Diciamocelo: meglio la mano in tasca che le dita intrecciate della vecchia Dc. Meglio in tasca che dietro la schiena. Ma che valore aveva il gesto con cui Matteo Renzi, oltre a sbadigli vari e parlata a braccio, ha tramortito l'etichetta di Palazzo nel suo primo intervento al Senato? Per Quirino Conti, snobissimo esteta e architetto, non è affatto insicurezza, come hanno detto in tanti, ma la posa tipica del bulletto fiorentino immortalato da Ottone Rosai e Aldo Palazzeschi: non un violento di modi, ma aggressivo nella comunicazione.
Quirino Conti «Un gesto prevaricatore, provocatorio e intimidatorio, per darsi forza e comunicarla agli altri. Un gesto in cui l'interlocutore popolo si riconosce, e non a caso Renzi parlava direttamente alle telecamere. Per dire ai senatori: "Sono forte, vi liquido". Perché la rottamazione si fa con la mano in tasca».
Certo: dove mettere le mani, per i potenti, è sempre stato un grande problema.
Nell'aristocrazia le mani avevano un proprio cerimoniale: si sapeva sempre dove metterle. Anche nella ritrattistica tardo Ottocento erano sempre appoggiate a una sedia o aggrappate al revers della giacca. Per la borghesia è invece ancora oggi una questione complicata. Basti pensare a Giulio Andreotti, che non sapendo cosa fare delle mani girava compulsivamente la fede; al cardinal Gianfranco Ravasi, che come molti ecclesiastici tormenta anello e crocifisso; a Giorgio Armani, che risolve la questione appoggiando una mano al viso.
Ma le mani in tasca quando «nascono»?
Il primo sfoggio arriva con la Rivoluzione francese e il contrasto tra culottes e sans-culottes. Il primo era il costume dell'aristocrazia. Il pantalone sotto il ginocchio non aveva tasche perché i nobili, non svolgendo alcun mestiere, non avevano bisogno di portare nulla con sé. Un indumento elegante e non funzionale.
Quirino Conti Quindi sono un simbolo rivoluzionario?
Con la rivoluzione, le mani in tasca diventano il simbolo dei sanculotti. Che si fregiavano di indossare i pantaloni con le tasche perché «plebei», in uso al popolo. Ma ancora per tutto l'Ottocento la mano in tasca è considerata mano nascosta, pericolosa, prossima magari ad afferrare un coltellaccio.
Viene sdoganata solo alla vigilia del Novecento, quando la rivoluzione industriale dà nuova disinvoltura al comportamento maschile. Basta guardare le foto di Nadar (pseudonimo di Gaspard Felix Tournachon, fotografo francese dell'800, ndr) sul socialismo aristocratico dei circoli post-rivoluzionari francesi, dove si portano le mani in tasca come gesto democratico.
E in Italia, nello stesso periodo?
Nei collegi gesuiti l'uso delle mani in tasca era proibito. Ai ragazzi si diceva che fosse ineducato e da sfaccendati, ma la vera ragione era impedire l'autoerotismo. Allo stesso formalismo fu educato quel disastro di Gianni Agnelli, il primo italiano contemporaneo di rango a portare la mano in tasca.
Pippo Baudo Carla Fendi e Quirino Conti Uno degli uomini meno eleganti della Terra, che però, nella volgarità generale dove il massimo dello chic erano Mariano Rumor e Amintore Fanfani, svettava come arbiter. A