La nostra religione
(con un dogma tra i più medievali e puerili, è vero, ma
che mi piace non discutere), soddisfa questa nostra
illusione promettendoci la
resurrezione della carne
.Come i buddisti sono lontani da noi! Prima di nascere,
prima di morire si sono già detto addio. Si sono
rassegnati serenamente, dai tempi dell’origine ariana, a
questa disperata certezza:
Nulla è; tutto diviene.
L’io ed il non io sono il frutto d’una mera illusione terrestre.
Perchè se così non fosse sarebbe mostruosa, rivoltante
la calma di questa giovane madre che compone tra le
braccia del fanciullo il piccolo elefante d’ebano, il
mulino minuscolo, un rotolo di carte: preghiere forse, o
forse quaderni di scolaretto diligente! e tutto questo fa
senza una lacrima, senza che una fibra del suo volto
abbia un sussulto! Certo costei è una bramina compiuta,
migliore assai di quell’altra madre, quella Marayana
citata nei sacri testi che si strappava le chiome, ululando
sul cadavere del suo unico figlio. E i yogi – si racconta
– cercavano invano di richiamarla alla verità, di
strapparla al demone dell’illusione. E tanto era lo strazio
della donna che, per il potere d’un fachiro, l’anima
ritorna al cadavere già disteso sul rogo. E la madre si
getta sul resuscitato, folle di gioia. Ma il principe
giovinetto s’alza sulla catasta, respinge la donna con un
gemito, si guarda intorno sbigottito, dice:
Chi mi
chiama? Chi mi strazia? Dove sono? Chi ha spezzato in
me l’armonia della Ruota? In quale delle innumerevoli
apparenze del mio passato mi ebbi per madre questa
forsennata? Portatela dall’esorcista! Mara, il tentatore,
ulula in lei!
Così parlato il giovine ricade resupino e
l’anima s’invola nell’ineffabile. La madre, la marayana
Kritagma, fu quella che andò penitente fino ad
Anuradhapura, nel centro di Ceylon, la Roma buddista,
ed ebbe la grazia somma d’essere illuminata da Gotamo
in persona, come racconta il poeta Kalidasa...