri si misero a sparare pure loro sugli italiani chiamandoli pure loro "traditori della Patria". Era il primo atto, di una lunga serie. Ma chi era il capo dei "salvatori della Patria", e da che parte stava? Nessuno lo sapeva (ci pensò poi Calvi di Bergolo, a chiarire il dilemma (!! - vedi il suo comunicato più avanti).
Solo ventiquattrore prima, tutti, tedeschi, italiani, civili nelle caserme avevano brindato fino a notte inoltrata la fine della guerra, l'avvento della pace, il ritorno a casa.
Ad un certo punto Calvi di Bergolo decise di sciogliere l'armata che era ai suoi ordini e di iniziare con Carboni (nel frattempo tornato a Roma) serie trattative con i tedeschi. Che dettarono le condizioni e chiesero la firma della resa di Roma, che però i due non vollero assumersi la responsabilità, firmò "allegramente" un loro sottoposto, il tenente colonnello LEANDRO GIACCONE, che davanti a Kesserling asserì "tanto, giuridicamente la mia firma essendo io di grado inferiore non ha nessun valore".
Significa che oltre commettere una disonestà, si opponeva una firma illegittima a un documento così importante, che toglieva ogni diritto di protestare, quando i tedeschi violeranno in seguito quell'accordo.
Il documento era non solo umiliante, ma vergognoso. Forse per questo che Calvi e Carboni non lo firmarono, tuttavia lo avallarono, anche se scaricarono le responsabiltà a Giaccone.
(Ricordiamo che Giaccone era il comandante della "Centauro", i cui reparti non si erano dati alla fuga, anche perché, la Centauro era la ex Milizia Fascista).
Il testo firmato da Giaccone e accettato dai due suoi superiori, non venne allora pubblicato ed è generalmente ignoto. Apparve solo in un opuscolo oggi introvabile; ma fu fortunatamente inserito da Musco, in Agguato a Roma, pag. 22. Ripreso poi da Attilio Tamaro, in Due anni di storia, 1943-1945, pubblicato nel 1948 (opera che abbiamo in originale).
E' un documento disonorevole e umiliante (molto di più dello stesso armistizio di Cassibile) perchè invitava specialmente gli ufficiali italiani a passare sotto le bandiere tedesche, giurando fedeltà a Hitler, e a sentirsene onorati.
(il testo è inserito SOLO nel CD
nell'apposito spazio dedicato ai numerosi documenti)
CD CRONOLOGIA - DOC.n. 101
Seguì poi il primo proclama di Calvi di Bergolo
Notare la situazione alle ore 10: "...la vita si svolge col ritmo consueto e normale"....
Poi il giorno 11, l'ordinanza di Kesserling; che affermava che non solo Roma, ma tutto il territorio italiano era dichiarato territorio di guerra, soggetta alle leggi di guerra della Germania. L'Italia è dichiarata una grande retrovia del fronte dove tutto va considerato al servizio della Wehrmacht.
Inoltre proibiva gli scioperi, le manifestazioni, ammoniva i sabotatori ecc.
Roma 11 settembre 1943
Il Comandante in Capo tedesco del sud, Mar.llo KESSERLING
ha emanato la seguente
ORDINANZA:
1) Il territorio dell'Italia a me sottoposto è dichiarato territorio di guerra. In esso sono valide le leggi tedesche di guerra.
2) Tutti i delitti commessi contro le Forze Armate tedesche saranno giudicati secondo il diritto tedesco di guerra.
3) Ogni sciopero è proibito e sarà giudicato dal tribunale di guerra.
4) Gli organizzatori di scioperi, i sabotatori ed i francotiratori saranno giudicati e fucilati per giudizio sommario.
5) Sono deciso a mantenere la calma e la disciplina e a sostenere le autorità italiane competenti con tutti i mezzi per assicurare alla popolazione il nutrimento.
6) Gli operai italiani i quali si mettono volontariamente a disposizione dei servizi tedeschi saranno trattati secondo i principii tedeschi e pagati secondo le tariffe tedesche.
7) 1 Ministeri amministrativi e le autorità giudiziarie continuano a lavorare.
8) Saranno subito rimessi in funzione il servizio ferroviario, le comunicazioni e le poste.
9) E' proibita fino a nuovo ordine la corrispondenza privata. Le conversazioni telefoniche, che dovranno essere limitate al minimo, saranno severamente sorvegliate.
10) Le autorità e le organizzazioni italiane civili sono verso di me responsabili per il funzionamento dell'ordine pubblico. Esse compiranno il loro dovere solamente se impediranno ogni atto di sabotaggio e di resistenza passiva contro le misure tedesche e se collaboreranno in modo esemplare con gli uffici tedeschi.
Maresciallo Kesserling
Roma 11 settembre 1943.
(per chi voleva intendere, nelle leggi di guerra (non solo tedesche) era contemplata la minaccia di rappresaglia in caso di attacchi di popolazioni locali nei confronti delle forze occupanti (in questo caso tedesche).
LA MINACCIA DUNQUE ERA NOTA, PRIMA DELL'ATTENTATO DI VIA RASELLA! DEL RESTO IL PRIMO A FARNE LA MORTALE ESPERIENZA, COME E' NOTO, FU IL BRIGADIERE SALVATORE D'ACQUISTO, CHE SI AUTOACCUSO' DELL'UCCISIONE DI 2 TEDESCHI, QUANDO IL 23 SETTEMBRE 20 CIVILI (PER RAPPRESAGLIA 1:10 = 20) ERANO GIA' STATI AVVIATI AL PLOTONE D'ESECUZIONE.)
CONTEMPORANEAMENTE IL SECONDO COMUNICATO DI CALVI DI BERGOLO
(il genero del Re, che affermava di "non far vacillare l'amor patrio"
Roma 11 settembre 1943
S.E. il Gen. Conte Calvi di Bergolo
rivolge alla cittadinanza romana il seguente messaggio:
«Romani, quale comandante responsabile della città aperta di Roma vi confermo il proclama che senza dubbio avrete letto e che ho già indirizzato alla cittadinanza.
Vi esorto a rimanere calmi e fiduciosi.
L'ora che attraversiamo è indubbiamente dolorosa e grave per tutti, ma potrebbe diventare infinitamente più grave e più dolorosa ancora, qualora il senso di responsabilità e l'amor patrio dovessero vacillare.
Le autorità responsabili stanno provvedendo con il massimo dell'energia per il ritorno della normalità in ogni aspetto della vita cittadina. Ho affrontato il problema alimentare. Tutti i servizi riprenderanno al più presto a funzionare regolarmente. Ognuno deve rimanere al suo posto ed assolvere il suo compito senza inquietudini, preoccupazioni od ansie, che non avrebbero giustificazioni.
Roma, 11 settembre 1943 - gen. Calvi di Bergolo
Calvi di Bergolo avverte con un altro breve comunicato, che chi verrà trovato con un arma (compresi i fucili da caccia) a partire dalla mezzanotte del 15 settembre sarà immediatamente fucilato.
Ci saranno incessanti e capillari rastrellamenti di militari italiani da deportare. Vengono istituiti campi di raccolta sorvegliati dalle SS nei dintorni di Roma, il principale a Pratica di Mare, in attesa dei carri bestiame ferroviari con i quali avviare, piombati, i prigionieri ai lager, gli ufficiali principalmente in Polonia, i soldati in Germania.
Le SS il 20 settembre si impadroniscono della intera riserva aurea italiana custodita nella Banca d' Italia in via Nazionale: 118 tonnellate di oro (Badoglio prima di fuggire da Roma, avrenne tutto il tempo (dal 3 al 9) per mettere in salvo l'oro della Banca D'Italia. Ed è anche questo molto strano).
Il 26 settembre Kappler ordina alla Comunità israelitica di consegnare 50 chili d' oro entro 48 ore, altrimenti tutti gli ebrei romani saranno deportati . Ricevuto l' oro, Kappler si reca nei locali della Comunità, si impadronisce dei registri ove sono riportati nomi ed indirizzi degli ebrei romani.
Moltissimi ebrei arrestati, prima obbligati a lavorare sugli argini del Tevere, poi saranno deportati in germania e pochissimi faranno ritorno.
Ricordiamo ancora una volta cosa scrisse il generale Carboni nelle sue Memorie: "Se la fuga a Brindisi non fosse riuscita, Badoglio avrebbe prelevato Mussolini da Campo Imperatore (era Badoglio e il re che lo avevano messo agli arresti, e Badoglio e il re potevano anche prelevarlo!) e giustificandosi con Hitler, avrebbe dato la colpa della disfatta e la mancata difesa (dagli anglo-americani) di Roma al tradimento del Generale Cavallero col suo piano eversivo (il memoriale) antitedesco".
Della prigionia di Mussolini a Campo Imperatore ne parleremo più avanti.
RITORNIAMO SULLA RESA DI ROMA
Le cose invece a Roma andarono abbastanza bene per i germanici. Il pomeriggio del giorno 10 settembre, il genero del Re, Calvi di Bergolo, consegnava Roma ai tedeschi. La tanto celebrata battaglia nelle strade di Roma non fu poi così tanto epica, com'è spesso narrata, ma durò solo poche ore, e solo in alcuni quartieri. Alla sera i ritrovi e i cinema erano aperti e affollati, come se nulla fosse accaduto.
Il Comitato Nazionale dei Partiti Antifascisti, per la sera, alle ore 18, a piazza Colonna, con un manifestino aveva invitato i cittadini romani a intervenire "per inneggiare al nostro glorioso esercito che si batte contro i tedeschi". Si presentarono solo gli organizzatori. I romani rimasero a casa.
Quanto all'esercito una parte non si battè, ma si unì ai tedeschi.
La sera stessa del 10, l'agenzia Stefani, pubblicò un comunicato che mise particolarmente in vista l'atteggiamento del popolo che "....scettico, freddo, scanzonato ed incredulo più di quanto non si voglia generalmente ammetere e non si sappia, sembra oggi più che mai, esser rimasto e voler rimanere spiritualmente in margine agli avvenimenti, che pur strappano le carni alla sua Patria, con una mentalità ed un atteggiamento non soltanto di diffidenza, di sfiducia, di ostilità generale, ma perfino con un assenteismo, quasi disinteresse alla fase attuale della sua storia".
Del resto cacciare i tedeschi e difendere Roma, mancando ogni soccorso, persino aereo degli alleati, era tecnicamente impossibile; volerla fare senza che intorno a Roma ci fosse un largo campo trincerato o un valido sistema di fortificazioni armate di tutto punto, era un piano folle oltre che ridicolo. Inoltre mancavano i generali.
Badoglio e Roatta prima della fuga, e Carboni rimasto solo e senza i rinforzi promessi da Roatta, che abbiano reso più difficile la situazione per la difesa di Roma non ci sono dubbi. Ma che ci sia stata un sollevazione di tutta la città a battersi fino all'ultimo sangue col fermo proposito di cacciare e resistere ai tedeschi, non è neppure vero. Attivi furono soprattuto alcuni elementi dei gruppi di sinistra, con alcuni reparti di soldati che però non avevano ordini precisi dai loro comandanti (i pochi rimasti, fedeli alle consegne, e quindi in maggior parte filo-fascisti) che a loro volta erano indecisi cosa fare...
(in particolare a Porta san Paolo)......mentre la maggior parte del popolo romano rimase nelle case, fra l'apatia e l'indifferenza.
In questa difesa, che in sostanza era una cacciata dei pochi tedeschi che i "fuggiaschi" avevano lasciato a Roma, i nibelungi si difesero con violenza forse anche atroce, causando molti lutti. Ma siamo obiettivi: i tedeschi, "barbari" o no, avevano le loro buone ragione di reagire; anche un popolo mite, sentendosi addosso repentinamente come nemico il suo alleato, avrebbe reagito con violenza animalesca; Badoglio li aveva messi in una tremenda trappola.
La politica aveva reso nemici quelli che fino a poche ore prima nelle caserme erano camerati e kameraten. Inoltre l'armistizio -così ambiguo- non parlava di "dare la caccia" ai tedeschi, ma parlava di sospensione delle ostilità con gli anglo-americani, e se vogliamo interpretarlo giuridicamente, neppure aboliva nei confronti dei tedeschi il rapporto di alleanza (non c'era il minimo accenno di una dichiarazione di guerra alla Germania); né aboliva nei confronti degli anglo-americani il rapporto di nemico a nemico. I giornali riportavano anche il giorno dopo l'annuncio dell'armistizio i bollettini di guerra indicando con soddisfazione che in Sicilia "gli aerei, le navi dei nemici e i nemici stessi, erano stati abbattuti, affondati, respinti in mare".
Alcuni comandanti di ben 8 divisioni che erano nella capitale ("Sassari", "Granatieri" (il comandante Solina era un fascista; eppure con accanimento combattè a Roma e ad Ardea contro i tedeschi, ma fu fra i primi che poi passarono nelle file dell'Esercito repubblichino), "Piave" (idem, in 400 passarono nell'altra barricata), "Ariete", "Centauro" (la ex Milizia, era passata in blocco all'esercito badogliano, ma senza i carri armati, affidati pochi giorni prima ai tedeschi), "Piacenza", due divisioni costiere, oltre i reparti dei carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia e della P.A.I. (polizia Africa Italiana). Erano circa 60.000 uomini, più o meno armati, più o meno bene comandati dagli ufficiali inferiori, e si erano -nonostante tutto- dati da fare sparando qualche colpo contro le uniche due divisioni tedesche (PanzerGranadieren al nord -circa 24.000 uomini; alcuni reparti nei dintorni dei Castelli Romani -circa 12.000 uomini; e giunti da poco dalla Francia accasermati ad Ostia circa 14 mila paracadutisti).
Ma nonostante atti di valore della improvvisata resistenza e perfino attacchi, ad ogni istante gli improvvisati comandanti si domandavano, che cosa si dovesse poi fare, e dove dirigersi, e soprattutto da chi prendere ordini. Calvi di Bergolo, "sparito" Carboni dalla circolazione, assunse il comando di questa strana armata; ma prima di allora Calvi non aveva mai avuto grandi responsabilità decisionali come generale di divisione, era un personaggio in vista ma solo perchè era il genero del Re. Inoltre in quello stesso giorno lui stava patteggiando con i tedeschi la resa di Roma.
Gli italiani in questa strana lotta, non seguono una strategia coerente, le loro forze si sono frazionate, una parte consistente è in trasferimento ad est della città, mentre il centro della battaglia si trova tra l'Ardeatina e l' Ostiense. E' evidente che agli italiani manca una efficace azione di comando sostenuta da un sistema di collegamento affidabile. I comandanti di divisione, ma anche quelli minori, di battaglione, di compagnia, debbono agire d'iniziativa, privi di informazioni sull' andamento complessivo della battaglia, mentre i tedeschi si muovono in modo coordinato, a contatto tra loro attraverso gli apparecchi di comunicazione portatili e con il quartiere generale.
Risultato: trascorse poche ore, la maggior parte di questi soldati italiani non si difesero, non andarono all'attacco, e si lasciarono subito disarmare; anzi due battaglioni della ex Milizia passarono subito ai tedeschi. E se alcuni -spinti dalla loro coscienza sabotavano la guerra detta "fascista-nazista", altri allo stesso modo sabotavano la guerra detta "antifascista-nazista". Prove di ardimento le diedero comunque entrambi, ognuno credendo di agire bene per l'amor di Patria (leggeremo più avanti il singolare secondo comunicato di Calvi di Bergolo, e dove abitava l'amor di Patria).
Cosicchè, in breve, a Roma regnò la confusione. Carboni era sparito (disse poi che era andato in cerca di Roatta, il Capo di Stato Maggiore, che in quel momento era già a Chieti. Ma altre versioni affermano che anche lui si era messo sulla strada per raggiungere i fuggiaschi (portando con sé la cassa del SIM). E che fu fermato dai tedeschi a Tivoli e quindi costretto a tornare a Roma). Quelli che dovevano provvedere alle necessità militari erano latitanti. Chi doveva comandare la piazza era a colloquio con i tedeschi. I capi degli antifascisti che forse avrebbero potuto organizzare una difesa tenevano invece comizi. Mentre i soldati erano allo sbando; e quelli rimasti, alcuni accusavano gli altri di "tradimento", e questi accusavano quelli di "vigliaccheria".
Alla fine, alcuni ricevettero l'ordine di ritirarsi a Tivoli ma si sbandarono più della metà; altri senza ordini abbandonarono i reparti per andarsene da tutte le parti. Altri ancora si unirono ai tedeschi per poi sparare sugli italiani chiamandoli "traditori della Patria", e altri disertando dalla file, creando delle bande di guerriglieri si misero a sparare pure loro sugli italiani chiamandoli pure loro "traditori della Patria". Era il primo atto, di una lunga serie. Ma chi era il capo dei "salvatori della Patria", e da che parte stava? Nessuno lo sapeva (ci pensò poi Calvi di Bergolo, a chiarire il dilemma (!! - vedi il suo comunicato più avanti).
Solo ventiquattrore prima, tutti, tedeschi, italiani, civili nelle caserme avevano brindato fino a notte inoltrata la fine della guerra, l'avvento della pace, il ritorno a casa.
Ad un certo punto Calvi di Bergolo decise di sciogliere l'armata che era ai suoi ordini e di iniziare con Carboni (nel frattempo tornato a Roma) serie trattative con i tedeschi. Che dettarono le condizioni e chiesero la firma della resa di Roma, che però i due non vollero assumersi la responsabilità, firmò "allegramente" un loro sottoposto, il tenente colonnello LEANDRO GIACCONE, che davanti a Kesserling asserì "tanto, giuridicamente la mia firma essendo io di grado inferiore non ha nessun valore".
Significa che oltre commettere una disonestà, si opponeva una firma illegittima a un documento così importante, che toglieva ogni diritto di protestare, quando i tedeschi violeranno in seguito quell'accordo.
Il documento era non solo umiliante, ma vergognoso. Forse per questo che Calvi e Carboni non lo firmarono, tuttavia lo avallarono, anche se scaricarono le responsabiltà a Giaccone.
(Ricordiamo che Giaccone era il comandante della "Centauro", i cui reparti non si erano dati alla fuga, anche perché, la Centauro era la ex Milizia Fascista).
Il testo firmato da Giaccone e accettato dai due suoi superiori, non venne allora pubblicato ed è generalmente ignoto. Apparve solo in un opuscolo oggi introvabile; ma fu fortunatamente inserito da Musco, in Agguato a Roma, pag. 22. Ripreso poi da Attilio Tamaro, in Due anni di storia, 1943-1945, pubblicato nel 1948 (opera che abbiamo in originale).
E' un documento disonorevole e umiliante (molto di più dello stesso armistizio di Cassibile) perchè invitava specialmente gli ufficiali italiani a passare sotto le bandiere tedesche, giurando fedeltà a Hitler, e a sentirsene onorati.
(il testo è inserito SOLO nel CD
nell'apposito spazio dedicato ai numerosi documenti)
CD CRONOLOGIA - DOC.n. 101
Seguì poi il primo proclama di Calvi di Bergolo
Notare la situazione alle ore 10: "...la vita si svolge col ritmo consueto e normale"....
Poi il giorno 11, l'ordinanza di Kesserling; che affermava che non solo Roma, ma tutto il territorio italiano era dichiarato territorio di guerra, soggetta alle leggi di guerra della Germania. L'Italia è dichiarata una grande retrovia del fronte dove tutto va considerato al servizio della Wehrmacht.
Inoltre proibiva gli scioperi, le manifestazioni, ammoniva i sabotatori ecc.
Roma 11 settembre 1943
Il Comandante in Capo tedesco del sud, Mar.llo KESSERLING
ha emanato la seguente
ORDINANZA:
1) Il territorio dell'Italia a me sottoposto è dichiarato territorio di guerra. In esso sono valide le leggi tedesche di guerra.
2) Tutti i delitti commessi contro le Forze Armate tedesche saranno giudicati secondo il diritto tedesco di guerra.
3) Ogni sciopero è proibito e sarà giudicato dal tribunale di guerra.
4) Gli organizzatori di scioperi, i sabotatori ed i francotiratori saranno giudicati e fucilati per giudizio sommario.
5) Sono deciso a mantenere la calma e la disciplina e a sostenere le autorità italiane competenti con tutti i mezzi per assicurare alla popolazione il nutrimento.
6) Gli operai italiani i quali si mettono volontariamente a disposizione dei servizi tedeschi saranno trattati secondo i principii tedeschi e pagati secondo le tariffe tedesche.
7) 1 Ministeri amministrativi e le autorità giudiziarie continuano a lavorare.
8) Saranno subito rimessi in funzione il servizio ferroviario, le comunicazioni e le poste.
9) E' proibita fino a nuovo ordine la corrispondenza privata. Le conversazioni telefoniche, che dovranno essere limitate al minimo, saranno severamente sorvegliate.
10) Le autorità e le organizzazioni italiane civili sono verso di me responsabili per il funzionamento dell'ordine pubblico. Esse compiranno il loro dovere solamente se impediranno ogni atto di sabotaggio e di resistenza passiva contro le misure tedesche e se collaboreranno in modo esemplare con gli uffici tedeschi.
Maresciallo Kesserling
Roma 11 settembre 1943.
(per chi voleva intendere, nelle leggi di guerra (non solo tedesche) era contemplata la minaccia di rappresaglia in caso di attacchi di popolazioni locali nei confronti delle forze occupanti (in questo caso tedesche).
LA MINACCIA DUNQUE ERA NOTA, PRIMA DELL'ATTENTATO DI VIA RASELLA! DEL RESTO IL PRIMO A FARNE LA MORTALE ESPERIENZA, COME E' NOTO, FU IL BRIGADIERE SALVATORE D'ACQUISTO, CHE SI AUTOACCUSO' DELL'UCCISIONE DI 2 TEDESCHI, QUANDO IL 23 SETTEMBRE 20 CIVILI (PER RAPPRESAGLIA 1:10 = 20) ERANO GIA' STATI AVVIATI AL PLOTONE D'ESECUZIONE.)
CONTEMPORANEAMENTE IL SECONDO COMUNICATO DI CALVI DI BERGOLO
(il genero del Re, che affermava di "non far vacillare l'amor patrio"
Roma 11 settembre 1943
S.E. il Gen. Conte Calvi di Bergolo
rivolge alla cittadinanza romana il seguente messaggio:
«Romani, quale comandante responsabile della città aperta di Roma vi confermo il proclama che senza dubbio avrete letto e che ho già indirizzato alla cittadinanza.
Vi esorto a rimanere calmi e fiduciosi.
L'ora che attraversiamo è indubbiamente dolorosa e grave per tutti, ma potrebbe diventare infinitamente più grave e più dolorosa ancora, qualora il senso di responsabilità e l'amor patrio dovessero vacillare.
Le autorità responsabili stanno provvedendo con il massimo dell'energia per il ritorno della normalità in ogni aspetto della vita cittadina. Ho affrontato il problema alimentare. Tutti i servizi riprenderanno al più presto a funzionare regolarmente. Ognuno deve rimanere al suo posto ed assolvere il suo compito senza inquietudini, preoccupazioni od ansie, che non avrebbero giustificazioni.
Roma, 11 settembre 1943 - gen. Calvi di Bergolo
Calvi di Bergolo avverte con un altro breve comunicato, che chi verrà trovato con un arma (compresi i fucili da caccia) a partire dalla mezzanotte del 15 settembre sarà immediatamente fucilato.
Ci saranno incessanti e capillari rastrellamenti di militari italiani da deportare. Vengono istituiti campi di raccolta sorvegliati dalle SS nei dintorni di Roma, il principale a Pratica di Mare, in attesa dei carri bestiame ferroviari con i quali avviare, piombati, i prigionieri ai lager, gli ufficiali principalmente in Polonia, i soldati in Germania.
Le SS il 20 settembre si impadroniscono della intera riserva aurea italiana custodita nella Banca d' Italia in via Nazionale: 118 tonnellate di oro (Badoglio prima di fuggire da Roma, avrenne tutto il tempo (dal 3 al 9) per mettere in salvo l'oro della Banca D'Italia. Ed è anche questo molto strano).
Il 26 settembre Kappler ordina alla Comunità israelitica di consegnare 50 chili d' oro entro 48 ore, altrimenti tutti gli ebrei romani saranno deportati . Ricevuto l' oro, Kappler si reca nei locali della Comunità, si impadronisce dei registri ove sono riportati nomi ed indirizzi degli ebrei romani.
Moltissimi ebrei arrestati, prima obbligati a lavorare sugli argini del Tevere, poi saranno deportati in germania e pochissimi faranno ritorno.