A VOLTE Mi SDRAIO SUL DIVANO E PENSO AGLI ERRORI CHE HO FATTO NELLA MIA VITA...

Che spettacolo Flavia Pennetta e Roberta Vinci, il meglio dello sport in scena: nessun buonismo ipocrita, fame di vincere a tonnellate, rabbia e orgoglio e sportività. Fin affetto.
E fu così che la Pennetta conquistò New York, un assegno mica da ridere (la vittoria all’ Us Open vale 3.3 milioni) e la dichiarazione definitiva: «Alla fine dell’anno mi ritiro».
Parla di vita perfetta, di obiettivi raggiunti e nella sua semplicità è romanticamente eroica.
Lei ha il coraggio di dire che ha una l’esistenza che voleva, costruita racchetta, impegno e sudore, che oggi tutto è perfetto e che molla, all’apice della carriera, con un torneo del Grande Slam in tasca, quel sorriso lì e il grande amore tra il pubblico. Niente di esagerato, enorme, dorato. Vuole «le piccole cose».
D’una lucidità imbarazzante: più su di così è pressoché impossibile andare, in questo campo, allora ora che ho toccato il cielo (e il conto in banca è di tutto rispetto), saluto e creo qualcosa d’immane: una famiglia.
 
Bella, la Pennetta, che senza saperlo ha dato una lezione all’Italietta incapace di lasciare.
Dai vecchi casermoni d’apparato, gente stipendiata nelle diramazioni d’una Roma burocratica e tentacolare ancora lì, dopo aver impantanato la nazione in oltre trent’anni di paralisi letale, agli altri “eterni”.
Un destro pure in faccia a Susanna Camusso e sindacalisti che, oltre a essere incapaci di cambiare, nonostante siano cambiati mondo, impresa e società, il grande gesto di cedere il microfono non sapranno farlo mai.
Silvio Berlusconi
è l’emblema del mancato ritiro. Passato dalla rivoluzione liberale annunciata nel ’94 al regno pascaliano, non lascia, non spinge il partito, blocca il centrodestra e ha finito per uccidere la sua stessa creatura. Ha fallito in quello che doveva essere uno stravolgimento del Paese, ha fallito nel trovare un erede o banalmente nel capire che la sua presenza avrebbe annichilito quel che di buono e votabile ancora c’era in Forza Italia.
 
Nel calderone dei non-lascio-manco-a-morire ci puoi mettere poi una marea di politici, da Massimo D’Alema che ha annunciato la scissione, a Romano Prodi che ancora commenta le vicissitudini d’un partito che non è riuscito a vincere seriamente per vent’anni perché lui restava lì, fino a Rosy Bindi, oggi silente ma ancora in attesa d’una rinascita.
Pier Luigi Bersani avrebbe dovuto lasciare a Matteo Renzi, ad un certo punto, ma divenne guerra. Ha perso clamorosamente, ancora trova giustificazioni alla cosa arrampicandosi sui vetri.


Confindustria non è da meno. Squinzi e l’intera dirigenza dopo non aver ottenuto nulla per l’impresa italiana avrebbero dovuto farsi da parte, inutili rappresentanti di una categoria ancora senza rappresentanza.

È un Paese in cui i cambiamenti, il cambio della guardia, le prospettive vengono divorati dalle piccinerie dei singoli.

Qui vince la mentalità da posto fisso, da orticello conquistato e mai reso.

Sempre col Pubblico, con le cose che non dovrebbero aver proprietà e diventano vuoti a perdere.

La Pennetta annunciando che avrebbe lasciato ha tirato un ceffone al carrozzone italico. Che bella la Pennetta. Ma anche questa è una lezione che difficilmente impareremo, tanto che Twitter s’è scatenato implorandola di restare, mera ignoranza, cecità di chi non riesce a vedere la perfezione degli adii bisbigliati per tempo.
 
Jeremy Corbin è il nuovo segretario del Partito Laburista inglese, il che vuol dire che come minimo Cameron sarà Primo Ministro di Gran Bretagna per i prossimi dieci anni.
 
La lotta all’evasione è il primo punto: se paghiamo tutti, paghiamo meno”.
Matteo Renzi, che di propaganda se ne intende, alla fine s’è giocato il jolly, e ha messo sul piatto l’immancabile crociata contro l’evasione fiscale, accompagnata dal solito refrain: se tutti pagassero fino all’ultimo centesimo di tasse, la pressione fiscale diminuirebbe.

Una favola che è stata puntualmente raccontata da ogni governo che si è succeduto negli ultimi anni, dapprima impegnato ad annunciare una serie di misure volte ad abbassare le tasse e finanziate dal recupero dell’evasione, e poi altrettanto puntuale nel disattenderle.
Anzi, con una beffa ben nota: la pressione fiscale non è affatto scesa: è aumentata.

Questa mancata diminuzione è dovuta al fatto che la lotta all’evasione non sta dando i frutti sperati? Ebbene, no.
La lotta all’evasione e il recupero delle somme derivanti dai controlli conosce, ormai da tempo, un consolidato trend positivo.
Una bugia? No, affatto. Una realtà dimostrata da numeri ufficiali.
 
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Poi chiedo all’interlocutore: dove sono finiti tutti questi soldi che sono stati recuperati, e il cui ammontare aumenta di anno in anno?
Sono serviti a diminuire la pressione fiscale su famiglie e imprese?
Sono serviti per finanziare una spending review?
Sono serviti per sostenere le fasce più disagiate?
Sono serviti per una qualsiasi riforma strutturale della quale si sono visti risultati tangibili?
A questo punto l’interlocutore inizia ad arrampicarsi sugli specchi.
E così concludo rivolgendogli una domanda un po’ cattivella: non è che questa storia del “pagare tutti per pagare meno” è solo una favola per mantenere buono il popolino? Benvenuti nel mondo reale.
 
Settembre, mese di fichi.
E di abboccamenti Pd con i massoni del Grande Oriente d’Italia.

Chiedere a Matteo Biffoni – avvocato pratese, consigliere comunale dal 2004 al 2013, deputato Pd dal 5 marzo 2013 al 9 luglio 2014, quindi sindaco di Prato dal 26 maggio 2014 – amico di Matteo il fiorentino, che oggi siede a Palazzo Chigi, e di Maria Elena Boschi, ministro per i Rapporti con il Parlamento e per le Riforme Costituzionali, originaria di Montevarchi, in provincia di Arezzo.

Esulta, il Grande Oriente d’Italia, con il suo Gran Maestro, il senese Stefano Bisi, perché Matteo il pratese ha detto sì.
La Toscana riunita: Firenze, Arezzo, Prato, Siena. Fiorentini, aretini, pratesi smazzano il potere, i senesi fanno da calamita, tentando di attirarli a sé, riuscendoci.
 

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