Generali la Grande Guerra dei poteri forti
Geronzi offre tregua. Perissinotto: "Non mi fido"
Lettera di sei consiglieri: subito un cda straordinario. La Consob ha chiesto una nuova informativa sull'operazione con la Ppf di Kellner
di MASSIMO GIANNINI
Giovanni Perissinotto, ceo delle Generali
RACCONTANO che l'ultima battaglia, nella Grande Guerra di Trieste, sia stata sull'iPad. Qualche settimana fa Cesare Geronzi ha chiesto che gli fosse comprato il magico tablet della Apple. La richiesta, passata al vaglio degli uffici del "cfo" Raffaele Agrusti, è stata respinta. «Non rientra tra gli appannaggi previsti per la presidenza». Furibondo, Geronzi si sarebbe dunque rivolto direttamente all'amministratore delegato. «Ti rendi conto? Siamo impazziti? Per il presidente non è previsto nemmeno l'iPad? Noi siamo le Generali…». Raccontano allora che Giovanni Perissinotto, gli abbia risposto, gelido: «Appunto. Noi siamo le Generali: e queste sono le regole...». È solo un episodio. Uno tra i tanti. Ma la dice lunga sul conflitto atomico che si sta consumando dentro una delle più grandi e strategiche aziende del Paese, e una delle prime tre compagnie d'assicurazione d'Europa. Le Generali, la "magnifica preda" che fu cara a Enrico Cuccia, e che oggi è al centro di uno scontro di potere mai visto, nella storia secolare del Leone Alato. Scontro tra uomini. Ma soprattutto scontro tra potentati, che incrocia il management e l'azionariato, la finanza e la politica.
Geronzi contro
Perissinotto, supportato da Vincent Bollorè per conto dei soci francesi.
Diego Della Valle contro
Geronzi, supportato da Lorenzo Pellicioli per conto degli azionisti "minori".
In mezzo, Alberto Nagel in grave ambascia per conto di Mediobanca.
E Francesco Gaetano Caltagirone in profondotormento per conto di sè medesimo.
La posta in gioco è sempre la stessa.
Comandare nella cassaforte più ricca d'Italia, con attivi per 470 miliardi, e un patrimonio immobiliare da 27 miliardi.
Per farne cosa, è questione che muta in base all'ottica dei "guerrieri".
Secondo lo schema di Geronzi, uno speciale "colosso di sistema", al servizio degli assetti industrial-finanziari, dei progetti infrastrutturali e degli equilibri politici del Paese.
Secondo lo schema di Bollorè, una eccezionale "provincia dell'impero" transalpino, al servizio della casa madre Axa.
Secondo lo schema del management, un normale "gigante assicurativo", al servizio della redditività gestionale e della creazione di valore per gli azionisti.
La Grande Guerra di Trieste è iniziata il giorno dopo l'insediamento di Geronzi alla presidenza, cioè da quel fatidico 24 aprile 2010. Presidenza "senza deleghe", ma secondo la vecchia regola del banchiere di Marino: «Le deleghe? Non mi interessano, a me l'unica delega che serve è il telefono, e quella nessuno me la può togliere…».
Da allora, sulla linea rovente Trieste-Milano-Roma non c'è stata mai pace. Geronzi non ha rinunciato al suo grande progetto. E meno che mai, all'idea di
controllare, attraverso le Generali, le partecipazioni strategiche del gruppo che già controllava da presidente di Mediobanca, nel solito groviglio di quote azionarie incrociate: da
Telecom a Rcs, da Intesa alla stessa Mediobanca.
Il management, che in questa chiave "cesarista" rappresenta un intralcio, ha resistito. Ma oggi la contesa ha superato i livelli di guardia.
L'affare Petr Kellner è la miccia che ha fatto esplodere la compagnia. Sulla discussa joint venture con la Ppf del finanziere della Repubblica Ceca, gestita da Perissinotto e voluta a suo tempo da Bernheim, si è scatenato il putiferio. Dentro la compagnia, con
Geronzi che ha alimentato i dubbi sulla convenienza dell'operazione. Nel consiglio di amministrazione, con Bollorè che all'ultima riunione si è spinto ad astenersi sui conti del gruppo, e
Tarak Ben Ammar che in tv si è spinto addirittura ventilare l'ipotesi di un «falso in bilancio». E poi sul mercato, con l'Isvap che sul caso ha inviato due lettere, per chiedere chiarimenti.
Cose mai viste, nell'austera compagnia dove lavorò il giovane Franz Kafka.
In queste ore sta accadendo di tutto. Perissinotto è furibondo, e intenzionato a vendere cara la pelle. Geronzi, colpito dalla violenza degli attacchi di Della Valle e insospettito dalle manovre di Bollorè, è in momentaneo ripiegamento.
Nagel e Pagliaro tacciono, in attesa degli eventi. Ma gli eventi si verificano, uno più clamoroso e più velenoso dell'altro. Raccontano che quando tutto è cominciato, nell'autunno di un anno fa, sia accaduto un fatto strano. A fine ottobre, secondo fonti vicine all'autorità di vigilanza sulle assicurazioni, Geronzi avrebbe avuto un lungo incontro con il presidente dello stesso istituto,
Giancarlo Giannini. Due ore di colloquio, rigorosamente riservato. Pochi giorni dopo, il 4 novembre 2010, è arrivata la lettera dell'Isvap nella quale si chiedevano lumi sull'affare Kellner (missiva che Geronzi ha letto pubblicamente nel cda riunito l'11 dello stesso mese). Pura coincidenza?
Sta di fatto che,
da allora, è un Vietnam quotidiano. Geronzi e Perissinotto, da febbraio, si scontrano ormai a viso aperto. E' accaduto dopo l'uscita al Forex, nella quale il banchiere di Marino ha detto la sua sulla gestione del patrimonio immobiliare della compagnia, innescando una replica stizzita di Perissinotto. «Sei stato scortese, non puoi smentire il tuo presidente», l'ha rimproverato Geronzi. «Non ti ho smentito, ho solo difeso i miei manager», gli ha risposto a brutto muso l'amministratore delegato.
E' accaduto dopo l'intervista al Financial Times, nella quale il banchiere di Marino ha parlato da "ceo" e r
ilanciato le Generali come player globale, perfino per il Ponte sullo Stretto.
In cda è stato l'inferno.
Della Valle è partito alla carica: «Quell'uscita è stata una follia».
Perissinotto ci ha messo il carico: «Presidente, con quell'intervista ci hai fatto un danno…».
Geronzi non ha battuto ciglio: «Non sono d'accordo. Se la compagnia ne è uscita male è perché il titolo è sottoperformato…».
Il "ceo" ha replicato, nel gelo della sala: «No, questo è un colpo basso e non lo accetto…».
Da allora si va avanti così.
In un crescendo di accuse e controaccuse.
Culminate nelle sparate ad alzo zero di Bollorè e nelle interviste avvelenate di Tarak, sulle quali si è indignato mezzo consiglio di amministrazione nelle riunioni del 23 febbraio e del 16 marzo.
Non solo Della Valle. A muoversi, per arginare le parole del finanziere bretone e i silenzi del presidente, sono stati i rappresentanti dell'Assogestioni, Cesare Calari, Carlo Carraro e Paola Sapienza.
Persino Paolo Scaroni, "ceo" dell'Eni, alla fine è sbottato: «Signori, adesso basta con questi attacchi, così ci facciamo male tutti. Chi non lo capisce, o non ci arriva o è in malafede…».
Alla fine, Bollorè si è calmato, e invece di votare contro ha deciso di astenersi sul bilancio.
E Geronzi ha invitato tutti a «ritrovare la serenità». Anche perché, nel frattempo, la Grande Guerra di Trieste è finita nel tritacarne mediatico quotidiano, oltre che nella "macchina del fango" che orbita intorno
alla P4 di Luigi Bisignani e al sito Dagospia.
Giovedì scorso, consapevole dei rischi di un duello ormai fuori controllo, Geronzi ha tentato un passo distensivo.
Ha invitato Perissinotto per un caffè, nell'ufficio romano delle Generali in Piazza Venezia.
«Caro Giovanni, dobbiamo ritrovare un punto di equilibrio. Facciamo un comunicato congiunto, in cui tronchiamo le polemiche…», è stata l'offerta del Cesarone nazionale.
Raccontano che la reazione di Perissinotto sia stata glaciale: «Mi dispiace, ormai è troppo tardi.
Tu ci hai destabilizzato, e io non mi fido più».
Siamo alla rottura, dunque.
Dove porta, una sindrome distruttiva così acuta nel cuore di una delle poche grandi aziende del Paese, è difficile dirlo.
Ma la preoccupazione cresce. Anche a livello politico.
E' nota l'attenzione che Gianni Letta, per conto di Berlusconi, ha sempre riservato alle strategie di Geronzi. Ma dall'altroieri, sul fronte governativo, è in campo anche un altro "giocatore", altrettanto di peso perché rappresenta un "contropotere" rispetto a Letta. E'
Tremonti, che giovedì sera ha voluto incontrare Perissinotto al Tesoro, per chiedergli conto di cosa sta accadendo alle Generali. Raccontano da Via XX Settembre che Giulio non si sia sbilanciato, e abbia concluso con un ecumenico: «Mi raccomando, siate responsabili…».
Ma d'ora in poi anche il superministro ha i radar accesi su Trieste.
E fa bene.
Perché il bello (o il brutto) viene adesso.
Tutti, amici e nemici, concordano su un punto: è impensabile arrivare in queste condizioni all'assemblea del 30 aprile. Quindi uno show-down, in un senso o nell'altro, è urgente e inevitabile.
Ieri il collegio dei sindaci del Leone Alato ha mandato una lettera allarmata, a Geronzi e Perissinotto, in cui denuncia «la dannosa diffusione di notizie» sui lavori del cda, la «potenziale turbativa, il serio rischio di deterioramento dell'immagine e il grave danno per gli stakeholders», in cui invita «il cda a una seria riflessione» e a un maggior «coordinamento delle comunicazioni all'esterno», e in cui chiede «un incontro urgente al presidente e al ceo».
E sempre ieri è partita l'iniziativa che può innescare la resa dei conti definitiva: 6 consiglieri sui 18 totali (cioè un terzo del cda, quota minima da statuto per attivare un'iniziativa del genere) hanno inviato a loro volta una lettera a Geronzi, per chiedere
«la convocazione urgente di un consiglio di amministrazione straordinario».
All'ordine del giorno tre punti:
la gestione dei costi,
la questione della delega al presidente sulla comunicazione,
il caso Bollorè.
La lettera sarà sul tavolo di Geronzi lunedì mattina: da quel momento, il presidente avrà 48 ore per decidere se esistono i requisiti d'urgenza, e allora convoca subito il cda, oppure no, e in quel caso lo convoca entro i successivi otto giorni.
Il conto alla rovescia è dunque partito. Al massimo entro i prossimi dieci giorni ci sarà il redde rationem.
Con due novità ulteriori, altrettanto fragorose per lo "stile della casa".
La prima: ai sensi dell'articolo 114 del Tuf,
la Consob chiederà alle Generali «un'informativa al mercato» sull'operazione Ppf, per lunedì mattina.
La seconda: nel cda straordinario
Perissinotto chiederà ai consiglieri il via libera sull'esposto alla stessa Consob contro Bollorè e Tarak, «per la diffusione di notizie imprecise tali da turbare le quotazioni del titolo».
Un'arma in più, in questa Grande Guerra di Trieste ormai prossima all'epilogo.
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