Durante quasi tutta la storia moderna i due terzi della ricchezza prodotta è servita per pagare i salari mentre il terzo rimanente è andato in dividendi, affitti e altri redditi da capitale». Ma dal 2000 - quindi ben prima della crisi prodotta dal crollo di Wall Street del 2008 - le cose sono cambiate: «La quota del lavoro ha cominciato a calare stabilmente fino ad arrivare al 60 per cento, mentre i redditi da capitale sono cresciuti».
La causa, secondo Smith, va ricercata nella tecnologia: «In passato il progresso tecnico ha sempre aumentato le capacità dell'essere umano: un operaio con una motosega è più produttivo di uno che lavora con una sega a mano. Ma quell'era è passata. La nuova rivoluzione, quella dei computer e delle tecnologie digitali, riguarda le funzioni cognitive, non l'estensione delle capacità fisiche. E una volta che le capacità cognitive dell'uomo sono sostituite da una macchina, diventiamo obsoleti come i cavalli» nell'era del motore a vapore.
IL CENTRO DI SCIENZA E TECNOLOGIA DI GUIZHOU Ancora più interessante, forse, l'analisi di un altro docente del Mit di Boston, David Autor, dai cui studi emerge che i computer, capaci di sostituire anche lavoratori con mansioni piuttosto complesse, ma con una elevata componente di routine , lasciano all'uomo i mestieri non routinari che sono essenzialmente di due tipi: «In alto ci sono i lavori astratti, quelli che richiedono intuito, creatività, capacità di persuadere e risolvere problemi. Sono i lavori di manager, scienziati, medici, ingegneri, designer.
Dall'altro lato troviamo i lavori manuali che richiedono interazioni, capacità di adattamento e osservazione, saper riconoscere un linguaggio: preparare un pasto, guidare un camion in città, pulire una stanza d'albergo. Questi lavori non vengono sostituiti dai computer, ma non richiedendo grosse competenze professionali, in genere sono pagati poco. Meno di molti mestieri spariti con l'automazione.
Un processo tutt'altro che esaurito con i robot al lavoro nelle fabbriche di tutto il mondo che ormai si contano in milioni. Un recente e dettagliatissimo studio della Oxford University che ha esaminato in profondità, uno per uno, 72 settori produttivi, giunge alla conclusione che quasi la metà dei lavori ancora svolti dall'uomo (il 47 per cento, per la precisione) verrà prima o poi sostituito dalle macchine.
Più ottimista di Gordon, che teme un futuro di disoccupazione di massa, Autor pensa che il mercato del lavoro si allargherà comunque a nuove attività che oggi non immaginiamo: la computerizzazione della società potrebbe anche non ridurre il numero complessivo dei posti di lavoro, ma ne degraderà la qualità (e quindi il reddito). Le sue conclusioni, alla fine, non sono molto diverse da quelle di Cowen: crescente polarizzazione dei salari, divaricazione abissale tra le classi sociali.
Come evitare questa trappola? Dovrebbe essere questa la sfida alla quale i politici dedicano la maggiore attenzione. Invece, scrive sul «New York Times», Stephen King (il capo economista del gigante bancario Hsbc, non lo scrittore, anche se le sue analisi, ironizza qualche suo collega, sono da romanzi horror), «i governi si limitano a pregare perché arrivi una forte ripresa: preferiscono optare per l'illusione perché la realtà è troppo cupa».
Per adesso a «sporcarsi le mani» col tentativo di individuare soluzioni sono soprattutto gli economisti. Con risultati non entusiasmanti. Quelli di idee progressiste non credono che un aumento delle disparità sia alla lunga sostenibile e temono per la tenuta delle democrazie, a differenza di Cowen che prevede un adattamento all'ineluttabile in un mondo che non si ribellerà e, anzi, sarà sempre più conservatore (come conservatori sono, già oggi, gli Stati Usa più poveri, non i più ricchi).
Noah Smith vuole stimolare la moltiplicazione delle piccole aziende per rendere il maggior numero possibile di lavoratori imprenditori di se stessi e immagina un meccanismo di compensazione del trasferimento di ricchezza dalla manodopera alle imprese: un portafoglio di azioni di società quotate da consegnare a ogni cittadino al compimento del diciottesimo anno. Una sorta di polizza assicurativa per proteggere l'individuo dall'impatto dei robot sul mercato del lavoro.
moretti geografia lavoro Autor pensa, invece, ad uno sforzo per estendere il raggio dei mestieri che richiedono intuito e discrete capacità professionali - dall'infermiera capace anche di aggiornare la terapia di un diabetico agli idraulici e gli elettricisti capaci di ridisegnare una rete - in modo da ricreare uno spazio intermedio per un ceto di quelli che chiama i «nuovi artigiani».
Altri, come il tecnologo-visionario Jaron Lanier, pensano a una redistribuzione della ricchezza prodotta dalla civiltà di Big Data : i grandi gruppi dell'economia digitale, che mettono da parte ricchezze immense grazie alla loro capacità di accumulare e analizzare un volume enorme di informazioni, dovrebbero effettuare micropagamenti con meccanismi automatici a tutti noi quando utilizzano i dati che immettiamo in Rete.
Tutte idee intelligenti, che cercano di immaginare un riequilibrio basato, per quanto possibile, su meccanismi di mercato, ma che difficilmente possono essere risolutive. La sfida della politica è proprio questa: in fondo, quando mezzo secolo fa si immaginava un mondo nel quale avremmo lavorato poche ore alla settimana, si dava per scontato che le macchine avrebbero sostituito l'uomo, ma si pensava anche che dei frutti della loro maggior produttività avrebbero beneficiato più o meno tutti.
All'inizio del XXI secolo il problema è ancora quello: favorire una redistribuzione almeno parziale senza ricadere nel dirigismo e negli eccessi di statalismo le cui ustioni sono ben visibili sulla pelle delle società occidentali, specie quella italiana.