Assicurazioni Generali (G) Addio compagno di mille avventure (1 Viewer)

generali1984

Forumer storico
Sembra che qualcuno si stia svegliando
i malumori stanno affiorando già da un pò
anche se mai da tanto quanto i miei , peccato che non conto una cippa :D

le vere schermaglie degli azionisti pesanti sembra averle iniziate Del Vecchio ,
che ha rassegnato le dimissioni da consigliere motivandole con un laconico
"visto che nell'indirizzo programmatico conto come generali1984 che è un buzzurro di campagna , ovvero una cippa , tanto vale che lascio la sedia"
e non è poco visto che al vecio patron della luxottica fanno riferimento
partecipazioni di azionisti anche importanti , come i DeAgostini
(che mi stan sule balle ma questa è un'altra storia e non riguarda il Leone),

lo strappo è risultato evidente perchè il vecio Del Vecchio
non è tipo da sparate , anzi

è ora il turno di Della Valle che mi sembra ricopra il ruolo di ariete di sfondamento
e per quanto mi stia antipatico pure lui bisogna dargli atto
che sta dicendo cose giuste , in merito a Rcs e indirizzi societari
ma soprattutto perchè ha dichiarato
"Vecchio bacucco te vai in pensione (leggi fuori dai maroni) o no ? "

la cosa che mi fa pensare molto male ora è che
c'è una sedia che fra poco potrebbe restare vacante .............
.................se il bestio va via da Generali per via Nazionale
è la volta buona che faccio un biglietto solo andata per il SudAmerica :rolleyes:
 

tontolina

Forumer storico
lo condanneranno?



da Crack Cirio, il Pm chiede: 15 anni a Cragnotti, 8 a Geronzi e 6 a Fiorani
Crack Cirio, il Pm chiede: 15 anni a Cragnotti, 8 a Geronzi e 6 a Fiorani

Roma - "Affermare la penale responsabilità degli imputati" e condannare a 15 anni di reclusione Sergio Cragnotti, 12 anni per il suo genero e direttore finanziario, Filippo Fucile. Queste le richieste del pm Gustavo De Marinis per il crack del gruppo Cirio. Il magistrato, tra gli altri, ha chiesto anche 8 anni per Cesare Geronzi e 6 anni per Gianpiero Fiorani. (TmNews)

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La condanna di Sergio Cragnotti a 15 anni di reclusione e di Cesare Geronzi a 8 anni e' stata chiesta dalla pubblica accusa al processo per il crac della Cirio. In totale l'accusa ha chiesto la condanna di 31 imputati, per un totale di 221 anni,e di una societa'.
Per tutti gli imputati, ad eccezione di Michele Casella, e' stata sollecitata l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale per la durata di dieci anni.

La società citata dal pm e' Dianthus Spa per la quale e' stata formulata la richiesta di una sanzione pecuniaria nella misura di 300 quote.
Queste le altre richieste di condanne:
8 anni per Riccardo Bianchini Riccardi, Ernesto Chiacchierini, Alfredo Gaetani, Paolo Nicolini, Ettore Quadrani, Vittorio Romano, Francesco Scornajenchi;
6 anni per Emma Benedetti, Tomaso Farini, Mauro Luis Pontes Pinto E Silva, Grazia Scartaccini, Lucio Velo, Gianluca Marini, Annunziato Scordo, Francesco Maria Matrone, Francesco Sommaruga Angelo Fanti, Pietro Celestini Locati, Remo Martinelli, Giovanni Benevento e Ambrogio Sfrondini;
4 anni per Michele Casella. Gli imputati sono in gran parte dirigenti delle società del Gruppo Cirio, all'epoca dei fatti (2003), funzionari di banca e collaboratori di Cragnotti.
Al termine della prescrizione il pm ha definito prescritto il reato di truffa che riguarda tre indagati. Si tratta di Sebastiano Baudo, Angelo Brizzi e Alberto Giovannini.
Il processo si sta celebrando davanti ai giudici della I sezione penale del Tribunale di Roma.(Ansa)

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Una requisitoria "generica e immotivata". Così i difensori di Cesare Geronzi commentano le richieste del pm Gustavo De Marinis per il crack del gruppo Cirio. De Marinis ha chiesto, tra gli altri, per l'attuale presidente di Generali una condanna a otto anni di reclusione. "Anche quando il cliente è solido e vitale, le banche dovrebbero coltivare la logica del sospetto e pronosticare esiti rovinosi pur se si convincono che una impresa gode di buona salute.

E' questo il pensiero cui si ispira la requisitoria dei pubblici ministeri nel processo Cirio, là dove prospetta responsabilità penali al di fuori della cerchia degli amministratori del Gruppo Cragnotti", affermano gli avvocati Ennio Amodio e Paola Severino. "In questo modo però si trasforma la fisiologia del credito in una patologia del finanziamento, una condotta che le prove raccolte dal Tribunale di Roma hanno invece persuasivamente escluso".

"I giudici sapranno certamente andare al di là di queste implausibili presunzioni contenute in una requisitoria generica e immotivata - proseguono - Potranno così riconoscere che tutti i manager della allora Banca di Roma, a cominciare dal suo presidente Cesare Geronzi, che, peraltro, non aveva specifici poteri in materia, hanno agito con la correttezza e l'equilibrio di chi è attento alle esigenze del cliente, ma si guarda bene dal farsi trascinare dalle sue incontrollate aspirazioni". (TmNews)
 

tontolina

Forumer storico
fosse la volta buona
per quello che ritengo il VERO responsabile della bancarotta parmalat :down:
infatti fu lui a convincere il patron della Parmalat ad acquistare le "acque" da Ciarrapico

ma com'è che tu nella zona politica
difendi sti fetenti?

dovresti sapere che militano e proteggono solo un certo tipo di lestofanti..

bah ... misteri della vita....

comunque... tirrem innanz..
 

generali1984

Forumer storico
Io ci attaccherei i fili della luce a molte di quelle sedie.

Ciao.


Ciao Nagual
siamo in tanti :)

è possibile una fiammata speculativa
che sia da poco o no potrebbe valere un'entrata
forse forzerò la mia reticenza e spizzico qualcosa entro le scadenze
però non vorrei a questi livelli
per ora "chiedo carta" vediamo se flettono tanto da dire "sto"
 

tontolina

Forumer storico
Generali la Grande Guerra dei poteri forti
Geronzi offre tregua. Perissinotto: "Non mi fido"


Lettera di sei consiglieri: subito un cda straordinario. La Consob ha chiesto una nuova informativa sull'operazione con la Ppf di Kellner

di MASSIMO GIANNINI
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Giovanni Perissinotto, ceo delle Generali



RACCONTANO che l'ultima battaglia, nella Grande Guerra di Trieste, sia stata sull'iPad. Qualche settimana fa Cesare Geronzi ha chiesto che gli fosse comprato il magico tablet della Apple. La richiesta, passata al vaglio degli uffici del "cfo" Raffaele Agrusti, è stata respinta. «Non rientra tra gli appannaggi previsti per la presidenza». Furibondo, Geronzi si sarebbe dunque rivolto direttamente all'amministratore delegato. «Ti rendi conto? Siamo impazziti? Per il presidente non è previsto nemmeno l'iPad? Noi siamo le Generali…». Raccontano allora che Giovanni Perissinotto, gli abbia risposto, gelido: «Appunto. Noi siamo le Generali: e queste sono le regole...». È solo un episodio. Uno tra i tanti. Ma la dice lunga sul conflitto atomico che si sta consumando dentro una delle più grandi e strategiche aziende del Paese, e una delle prime tre compagnie d'assicurazione d'Europa. Le Generali, la "magnifica preda" che fu cara a Enrico Cuccia, e che oggi è al centro di uno scontro di potere mai visto, nella storia secolare del Leone Alato. Scontro tra uomini. Ma soprattutto scontro tra potentati, che incrocia il management e l'azionariato, la finanza e la politica.

Geronzi contro Perissinotto, supportato da Vincent Bollorè per conto dei soci francesi.
Diego Della Valle contro Geronzi, supportato da Lorenzo Pellicioli per conto degli azionisti "minori".
In mezzo, Alberto Nagel in grave ambascia per conto di Mediobanca.
E Francesco Gaetano Caltagirone in profondotormento per conto di sè medesimo.

La posta in gioco è sempre la stessa.

Comandare nella cassaforte più ricca d'Italia, con attivi per 470 miliardi, e un patrimonio immobiliare da 27 miliardi.

Per farne cosa, è questione che muta in base all'ottica dei "guerrieri".
Secondo lo schema di Geronzi, uno speciale "colosso di sistema", al servizio degli assetti industrial-finanziari, dei progetti infrastrutturali e degli equilibri politici del Paese.
Secondo lo schema di Bollorè, una eccezionale "provincia dell'impero" transalpino, al servizio della casa madre Axa.
Secondo lo schema del management, un normale "gigante assicurativo", al servizio della redditività gestionale e della creazione di valore per gli azionisti.

La Grande Guerra di Trieste è iniziata il giorno dopo l'insediamento di Geronzi alla presidenza, cioè da quel fatidico 24 aprile 2010. Presidenza "senza deleghe", ma secondo la vecchia regola del banchiere di Marino: «Le deleghe? Non mi interessano, a me l'unica delega che serve è il telefono, e quella nessuno me la può togliere…».
Da allora, sulla linea rovente Trieste-Milano-Roma non c'è stata mai pace. Geronzi non ha rinunciato al suo grande progetto. E meno che mai, all'idea di controllare, attraverso le Generali, le partecipazioni strategiche del gruppo che già controllava da presidente di Mediobanca, nel solito groviglio di quote azionarie incrociate: da Telecom a Rcs, da Intesa alla stessa Mediobanca.
Il management, che in questa chiave "cesarista" rappresenta un intralcio, ha resistito. Ma oggi la contesa ha superato i livelli di guardia.

L'affare Petr Kellner è la miccia che ha fatto esplodere la compagnia. Sulla discussa joint venture con la Ppf del finanziere della Repubblica Ceca, gestita da Perissinotto e voluta a suo tempo da Bernheim, si è scatenato il putiferio. Dentro la compagnia, con Geronzi che ha alimentato i dubbi sulla convenienza dell'operazione. Nel consiglio di amministrazione, con Bollorè che all'ultima riunione si è spinto ad astenersi sui conti del gruppo, e Tarak Ben Ammar che in tv si è spinto addirittura ventilare l'ipotesi di un «falso in bilancio». E poi sul mercato, con l'Isvap che sul caso ha inviato due lettere, per chiedere chiarimenti.

Cose mai viste, nell'austera compagnia dove lavorò il giovane Franz Kafka.
In queste ore sta accadendo di tutto. Perissinotto è furibondo, e intenzionato a vendere cara la pelle. Geronzi, colpito dalla violenza degli attacchi di Della Valle e insospettito dalle manovre di Bollorè, è in momentaneo ripiegamento.
Nagel e Pagliaro tacciono, in attesa degli eventi. Ma gli eventi si verificano, uno più clamoroso e più velenoso dell'altro. Raccontano che quando tutto è cominciato, nell'autunno di un anno fa, sia accaduto un fatto strano. A fine ottobre, secondo fonti vicine all'autorità di vigilanza sulle assicurazioni, Geronzi avrebbe avuto un lungo incontro con il presidente dello stesso istituto, Giancarlo Giannini. Due ore di colloquio, rigorosamente riservato. Pochi giorni dopo, il 4 novembre 2010, è arrivata la lettera dell'Isvap nella quale si chiedevano lumi sull'affare Kellner (missiva che Geronzi ha letto pubblicamente nel cda riunito l'11 dello stesso mese). Pura coincidenza?

Sta di fatto che, da allora, è un Vietnam quotidiano. Geronzi e Perissinotto, da febbraio, si scontrano ormai a viso aperto. E' accaduto dopo l'uscita al Forex, nella quale il banchiere di Marino ha detto la sua sulla gestione del patrimonio immobiliare della compagnia, innescando una replica stizzita di Perissinotto. «Sei stato scortese, non puoi smentire il tuo presidente», l'ha rimproverato Geronzi. «Non ti ho smentito, ho solo difeso i miei manager», gli ha risposto a brutto muso l'amministratore delegato.
E' accaduto dopo l'intervista al Financial Times, nella quale il banchiere di Marino ha parlato da "ceo" e rilanciato le Generali come player globale, perfino per il Ponte sullo Stretto.
In cda è stato l'inferno.
Della Valle è partito alla carica: «Quell'uscita è stata una follia».
Perissinotto ci ha messo il carico: «Presidente, con quell'intervista ci hai fatto un danno…».
Geronzi non ha battuto ciglio: «Non sono d'accordo. Se la compagnia ne è uscita male è perché il titolo è sottoperformato…».
Il "ceo" ha replicato, nel gelo della sala: «No, questo è un colpo basso e non lo accetto…».
Da allora si va avanti così.
In un crescendo di accuse e controaccuse.
Culminate nelle sparate ad alzo zero di Bollorè e nelle interviste avvelenate di Tarak, sulle quali si è indignato mezzo consiglio di amministrazione nelle riunioni del 23 febbraio e del 16 marzo.
Non solo Della Valle. A muoversi, per arginare le parole del finanziere bretone e i silenzi del presidente, sono stati i rappresentanti dell'Assogestioni, Cesare Calari, Carlo Carraro e Paola Sapienza.
Persino Paolo Scaroni, "ceo" dell'Eni, alla fine è sbottato: «Signori, adesso basta con questi attacchi, così ci facciamo male tutti. Chi non lo capisce, o non ci arriva o è in malafede…».
Alla fine, Bollorè si è calmato, e invece di votare contro ha deciso di astenersi sul bilancio.
E Geronzi ha invitato tutti a «ritrovare la serenità». Anche perché, nel frattempo, la Grande Guerra di Trieste è finita nel tritacarne mediatico quotidiano, oltre che nella "macchina del fango" che orbita intorno alla P4 di Luigi Bisignani e al sito Dagospia.


Giovedì scorso, consapevole dei rischi di un duello ormai fuori controllo, Geronzi ha tentato un passo distensivo.
Ha invitato Perissinotto per un caffè, nell'ufficio romano delle Generali in Piazza Venezia.
«Caro Giovanni, dobbiamo ritrovare un punto di equilibrio. Facciamo un comunicato congiunto, in cui tronchiamo le polemiche…», è stata l'offerta del Cesarone nazionale.
Raccontano che la reazione di Perissinotto sia stata glaciale: «Mi dispiace, ormai è troppo tardi. Tu ci hai destabilizzato, e io non mi fido più».
Siamo alla rottura, dunque.
Dove porta, una sindrome distruttiva così acuta nel cuore di una delle poche grandi aziende del Paese, è difficile dirlo.
Ma la preoccupazione cresce. Anche a livello politico.
E' nota l'attenzione che Gianni Letta, per conto di Berlusconi, ha sempre riservato alle strategie di Geronzi. Ma dall'altroieri, sul fronte governativo, è in campo anche un altro "giocatore", altrettanto di peso perché rappresenta un "contropotere" rispetto a Letta. E' Tremonti, che giovedì sera ha voluto incontrare Perissinotto al Tesoro, per chiedergli conto di cosa sta accadendo alle Generali. Raccontano da Via XX Settembre che Giulio non si sia sbilanciato, e abbia concluso con un ecumenico: «Mi raccomando, siate responsabili…».

Ma d'ora in poi anche il superministro ha i radar accesi su Trieste.

E fa bene.

Perché il bello (o il brutto) viene adesso.

Tutti, amici e nemici, concordano su un punto: è impensabile arrivare in queste condizioni all'assemblea del 30 aprile. Quindi uno show-down, in un senso o nell'altro, è urgente e inevitabile.
Ieri il collegio dei sindaci del Leone Alato ha mandato una lettera allarmata, a Geronzi e Perissinotto, in cui denuncia «la dannosa diffusione di notizie» sui lavori del cda, la «potenziale turbativa, il serio rischio di deterioramento dell'immagine e il grave danno per gli stakeholders», in cui invita «il cda a una seria riflessione» e a un maggior «coordinamento delle comunicazioni all'esterno», e in cui chiede «un incontro urgente al presidente e al ceo».

E sempre ieri è partita l'iniziativa che può innescare la resa dei conti definitiva: 6 consiglieri sui 18 totali (cioè un terzo del cda, quota minima da statuto per attivare un'iniziativa del genere) hanno inviato a loro volta una lettera a Geronzi, per chiedere «la convocazione urgente di un consiglio di amministrazione straordinario».
All'ordine del giorno tre punti:
la gestione dei costi,
la questione della delega al presidente sulla comunicazione,
il caso Bollorè.
La lettera sarà sul tavolo di Geronzi lunedì mattina: da quel momento, il presidente avrà 48 ore per decidere se esistono i requisiti d'urgenza, e allora convoca subito il cda, oppure no, e in quel caso lo convoca entro i successivi otto giorni.

Il conto alla rovescia è dunque partito. Al massimo entro i prossimi dieci giorni ci sarà il redde rationem.

Con due novità ulteriori, altrettanto fragorose per lo "stile della casa".
La prima: ai sensi dell'articolo 114 del Tuf, la Consob chiederà alle Generali «un'informativa al mercato» sull'operazione Ppf, per lunedì mattina.
La seconda: nel cda straordinario Perissinotto chiederà ai consiglieri il via libera sull'esposto alla stessa Consob contro Bollorè e Tarak, «per la diffusione di notizie imprecise tali da turbare le quotazioni del titolo».
Un'arma in più, in questa Grande Guerra di Trieste ormai prossima all'epilogo.
m.gianninirepubblica.it
 

nagual

mondo patafisico
Un terremoto i sordina. Ora mi aspetto lo tsunami.

Qui direi che si sono mossi i veri e forse unici poteri forti ma sembra che non sia successo niente.
 

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