News, Dati, Eventi finanziari amico caro, te lo dico da amico, fatti li.... qui e' tutta malvivenza

posted by Maurizio Gustinicchi
OMNIBUS LA7: GLI ECONOMISTI EMILIANO E GIACALONE SE LA RIDONO MENTRE BORGHI ILLUSTRA IL PIANO DELLA LEGA


Uno spettacolo davvero indegno, di un paese che ha fatto della cultura e del sapere le armi del proprio progresso, è quello che è andato in onda su La7 il 7 agosto scorso (ovvero ieri mattina).
Mentre il bravissimo e onesto Claudio Borghi Aquilini (responsabile economico della Lega) stava spiegando la sua ricetta di mercato per risollevare l’Italia, prima, ed il sud, poi, ho avuto modo di assistere al sorriso ironico di Emiliano (PD), neanche fosse un esperto economista, e alle feroci risposte del siciliano Giacalone (noto e bravo giornalista ma di sicuro assolutamente privo di elementari nozioni di economia).
La prima uscita spettacolare è di Michele Emiliano il quale afferma, a ragione, più o meno questo:
“i numeri del mezzogiorno fanno paura e senza far uscire da questa palude il sud del paese la ripresa per l’Italia non ci può essere”
Il che rappresenta una verità, palesemente segnalata anche dallo Svimez nel suo ultimo rapporto. Ovviamente, Michele Emiliano tira la volata al suo premier che proprio giovedì (ribadito ieri durante il congresso del PD) ha annunciato un piano da 100 miliardi di euro per il sud.
A quel punto, Borghi interviene segnalando un pezzo giornalistico del 13 gennaio 2007 in cui si riporta una frase di Prodi (pronunciata sorridendo col suo noto simpatico faccione):
“In arrivo 100 miliardi per il sud dall’europa”
e poi commenta (Borghi):
“siamo al fantasma formaggino, quando non si sa più che fare si tirano fuori i soldi dell’Europa; questo sistema non funziona a causa dell’arretratezza del meridione (che deve esser fatto sviluppare), non si risolve solamente con i trasferimenti fra regioni, perlomeno in un sistema a pareggio di bilancio”
Ma ecco arrivare, in soccorso dell’amico Piddino Emiliano, il bravo giornalista siciliano Davide Giacalone:
“il sud ha la problematica della spesa pubblica improduttiva, assistenziale, il fine ultimo è avere un posto e uno stipendio, non produrre ricchezza, fatevelo dire da me che sono siciliano, non si può abbandonare il sud ma non serve neanche la spesa pubblica improduttiva che disincentiva la ricerca di occasioni che producano PIL buono per il paese; dobbiamo liberare il sud dalla spesa pubblica”
Riprende la parola Borghi che sui trasferimenti tra regioni cita il caso del Veneto e della Puglia, i cui valori sono più o meno simili ma diametralmente opposti, per dire:
“dobbiamo fare in modo che le aziende investano a Bari, che sia per loro equivalente investire a Piacenza o a Treviso o anche più conveniente, in questo modo risolviamo il problema della coesione territoriale che oggi comporta questa situazione:

A quel punto tutti chiedono:
“e ma…. come si fa?”
E Borghi risponde:
“Non possiamo farlo tramite la detassazione poiché avremmo meno introiti per lo stato, quindi prevediamo 2 fasi:
1° – liberarsi dell’euroschiavitù ritornando alla lira in un paese unito e che consenta alle fabbriche, per ora al nord, di rilanciarsi;
2° – determinare le condizioni perché le fabbriche si spostino anche al sud riequilibrando la produzione di ricchezza, ricorrendo in unico stato a due monete che esprimano la produttività del territorio;
quindi, prima si spezzano le catene dell’Euro, poi si ricorre a due monete in base alle caratteristiche del territorio!”
A questo punto escono fuori i comportamenti inadeguati ed inopportuni dei due superesperti di economia Giacalone ed Emiliano, per nulla ripresi dalla conduttrice, che non ne esce affatto bene a livello professionale:
GIACALONE: “Borghi, la Germania è stata riunificata consentendo alla Germania Est di avere il cambo 1 a 1 e lei vuol realizzare nell’Italia due monete?”

EMILIANO: “Borghi, torniamo sulla terra per piacere”
BORGHI: “Giacalone, non fu riunificazione, fu Anchluss (annessione)!”
GIACALONE: “Non fu annessione ma riunificazione”
EMILIANO: “Questo rimarrà un pezzo storico nella storia della televisione italiana”

BORGHI: “Certo che rimarrà tale”.
Si prega notare il sorriso dei due superesperti di macroeconomia mentre Claudio, un vero signore e persino troppo galantuomo, riesce a non perdere la calma davanti alla prepotenza e superficialità dei loro comportamenti.
Per niente intenzionati a comprendere le motivazioni macroeconomiche (essenzialmente legate alla produttività) alla base del piano esposto, i due superfenomeni del piccolo schermo si lasciano andare ad un irriverente comportamento che sarebbe stato giusto condannare da parte del conduttore ma perché questo potesse avvenire, bisognerebbe che a condurre questo tipo di trasmissioni venisse impiegato un individuo libero dal peso dei proprietari e , soprattutto, competente in macroeconomia. Capirete che la cosa che non è affatto facile!
Dovresti esser in grado di capire il concetto del CLUP:

e di saper leggere i grafici che ne illustrano l’andamento:
EURO = OCA

LIRA = OCA

Ma torniamo ai due supereconomisti ospiti di Omnibus. Mentre Emiliano sappiamo di che pasta è fatto e da dove proviene, cerchiamo di capire la psicologia del bravo Giacalone, siciliano anti spesa pubblica, riconvertito all’ortodossia ordoliberista. Facciamo questa analisi ricorrendo ai tweet che i soliti amici ci forniscono in abbondanza.

Negazionista degli effetti nefasti sull’economia dell’ex DDR da parte della Germania Ovest (e di una Germania zona di disoccupati). Mentre noi sappiamo benissimo che sono considerati occupati anche coloro che guadagnano 430 euro al mese (minijobs) e 800 euro/mese (midijobs).

Negazionista persino dei nefasti effetti della riforma Hartz IV !

Negazionista persino delle restrizioni imposte dalle classi dominanti ai giornalisti che scrivono denunciando il governo per le loro atrocità verso i cittadini comuni.

Negazionista dell’Anschluss e, anzi, follower del popolo germanico intero quale massima espressione di bene economico e addirittura trionfo della libertà!
Meno male che al mondo esistono persone più realiste del Re capaci di riportare su questo pianeta i FOGNATORI:

E’ vero che la disoccupazione tedesca, anche se con l’aiuto di piccole astuzie quali i minijobs, è più bassa di quella Italiana o Spagnola, ma è anche vero che il costo della bassa disoccupazione tedesca è proprio pagato dalla periferia:

quindi, oltre all’Anschluss, il buon Giacalone dovrebbe prima studiarsi il ciclo di Frenkel e, soprattutto, le nuove espressioni del colonialismo ottocentesco!
La storia è buona consigliera!

Maurizio Gustinicchi



 
I GRANDI BARI: I CINQUE TRUCCHI CON CUI LA GERMANIA FA TORNARE I CONTI

Scritto il agosto 7, 2015 by movimentobaseitalia
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Banche pubbliche, debiti dei Comuni, rispetto delle regole: sono i più bravi o solo i più furbi e noi più scemi?
Non è stato un giorno qualunque, lo scorso 2 luglio: mentre il premier Italiano Matteo Renzi presentava le linee programmatiche del semestre italiano di Presidenza Ue al Parlamento europeo, trovandosi a dover rispondere alle critiche del capogruppo del Ppe Manfred Weber sui conti pubblici dell’Italia e sulla sua inopportuna richiesta di maggior flessibilità sulla linea del rigore, in Germania il consiglio dei Ministri approvava il piano del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble per raggiungere il pareggio di bilancio federale nel 2015. Uno smacco, questo, che si somma al già consistente complesso d’inferiorità dell’Italia nei confronti dei tedeschi: più rigorosi, più efficienti, più competitivi, più onesti. In ultima analisi, molto più bravi e meritevoli di noi.
Domanda innocente: è davvero così? Sì e no. O meglio: che i tedeschi sappiano badare ai loro interessi meglio di noi è fuori discussione; che non sprechino denaro pubblico in mille inutili rivoli, pure; che abbiano imprese che trainano l’economia meglio di una nave rimorchio, anche. Tuttavia, è vero che la differenza tra i nostri e i loro risultati è anche l’effetto di alcuni trucchetti – se così si possono chiamare – che ampliano il divario tra i nostri e i loro bilanci e, soprattutto, tra la nostra e la loro economia, ben oltre i reali valori e meriti. Beninteso, (quasi) tutto perfettamente legale e ben noto nella cerchia degli addetti ai lavori. Forse, fuori da quella cerchia, non abbastanza. Per questo vale la pena di provare a spiegarle per bene, di nuovo.
IL PRIMO TRUCCO: LA SOTTILE DIFFERENZA TRA CDP E KFW
In Italia c’è la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), in Germania la Kreditanstalt für Wiederaufbau, la Banca per la ricostruzione (post-bellica), per gli amici Kfw. Entrambe sono di proprietà pubblica: la Cdp è all’80,1% del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il 18,5% delle fondazioni bancarie e per l’1,5% di azioni proprie. La Kfw è al 80% di proprietà del governo federale e al 20% dei diversi lander (l’equivalente delle nostre regioni, ndr) in cui è suddiviso il territorio tedesco. Entrambe, per finanziarsi, emettono dei titoli. La Cdp sottoforma di obbligazioni, la stragrande maggioranza delle quali coperte da garanzia statale. La Kfw, pure, emettendo titoli a tassi bassissimi grazie al doppio filo che la lega al governo tedesco e ai suoi affidabilissimi Bund.
La Kfw è pubblica ma i suoi debiti, per la contabilità tedesca, non sono debito pubblico
La Cdp raccoglie ogni anni circa 320 miliardi di euro, la Kfw circa 500 e li reinveste concedendo prestiti a tassi irrisori alle piccole e medie imprese e controllando ingenti quote del capitale di colossi come Deutsche Post e Deutsche Telekom. C’è solo una piccola differenza: i 300 miliardi di debito contratto dalla Cdp coperto da garanzia statale entra nel conteggio del debito pubblico italiano. I 500 miliardi di euro della Kfw invece no. Il motivo è una regola contabile dello Stato tedesco che esclude dal debito pubblico le società pubbliche che si finanziano con pubbliche garanzie ma che coprono la metà dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, tasse e contributi. Regola alquanto discutibile: la proprietà di Kfw è pubblica, la sua vigilanza non è deputata alla Bundesbank (la banca centrale tedesca, ndr), ma al ministero delle Finanze, i suoi tassi sono diretta conseguenza di quelli dei Bund e se avesse problemi sarebbe lo Stato a intervenire. Facciamo i conti della serva: 500 miliardi di euro sono pari a circa un quarto dei 2080 miliardi complessivi del debito pubblico tedesco. Se li sommassimo otterremmo un debito pubblico tedesco che dal 78,4% arriverebbe a lambire il 97% del Pil. Comunque lontano, ma un po’ più vicino al nostro 132,6 per cento.
IL SECONDO TRUCCO: PAREGGIO DI BILANCIO A TRE VELOCITÀ
In Italia, è cosa nota, dovremo rispettare il principio del pareggio di bilancio a partire dal 2015. Il ministro Padoan ci ha provato a chiedere una proroga al 2016, ma è stato seppellito dalle pernacchie. Tedesche, in primis. Strano: perché in Germania invece questo obbligo ha due velocità . Anzi, a dire il vero, tre. Già , perché la Germania è uno Stato federale, formato da sedici lander. Ognuno dei quali con la propria contabilità , il proprio bilancio, la propria capacità di raccolta fiscale e piena facoltà di indebitarsi. Già , perché anche i lander, nel loro piccolo s’indebitano. Oddio, “piccoloâ€: degli oltre duemila miliardi di debito tedesco, più di 600 sono da imputare a lander ed enti locali.
Per i Comuni tedeschi, il pareggio di bilancio non è obbligo di legge
Prima differenza non da poco: se lo Stato tedesco dovrà obbligatoriamente raggiungere il pareggio di bilancio nel 2016, i lander potranno prendersela comoda, avendo tempo fino al 2020. Non solo, dicevamo: perché nulla si dice, in Germania, di cosa dovranno fare gli enti locali, il cui debito è pari circa al 6% del totale. Per loro, a quanto pare, il pareggio di bilancio non è obbligo di legge e molti di loro sono sovraindebitati: il record è di Oberhausen, nella Ruhr, il cui debito comunale è pari a 6.900 euro per abitante. Situazione, ne converrete, «leggermente» diversa rispetto a quella dei nostri Comuni, letteralmente strozzati dal patto di stabilità interno, strumento che impone a tutte le articolazioni locali dello Stato di partecipare agli obblighi di finanza pubblica che ci chiede l’Europa. Ah, dimenticavo: indovinate chi è uno dei principali creditori degli enti locali tedeschi? Esatto, la Kfw.
IL TERZO TRUCCO: LO STATO NELLE BANCHE
Al netto della Cdp, in Italia tutte le banche sono in mano a investitori privati. In Germania invece il 45% del sistema bancario è in mano al settore pubblico. Il caso più famoso è quello della Commerzbank, una delle principali banche tedesche, nel quale lo Stato partecipa con una quota del 17%, ma vi sono molte altre realtà del credito con una forte presenza del pubblico nella compagine azionaria. Prime fra tutte le Landersbanken, le banche regionali tedesche. Sono sei, sono tutte pubbliche, sono gestite con criteri politici e, soprattutto, non sono esattamente dei nani della finanza: LbBerlin, la più piccola, ha attività per 130 miliardi di euro; la più grande, la Lbbw, 337 miliardi – una volta e mezzo il Monte dei Paschi di Siena, tanto per essere chiari, ed è la quarta banca del Paese. Da qualche anno si parla della crisi delle Landesbanken e dei 637 miliardi di attività deteriorate che hanno in pancia, soprattutto a causa del fatto che nel 2008, quando scoppiò la crisi finanziaria, erano imbottite di mutui subprime.
In Germania, quasi la metà del sistema bancario è in mano al pubblico
L’effetto complessivo, al netto della crisi di queste banche regionali, è quello di un sistema del credito che gioca in stretta sinergia con gli obiettivi di finanza pubblica del governo centrale. Facciamo un esempio: poniamo che la Germania voglia esercitare una forte pressione competitiva su un Paese concorrente e sulle sue imprese. Per farlo, potrebbe decidere di vendere in blocco tutti i titoli di stato di quel paese detenuti dalle banche di cui è azionista. I tassi d’interesse dei titoli di stato di quel Paese, come conseguenza, si alzerebbero immediatamente, e le imprese di quel Paese si troverebbero a dover pagare il denaro molto più caro, ammesso e non concesso che riescano ad accedere al credito. In un contesto continentale in cui anche una pacca sulla spalla rischia di essere sanzionata come aiuto di stato appare strano che nessuno mai si sia accorto di tale, piuttosto evidente, anomalia.
IL QUARTO TRUCCO: LA BUNDESBANK «RACCATTA-TITOLI»
Il Sole 24 Ore dice che «ormai si può parlare di prassi»: nella seconda metà di maggio, un paio di mesi fa, quindi, la Bundesbank ha ripetuto per ben due volte quello che possiamo senza timore di smentite definire come il quarto trucchetto tedesco: in parole povere, se c’è un’asta di Bund e parte dei titoli non viene comprata sul mercato primario – quello in cui ogni Stato colloca in prima battuta i propri titoli di debito, con accesso riservato a grandi fondi e banche internazionali – la banca centrale tedesca se li compra (o, meglio, li «congela») e li ricolloca successivamente sul mercato secondario. In questo modo, evita che i tassi si alzino e che i Bund perdano valore. So cosa vi state chiedendo: perché noi non lo facciamo? Semplice, perché non si può fare. L’articolo 101 del Trattato di Maastrich vieta l’acquisto sul mercato primario di titoli di Stato da parte delle banche centrali.
La Germania lo fa, noi no. Perché? Perché non si può fare
Testuale: «È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Bce o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate «banche centrali nazionali»), a istituzioni o organi della Comunità , alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Bce o delle banche centrali nazionali». Ripetete con me: gli italiani rispettano le regole, i tedeschi no. Fa uno strano effetto, vero?
IL QUINTO TRUCCO: POTERE, POTERE, POTERE
Un ultimo esempio: nel 2011 l’Unione europea ha approvato il «six pack», sei direttive, per l’appunto, volte ad armonizzare gli squilibri tra i diversi Stati membri. Quattro di queste sei direttive hanno come oggetto le politiche fiscali e sono le famose cose «che ci chiede l’Europa», come ad esempio la riduzione del deficit. Le altre due direttive, invece, riguardano gli squilibri macroeconomici. Uno dei quali le differenze nei saldi commerciali dei Paesi. Non sto a farla lunga, che non è questa la sede: vi basti sapere che alcuni Paesi importano più di quanto esportano (ad esempio, la Grecia) e altri invece sono esportatori netti che realizzano ogni anno surplus commerciali piuttosto ingenti (ad esempio, la Germania). E che tutto questo, se avviene nel contesto del mercato unico europeo, aumenta gli squilibri marcoeconomici tra i due Paesi e mettere a rischio la tenuta complessiva del sistema.
Loro saranno pure più furbi che bravi, quindi, ma noi ce li meritiamo, i tedeschi.
La regola, quindi: nessun Paese europeo può avere un «rosso» commerciale di più del 3% e un surplus di più del 6%. Indovinate quale Paese ha violato questa regola, negli ultimi cinque anni. No, non è la Grecia, e nemmeno l’Italia. È lo stesso Paese che finanzia le piccole imprese con denaro pubblico raccolto da una banca pubblica che tuttavia non è debito pubblico. È lo stesso Paese che impone il pareggio di bilancio senza se e senza ma agli altri Paesi europei, ma non ai suoi comuni. È lo stesso Paese che punta il dito sugli aiuti di Stato altrui, ma possiede quasi la metà del proprio sistema bancario. È lo stesso Paese che viola apertamente l’articolo 101 del trattato di Maastricht. Tutti gli altri, invece, sono i Paesi che non dicono nulla e che non hanno nemmeno la forza di chiedere e strappare in sede Ue regole contabili comuni, una vera unione bancaria, anche solo banalmente il rispetto delle regole. Loro saranno pure più furbi che bravi, quindi, ma noi ce li meritiamo, i tedeschi.
Francesco Cancellato
 
agosto 9, 2015 posted by Fabio Lugano
IN ITALIA VIGE LA DITTATURA FISCALE! IL PD E RENZI CONFERISCONO PIENI POTERI AD EQUITALIA. OSSERVAZIONI SUL CRIMINE €UROCRATICO (di Giuseppe PALMA)



Dopo l’introduzione del Redditometro, dello Spesometro, dell’anagrafe tributaria e del rigido divieto al libero utilizzo del denaro contante oltre i 999 euro, ecco che arriva – dopo la sconvolgente novità che le partite IVA dovranno giustificare tutti i prelievi al bancomat – un ulteriore regalino ad Equitalia che potrà liberamente massacrare i contribuenti senza nemmeno un minimo di rispetto delle più elementari regole dello Stato di diritto!
Pochi giorni fa la Commissione Finanze del Senato ha approvato a maggioranza (PD e alleati) un parere col quale invita l’Esecutivo (quindi PD, NCD e SC) ad adottare misure idonee a rimuovere ogni ostacolo all’esecuzione esattoriale, spianando definitivamente la strada ad Equitalia per l’incontrastato e diretto ingresso in banca senza previe autorizzazioni e senza alcun intermediario, al fine di ottenere informazioni e procedere direttamente all’esecuzione forzata su conti correnti, conti titoli e beni patrimoniali di cittadini e imprese.
In pratica lo Stato di Diritto lascia il posto ad uno Stato di Polizia Tributaria!
Dopo Monti, dissero Fini e Casini, può esserci solo Monti! E così è stato! Matteo Renzi è l’erede naturale di Monti e della strategia esecutiva del crimine €urocratico!
La Costituzione è stata violentata e con essa i principi dello Stato di diritto: gli stupratori sono il Partito Democratico, il Nuovo Centro Destra (che con l’UDC forma Area Popolare) e Scelta Civica! E Matteo Renzi altro non è che un servitore di Bruxelles e Francoforte… e chissenefrega del popolo italiano e dei suoi problemi! Muoia il popolo e muoiano le imprese; ciò che conta per questi ..........è salvare l’€uro, quindi il capitale internazionale! E poco importa se per completare il crimine è necessario uccidere il lavoro, i diritti inalienabili e la democrazia!
Italiani, state attenti: la libertà non la si toglie mai tutta d’un colpo, darebbe troppo nell’occhio e susciterebbe incontrollabili proteste legittime. L’apparato UE-€uro, con la necessaria complicità dei Governi nazionali collaborazionisti (in Italia Monti, Letta e Renzi), sta – attraverso una impressionante serie di atti ripetuti nel tempo – esautorando sia lo Stato di diritto che le libertà individuali sancite dalla Costituzione, la quale – oramai – è lettera morta!
E guai a parlarne in TV e sui giornaloni nazionali: non è un caso che il nuovo Presidente del CDA Rai sia Monica Maggioni, invitata all’annuale appuntamento segreto del Gruppo Bilderberg! In Italia la sovranità non appartiene più al popolo bensì al Bilderberg! Ma tutto deve essere messo a tacere! Tutto deve seguire una linea comune senza alcuna libertà di critica: UE ed €uro rappresentano il bene e devono sopravvivere a tutti i costi, anche a scapito di democrazia e diritti… e il popolo non deve capire nulla! Il “manovratore universale” deve portare a termine l’obiettivo della nuova schiavizzazione mondiale!
Mussolini, Hitler e Stalin erano tre principianti a confronto di questi ....... contemporanei… I dittatori del passato erano facilmente individuabili e quindi potevano essere sconfitti! I dittatori di oggi non solo non sono facilmente riconoscibili, ma addirittura sono soliti mutare abiti e immischiarsi col popolo! Tuttavia, il crimine contemporaneo è ben peggiore dei crimini commessi in Europa nella prima metà del Secolo scorso: la differenza è che i morti da bombardamento e da mitragliatrice fanno clamore e suscitano forte indignazione generale, mentre i morti da crisi economica e da disoccupazione non solo non suscitano alcun clamore ma sono più velocemente assorbibili dall’indignazione popolare!
Capito adesso perchè i popoli europei non sono ancora scesi in piazza a cacciare via i tiranni?
Questa è l’Italia del restauratore Renzi e del suo Partito Democratico!
Questa è l’Italia calpestata da Bruxelles e Francoforte!
Tutto questo è il frutto dell’Europa dell’€uro!
Giuseppe PALMA
 
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2:51:18
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L'europa alla resa dei conti - Borghi, Bagnai, Savona, Guarino, Rinaldi - Durata: 2:51:18.

di Marco Sala
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1 anno fa
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Se l'italia uscisse dall'euro? Un disastro per la germania, non sarebbe più competitiva. -:rolleyes: :D:D:D:D:D:D:D:D:DDurata: 0:32.
ditelo ai piddini:D:D:Dche hanno sfrantumato il *****, a pelare patate in mensa ufficiali:D
 
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:rolleyes::rolleyes::rolleyes::rolleyes::rolleyes::rolleyes::rolleyes::rolleyes:La ricerca russa sulla società Vanguard, il controllore segreto della gran parte della struttura di potere aziendale occidentale.
Quattro aziende sono presenti in tutti i casi riportati qui sotto e in tutte le decisioni: Vanguard, Fidelity, BlackRock e State Street. Tutte loro “si appartengono reciprocamente”, ma se si controlla attentamente il bilancio delle azioni, si scopre che in realtà tutte queste società sono controllate dalla Vanguard. Quindi tutti questi partner o “concorrenti” di Fidelity, BlackRock e State Street appartengono al Vanguard Group.
Per favore guardate le più grandi aziende, di diversi settori, controllate dalle “Big Four” e, con un controllo più accurato, il controllo esercitato dalla Vanguard:
Alcoa Inc.
leader mondiale nella tecnologia, ingegneria e produzione dei metalli leggeri.

Altria Group Inc.
(precedentemente Philip Morris Companies Inc.), uno dei più grandi gruppi del mondo in settori quali gli alimenti, il tabacco e le bibite.

American International Group Inc. (AIG)
la principale organizzazione internazionale di Assicurazioni con clienti in oltre 100 nazioni.

AT&T Inc. (American Telephone and Telegraph Incorporated)
multinazionale americana specializzata in telecomunicazioni e telefonia. La sua rete copre 127 nazioni nel mondo (ha sviluppato progetti come i transistor, i MOSFET, i sensori CCD delle videocamere, fotocamere, fax e scanner, il linguaggio di programmazione C e C++, il sistema operativo UNIX, WaveLAN la prima rete wireless, etc.).

Boeing Co.
multinazionale americana che progetta, produce e vende aerei, elicotteri, razzi e satelliti. É la più grande azienda nel settore aerospaziale, il secondo più grosso contraente militare ed il primo produttore mondiale di aerei civili.

Caterpillar Inc. (CAT)
progetta, produce, commercializza e vende macchine, motori, prodotti finanziari e assicurativi per i clienti attraverso una rete mondiale di concessionari. Produttore leader mondiale di equipaggiamenti ed estrazione mineraria, motori diesel ed a gas naturale, turbine industriali a gas e locomotive diesel-elettriche.

Coca-Cola Co.
multinazionale americana produttrice, rivenditrice e distributrice di bevande analcoliche, concentrati e sciroppi.

DuPont & Co.
la quarta più grande azienda chimica del mondo presente in oltre 70 paesi. Produce una vasta gamma di prodotti e servizi per agricoltura e alimentazione, arredamento e costruzioni, elettronica e comunicazioni, sicurezza e protezione, trasporti. Oltre alla produzione di polvere da sparo è titolare di numerosissimi marchi e brevetti di processi chimici e materiali tra cui: Antron, Biomax, Butacite, ChromaFlair, Corian, Crastin, Cromalin, Delrin, il Freon (clorofluorocarburi per l’industria dei refrigeranti), Hytrel, Kevlar, Lycra, fibra M5, Mylar, Nafion, Neoprene, Nomex, Nylon, SentryGlas, Solae, Sorona, Surlyn, Teflon, Tyvek, Vespel, Zemdrain, Zodiaq e Zytel.

Exxon Mobil Corp.
di proprietà dei Rockfeller, è la seconda più grande super-multinazionale del mondo quotata in borsa (la prima è la Shell, olandese) nel settore dell’estrazione di petrolio e gas, produzione di ogni genere di carburanti e lubrificanti sintetici. In Europa opera con il marchio Esso e Mobil.

General Electric Co.
multinazionale americana conglomerata che opera nei settori dell’Acqua, Automazione, Aviazione, Elettricità, Finanza (gestione capitali), Generazione dell’energia, Illuminazione, Intrattenimento, Elettrodomestici, Locomotive, Motori aeronautici, Motori elettrici, Petrolio e Gas, Plastica, Software sanitario ed imaging biomedico, Trasporti, Turbine a gas, Turbine eoliche, Tecnologie militari, Reattori Nucleari, Armi Nucleari (fino al 1993).

General Motors Corporation, (GM)
multinazionale americana che progetta, produce, commercializza e distribuisce veicoli e parti di veicoli e vende servizi finanziari. Produce veicoli in 37 paesi con 13 marchi: Alpheon, Chevrolet, Buick, GMC, Cadillac, Holden, HSV, Opel, Vauxhall, Wuling, Baojun, Jie Fang, UzDaewoo.

Hewlett-Packard Co. (HP)
multinazionale americana dell’informatica che progetta, sviluppa e produce hardware, software e servizi per i consumatori, le piccole e medie imprese (PMI), le grandi imprese compresi clienti nei settori del governo, della sanità e dell’istruzione.

Home Depot Inc.
il più grande rivenditore al dettaglio americano di prodotti e servizi per migliorare, costruire e manutenere la casa. Gestisce migliaia di megastore in grandi edifici-magazzino sparsi in tutti gli Stati Uniti, il Canada ed il Messico.

Honeywell International Inc.
multinazionale americana conglomerata che produce una varietà di prodotti commerciali e di consumo, servizi di ingegneria e sistemi aerospaziali per una vasta gamma di clienti, dai consumatori privati alle grandi aziende e governi.

Intel Corp.
multinazionale americana produttrice di tecnologia, è una delle maggiori produttrici al mondo di chip semiconduttori, chipset Bluetooth, memorie flash, microprocessori, chipset della scheda madre, schede di interfaccia di rete, telefoni cellulari, unità a stato solido e unità centrali di elaborazione. Ha inventato la serie di microprocessori x86, processori che trovano nella maggior parte dei personal computer.

International Business Machines Corp. (IBM)
multinazionale americana dedita alla ricerca, sviluppo, produzione e commercializzazione di tecnologie hardware e software. Offre infrastrutture, hosting e servizi di consulenza in aree che vanno dal mainframe alla nanotecnologia. Tra le sue invenzioni sono inclusi i bancomat (ATM), il floppy disk, il disco rigido, la carta a banda magnetica, i database relazionali, l’Universal Product Code (UPC), lo scambio finanziario, il linguaggio di programmazione Fortran, il sistema di prenotazioni aeree SABRE, la DRAM, il processo di fabbricazione dei semiconduttori silicio-su-isolante (SOI) e l’intelligenza artificiale Watson.

Johnson & Johnson
multinazionale farmaceutica americana che produce farmaci, apparecchiature mediche e prodotti per la cura personale e l’automedicazione. Comprende circa 230 filiali che operano in 57 diversi stati. I suoi prodotti sono venduti in 175 diversi paesi.

JP Morgan Chase & Co.
multinazionale bancaria americana, una delle principali fornitrici di servizi finanziari. È la più grande banca degli Stati Uniti, con un totale attivo di 2.600 miliardi dollari. É la 3a più grande azienda pubblica del mondo sulla base di una graduatoria composita ed il secondo più grande hedge fund negli Stati Uniti.

McDonald’s Corp.
la più grande catena al mondo di fast food e hamburger, che serve circa 68 milioni di clienti al giorno in 119 paesi con 35.000 punti vendita.

Merck & Co. Inc.
società farmaceutica americana, è la 7a più grande azienda farmaceutica al mondo per capitalizzazione di mercato e delle entrate. Fu fondata nel 1891 come filiale degli Stati Uniti della società tedesca Merck (fondata nel 1668). Pubblica una serie di Manuali per i medici, infermieri e tecnici. Questi includono il Manuale di Diagnosi e Terapia, la più venduta guida medica al mondo.

Microsoft Corp.
multinazionale americana di tecnologia che sviluppa, produce, dà in licenzia, sostiene e vende software per computer, elettronica di consumo e per l’intrattenimento, personal computer e servizi. É il più grande produttore di software al mondo misurato dal fatturato.

3M Co.
precedentemente nota come la Minnesota Mining and Manufacturing Company, è una multinazionale americana presente in più di 65 paesi, tra cui 29 aziende internazionali con operazioni di produzione e 35 imprese con laboratori. Produce più di 55.000 prodotti, tra cui: adesivi, abrasivi, laminati, protezione passiva antincendio, prodotti dentali e ortodontici, materiali elettronici, prodotti medicali, prodotti per la cura dell’auto (pellicole di protezione dal sole, polish, cera, shampoo per lavaggio, trattamenti per la carrozeria, gli interni e la protezione del telaio dalla ruggine), circuiti elettronici e film ottici.

Pfizer Inc.
multinazionale farmaceutica americana tra le maggiori al mondo per ricavi. Sviluppa e produce farmaci e vaccini per una vasta gamma di discipline mediche, tra cui l’immunologia, oncologia, cardiologia, diabetologia/endocrinologia e neurologia. Tra i suoi prodotti Lipitor, Lyrica, Diflucan, Zithromax, Viagra e Celebrex/Celebra.

Procter & Gamble Co. (P&G)
multinazionale americana di beni di consumo, produce alimenti per animali domestici, detergenti e prodotti per la cura personale. Solo l’1% delle persone che affrontano l’iter di selezione riceve successivamente una proposta d’assunzione, tra oltre mezzo milione di richieste l’anno. Lo sviluppo della leadership viene testata direttamente dal primo giorno, con l’assegnazione di incarichi e progetti ai nuovi assunti sui quali hanno piena responsabilità. Oltre il 95% delle nuove assunzioni viene effettuata tra studenti neo-laureati, garantendo uno sviluppo interno all’azienda di figure che hanno ricoperto vari e numerosi incarichi di responsabilità differente.

United Technologies Corp.
multinazionale americana conglomerata con diverse divisioni in diversi settori economici. Ricerca, sviluppa e produce prodotti in numerosi settori, tra cui motori aeronautici, elicotteri, caldaie, condizionatori, celle a combustibile, ascensori e scale mobili, sistemi di sicurezza e sistemi antincendio per le costruzioni e prodotti industriali. É anche un grande contraente militare per la produzione di sistemi missilistici e elicotteri militari, tra cui l’elicottero Black Hawk.

Verizon Communications Inc.
multinazionale americana conglomerata di telecomunicazioni, fornitrice di servizi di telefonia, connessione a banda larga e wirelesse e televisione via internet. É il più grande wireless service provider di comunicazioni degli Stati Uniti a partire dal Settembre 2014.

Wal-Mart Stores Inc.
multinazionale americana di vendita al dettaglio che gestisce una catena di grandi magazzini, discount, ipermercati, supercenter, supermercati, negozi ed eCommerce. Ha più di 11.000 punti vendita in 27 paesi, sotto un totale di 71 insegne. Opera con il nome Walmart negli Stati Uniti e in Canada, come Walmex in Messico, come Asda nel Regno Unito, come Seiyu in Giappone e come Best Price in India.

Time Warner Inc.
multinazionale americana conglomerata operante nei settori del cinema, televisione, editoria, servizi internet e telecomunicazioni. É il 3° più grande network televisivo del mondo in termini di ricavi (dietro The Walt Disney Company e Comcast). Attualmente sviluppa importanti produzioni nel cinema e per la televisione, con una quantità limitata di attività editoriali, libri e fumetti. Tra le sue controllate ci sono New Line Cinema, HBO, Turner Broadcasting System, The CW Television Network, Warner Bros., Kids ‘WB, Cartoon Network, Boomerang, Adult Swim, CNN, la DC Comics, la Warner Bros. Animation, Cartoon Network Studios, Hanna -Barbera e la Castle Rock Entertainment.

The Walt Disney Co.
la più grande multinazionale americana conglomerata del mondo nel campo dei mass media e dello spettacolo, leader assoluta del mercato dell’intrattenimento per l’infanzia, specializzata in cinema, animazione, televisione via cavo, musica, video games, pubblicazioni di libri e fumetti, parchi di divertimento, radio e siti web.

Halliburton Company
multinazionale americana, una delle più grandi del mondo nei servizi all’industria petrolifera con attività in oltre 80 paesi. Possiede centinaia di imprese controllate, collegate, filiali, marchi e divisioni in tutto il mondo. Il settore di attività principale è la Energy Services Group (ESG) che offre prodotti tecnici e servizi per l’esplorazione e la produzione di petrolio e gas naturale.

Viacom Inc.
multinazionale americana di mass media globale con interessi prevalentemente, ma non solo, nel cinema e nella televisione via cavo. Composta da Networks BET, Viacom Media Networks e Paramount Pictures, gestisce circa 170 networks che raggiungono circa 700 milioni di abbonati in 160 paesi.

News Corp. di Rupert Murdoch
una delle prime quattro multinazionali conglomerate dei mass media degli Stati Uniti e del mondo, specializzata in produzione cinematografica e televisiva, reti televisive, televisione satellitare, giornali, riviste, libri, sport e siti web.

CBS Corporation
multinazionale americana di mass media focalizzata sulla radiodiffusione commerciale, l’editoria e produzione televisiva, con la maggior parte delle sue operazioni negli Stati Uniti.

NBC Universal
multinazionale americana conglomerata, è il più grande gruppo di mass media del mondo impegnato nella produzione e commercializzazione di intrattenimento, notizie e di prodotti e servizi di informazione a una base di clienti globale. Possiede e gestisce i network televisivi americane, numerosi canali via cavo e un gruppo di stazioni locali negli Stati Uniti, così come case cinematografiche, diverse società di produzione televisiva e parchi a tema.

e molte altre…
Ad oggi decine di migliaia di miliardi di dollari sono controllati da questi investitori e tutte le principali società globali sono controllate dal gruppo di investitori che possiedono il gruppo di gestione delle risorse della Vanguard: Dick Cheney, i Rothschild, i Bush, i Rockefeller, i Clinton, Donald Rumsfeld e molte altre persone influenti e proprietarie della Federal Reserve. Hanno praticamente monopolizzato la politica estera, la politica della difesa degli Stati Uniti e quasi tutte le grandi aziende della difesa.
La Vanguard Group controlla anche i principali media mondiali. Inoltre, la Vanguard sta lavorando su una serie di figure chiave della CIA, tra cui il suo direttore, John Brennan, omonimo di un presidente della Vanguard.
É importante sapere chi controlla realmente le grandi banche, e inizieremo dagli Stati Uniti.
Al 1° posto. JP Morgan Chase con 2.390 miliardi di dollari di risorse.
Il suo maggiore investitore istituzionale è Vanguard Group, Inc. Tra i primi dieci investitori:
• Vanguard Total Stock Market Index Fund
• Vanguard Institutional Index Fund
• Vanguard 500 Index Fund

Al 2° posto: Bank of America con un patrimonio 2.170 miliardi di dollari.
Il suo maggiore investitore istituzionale è Vanguard Group, Inc. La top ten degli investitori/fondi di investimento:
• Vanguard Total Stock Market Index Fund
• Vanguard Institutional Index Fund
• Vanguard 500 Index Fund
• Vanguard/Windsor II.

Al 3° posto: Citigroup con un patrimonio 1.880 miliardi di dollari.
Il più grande investitore: Vanguard Group, Inc.
Nei primi dieci:
• Vanguard Total Stock Market Index Fund
• Vanguard Institutional Index Fund
• Vanguard 500 Index Fund
• Vanguard/Windsor II
• Vanguard/Wellington Fund, Inc.
Dovremmo considerare che alcuni di essi, per esempio Fidelity, sono anch’essi della Vanguard, e alcuni altri, per esempio JPMorgan, sono completamente controllati dalla Vanguard. Fidelity e le sue strutture appartengono alla Vanguard…

Ed infine il favorito di Warren Buffett: Wells Fargo.
Attività: 1.440 miliardi di dollari. Depositi: 1.010 miliardi di dollari.
L’elenco dei maggiori investitori istituzionali: la Vanguard Group, Inc. è solo al 2° posto, ma questo è compensato dai primi dieci investitori/Fondi di investimento, tra cui:
• Vanguard Total Stock Market Index Fund
• Fidelity Contra Fund, Inc.
• Vanguard Institutional Index Fund
• Vanguard 500 Index Fund e Vanguard/Wellington Fund, Inc.
(sono tutti “figli” della Vanguard).

Questo è ciò che il quadro delle indagini profilava oggi.
Le più grandi aziende del mondo sono banche:
• Bank of America
• JP Morgan
• Citigroup
• Wells Fargo
• Goldman Sachs
• Morgan Stanley

Vediamo chi sono i loro principali azionisti:
• Bank of America
• State Street Corporation
• Vanguard Group
• BlackRock
• FMR (Fidelity)
• Paulson
• JP Morgan
• T. Rowe
• Capital World Investors
• AXA
• Bank of NY Mellon

JP Morgan
• State Street Corp.
• Vanguard Group
• FMR (Fidelity)
• BlackRock
• T. Rowe
• AXA
• Capital World Investor
• Capital Research Global Investor
• Northern Trust Corp.
• Bank of NY Mellon

Citigroup
• State Street Corporation
• Vanguard Group
• BlackRock
• Paulson
• FMR
• Capital World Investor
• JP Morgan
• Northern Trust Corporation
• Fairhome Capital Mgmt
• Bank of NY Mellon

Wells Fargo
• Berkshire Hathaway
• FMR
• State Street
• Vanguard Group
• Capital World Investors
• BlackRock
• Wellington Mgmt
• AXA
• T. Rowe
• Davis Selected Advisers

Controllate di nuovo da soli: come ho già detto sopra, la società finanziaria leader è interamente controllata da dieci azionisti istituzionali e/o azionisti di capitale i quali sono il nucleo di quattro società che sono presenti in tutti i casi e in tutte le decisioni: Vanguard, Fidelity, BlackRock e State Street. Tutte loro “si appartengono reciprocamente”, ma se si controlla attentamente l’equilibrio delle azioni, si scopre che in realtà tutte queste società sono controllate dalla Vanguard. Quindi tutti questi partner o “concorrenti” di Fidelity, BlackRock e State Street appartengono al Vanguard Group.
Monsanto
La società Monsanto è odiata da milioni di persone in tutto il mondo, specialmente negli Stati Uniti, ma ai suoi proprietari non importa per una semplice ragione: nessuno pensa ai suoi veri padroni di casa.
26 agosto 2014. Come il pubblico percepisce gli individui proprietari di Monsanto:
• William U. Parfet – 284.642 azioni della società
• Hugh Grant – 253.715 azioni
• Robert T. Fraley – 95.212 azioni
• Brett D. Begemann – 103.523 azioni
• David F . Snively – 62.072 azioni
Impressionante, sono tutte persone molto ricche e influenti. In totale tutti gli individui proprietari della Monsanto hanno 799.164 azioni.

Tuttavia, il primo nella lista degli azionisti istituzionali è (a chi stai pensando?) Vanguard Group, Inc. con 31.201.773 mila azioni, 39 volte il totale dei leader “proprietari” della società!
Diamo un’occhiata ad un altro elenco degli azionisti Monsanto, i Fondi comuni di investimento.
• Vanguard Total Borsa Index Fund – 8.118.741 azioni
• Vanguard/Primecap Fund – 6.663.460 azioni
• Vanguard Institutional Fund Index – 5.226.511 azioni
• Vanguard 500 Index Fund – 517.086 azioni

A questo punto, non c’è nessuno dei nuovi giocatori, ma una nuova società coinvolta: Fidelity Grows Company Fund con 4.072.871 azioni. Il trucco è che il fondo comune di investimento della Fidelity Investment Services opera in stretta collaborazione con il Vanguard Group.
Andate giù nell’elenco: Vanguard Specialized/Dividend Appreciation Index Fund, ulteriori 3.641.513 azioni. I tuoi occhi sono stati abbagliati dalla Vanguard? Ma per le Agenzie di Regolamentazione non c’è nessuna questione: le azioni sono distribuite tra i diversi Fondi ed ognuno di essi è un soggetto giuridico differente!
Una figura di spicco della Monsanto, conosciuta dal pubblico, è il signor Hugh Grant con le citate 253.715 azioni della società. Ha prestato servizio come Presidente, Direttore Generale ed Amministratore Delegato (CEO: Chief Executive Officer). Il signor Grant non spiega a nessuno in quali mani siano in realtà le redini del potere della Monsanto!
Google
Google?! Fai una ricerca e scopri che Google è posseduta da un ebreo russo, il signor Sergey Brin. Prima di tutto trova un elenco dei proprietari. Ci sono:
• Eric E. Schmidt – 1.240.463 azioni
• John L. Doerr – 2.767 azioni
• Sergey Brin – 75.000 azioni
• David C. Drummond – 21.332 azioni
• Paul S. Otellini – 643 azioni
Che ragazzacci!

Scendi in basso ai più importanti investitori istituzionali ed al 1° posto c’è la State Street Corporation con 22.757.690 azioni, costituendo il 6,73% della società, tanto quanto Google. Allora, chi è il vero proprietario?!
Al 2° posto con una certa sigla c’è FMRLLC con i suoi 20.368.861 azioni ed il 6,02%. Nulla di misterioso. Questa è la Fidelity Management and Research.
Al 3° posto c’è Vanguard Group, Inc. con 14.624.137 azioni ed il 4,32%. A questo punto del conteggio la quota totale di Vanguard e Fidelity è già al 10,34%.
I ragazzoni!!!

Importante!
Comunque, andiamo oltre. Tra i più importanti fondi di investimento degli investitori di Google: il 1° è Fidelity Contra Fund Inc. con 6.925.967 azioni o il 2,05%, al 4° Fidelity Growth Company Fund (1.809.678, 0,54%) ed al 6° Vanguard/Primecap Fund (1.417.843, 0,42%).

Alla data del 28 Agosto 2014 il totale aggregato delle azioni di Google di proprietà della Vanguard e Fidelity Corporations è di 45.146.486 azioni (quarantacinque milioni, centoquarantaseimila, quattrocentottantasei), mentre il mondo intero “sa” che il signor Sergey Brin è il proprietario di Google. Mr. Brin ha 75.000 azioni. Ti ho già detto che la Vanguard possiede la Fidelity.
In contrasto con la Vanguard e la Fidelity, che possiedono quote di voto, Brin si interessa più ai guadagni che al controllo, così tutte le sue azioni appartengono alla categoria B, come riportato nella dichiarazione firmata da Eric Schmidt ai sensi dell’articolo 14 (A) della legge del 1934 “Sullo scambio di Titoli”. Il numero di azioni di categoria A di proprietà di Sergey Brin è uguale a 0 (zero).
Ad ogni modo Brin, come Direttore che vota per delega, non utilizza le sue azioni, ma non ho trovato le informazioni sui proprietari di tali azioni ed è possibile che tra i proprietari di queste azioni ci sia la stessa Vanguard.
Microsoft
Per favore, guarda chi controlla Microsoft. Per farlo useremo di nuovo i “noiosi” dati tedeschi, questa volta da:
https://de.finance.yahoo.com/q/mh?s=MSFT

Elenco degli individui/diretti proprietari a partire dal 28 agosto 2014:
• Steven A. Ballmerc – 333.254.734 azioni
• William H. Gates III – 297.992.934 azioni
• Mason G. Morfit – 827 azioni
• Brian Kevin Turner – 1.295.454 azioni
• Steven J. Sinofsky – 1.176.195 azioni.

L’elenco dei principali investitori istituzionali si apre con il Vanguard Group, Inc. con 386.749.214 azioni ed al 4° posto c’è FMRLLC (Fidelity!) con 272.942.627. Al 1° posto nella lista delle Fondazioni più importanti c’è il Vanguard Total Borsa Index Fund con 115.585.047 azioni e sotto ci sono il Vanguard Institutional Index Fund/Institutional Index Fund con 75.214.603 azioni ed il Vanguard 500 Index Fund con 74.414.992 azioni.
AT&T
Ora diamo un rapido sguardo all’AT&T. I primi dieci investitori istituzionali sembra siano:
1) The Vanguard Group, Inc.
2) State Street Corporation
3) Evercore Trust Company (non disponibile)
4) BlackRock Institutional Trust Company (non disponibile)
5) Bank of New York Mellon Corporation
6) BlackRock Fund Advisors
7) Northern Trust Corporation
8) Dimensional Fund Advisors LP
9) Capital Research Global Investors
10) BlackRock Group Limited
Solo i proprietari di Evercore Trust Company non vengono riconosciuti, ma gli altri nove sono tutti della Vanguard.

La Top Ten degli investitori istituzionali/Fondi di investimento
I primi dieci investitori istituzionali/Fondi di investimento:
1) Vanguard Total Stock Market Index Fund
2) Vanguard 500 Index Fund
3) SPDR S&P 500 ETF Trust
4) Vanguard Institutional Index Fund/Institutional Index Fund
5) Capital Income Builder, Inc.
6) Franklin Custodian Funds/Income Fund
7) Spartan 500 Index Fund
8) Shares Core S&P 500 ETF
9) DFA US Large Cap Value Series
10) Vanguard Index/Value Index Fund.
In questo elenco non mi è chiaro chi possieda la Shares Core S&P 500 ETF e la DFA US Large Cap Value Series. Gli altri otto su dieci sono della Vanguard.
https://de.finance.yahoo.com/q/mh?s=T,+&ql=1

Comcast
Per favore chiedimi della Comcast e l’acquisto del 100% delle azioni della Time Warner Cable, di una “figlia” del suo presunto maggiore concorrente, la AT&T Cable, un conglomerato di Media . Questa “figlia”, la Time Warner Cable, controlla il 60% di Internet e delle televisioni via cavo negli Stati States. Il 96,69% del capitale della Comcast è nelle mani di investitori istituzionali. Ecco i primi cinque:
• STRS Ohio – 150.105.674 azioni
• Capital World Investors – 134.729.551 azioni
• Vanguard Group, Inc. – 125.644.169 azioni
• State Street Corp. – 104.763.362 azioni
• FMRLLC – 73 866 510 azioni

http://www.nasdaq.com/de/symbol/cmcsa/ownership-summary
Te l’ho mostrato sopra, ma non molti altri americani sanno che anche State Street e Fidelity (FMR) sono Vanguard.
Fatti sull’Ebola – Gilead Sciences
Non mi ricordo se gli agenti dell’FBI mi hanno chiesto di indagare sull’Ebola, il virus che si trasmette senza contatto e che è stato sviluppato nel laboratorio segreto della CIA in Guinea da specialisti in biotecnologia della società americana Gilead Sciences, dopo che l’epidemia è stata diffusa interessando diversi paesi. La dede della Gilead Sciences si trova a Foster City, in California. Se gli agenti dell’FBI mi hanno chiesto di indagare sull’Ebola, ti informo qui sotto chi sono i veri proprietari della Gilead Sciences! Se invece l’FBI non mi ha chiesto di indagare sull’Ebola, per favore elimina le informazioni qui di seguito.

I proprietari nominali/individui:
• Dr. John C. Martin (Presidente, Amministratore Delegato)
• Norbert W. Bischofberger
• John F. Milligan
• Etienne Davignon
• James M. Denny

Il vero controllo dei principali azionisti istituzionali della Gilead Sciences appartiene al Vanguard Group, Inc. Altri principali azionisti di investimenti reciproci:
• Vanguard Total Stock Market Index Fund
• Vanguard Institutional Index Fund
• Vanguard 500 Index Fund.

Benjamin Fulford ha lavorato in Giappone come corrispondente per il Knight Ridder, l’International Financing Review, l’edizione inglese del Nihon Keizai Shimbun e per il South China Morning Post prima di passare alla rivista Forbes, dove è stato il Direttore dell’ufficio asiatico dal 1998 al 2005. Con i suoi rapporti investigativi ha esposto gli scandali nel governo giapponese e nel mondo degli affari. Dopo aver lasciato Forbes ha scritto una serie di libri in giapponese, alcuni dei quali sono diventati dei Best Sellers, ed ha cominciato a pubblicare su internet.
Fonte dell’articolo:
Benjamin Fulford: 2 hr Interview with Mike Harris of Veterans Today - Short End of the Stick » The Event Chronicle
 
JUNCKER SOTTO L'OMBRELLONE


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Astretto dalle necessità di coesistenza minima con il "resto del mondo", (cioè quello esterno alla comunità di studiosi e "attivisti" impegnati a comprendere ed a smascherare la paradossale situazione di un'Italia immolata sull'altare dell'€urofollia), e trovando troppo difficile spiegare quanto non mi importasse affatto del rito trasmigrazione-assestamento in luoghi improbabili di stretta osservanza feriale, mi sono ritrovato in un "luogo di vacanza".


Ciò ha comportato la possibilità di un'osservazione diretta della realtà sociale al di fuori dei miei normali ambienti lavorativi e "culturali".
Intendo dire, con ciò, che ho così potuto sostenere e orecchiare conversazioni che, in linea di massima, riflettono un campione (mediamente significativo) del senso comune, ovvero dell'opinione diffusa della società italiana su se stessa.


Ebbene, contrariamente a quanto si potrebbe ritenere (ponendosi all'interno dell'ambiente "impegnato" di cui parlavamo all'inizio), la cosa eclatante è che questa opinione (sulle effettive ragioni della crisi e, peraltro, sulla sua stessa attuale esistenza) semplicemente non c'è.


Non che le opinioni, su ogni altro genere di argomento (sociale, politico ed economico) manchino, tra i vari strati sociali dell'Italia coinvolta nell'atmosfera vacanziera; semplicemente constatiamo il "nulla" su qualsiasi, anche più elementare, cognizione inerente alle ragioni effettive della crisi economica, alla disfunzionalità della moneta unica e via dicendo.
Le opinioni della maggior parte delle persone sono appiattite da una particolare idea del contingente: così come c'è la stagione degli incendi e poi quella delle alluvioni, o il periodo degli scioperi, allo stesso modo, c'è stata 'sta cosa della Grecia che, al massimo, ci fa capire che se esageriamo con la corruzione e la spesa pubblica (che è sempre uno spreco...), finiremo come lei.


E' stato interessante attingere all'approccio analitico, relativo alla situazione italiana, di imprenditori in vacanza, professionisti, commercianti, lavoratori della ristorazione e della distribuzione, complementari alla stagione turistica: non sono neppure agguerriti come gli agit-prop inviati a ondate (come gli assalti nella battaglia di Verdun) su twitter e in generale sui social nonché, ovviamente, nei talk televisivi.
Il fall-out della propaganda €uropeista si dirama placidamente dal suo corso principale, - quello iper-mediatizzato e tumultuosamente alimentato da iperliberisti-iperlivorosi-espertoni-, per divenire un saldo e convinto flusso di diramazioni che si diffondono come un "sentire di popolo"; un "sentire" piuttosto omogeneo e supinamente accettato senza particolari conflittualità: la crisi italiana è una crisi del settore pubblico, che non funziona e che è troppo burocratizzato (cose affermate con tanta più convinzione quanta minore conoscenza della legislazione ha il soggetto che la sostiene), e comunque è un problema che si risolve con la lotta alla corruzione e (chevvelodicoaffa'?) agli sprechi.
Punto.


Non esiste non dico una base culturale, ma neppure uno spunto emotivo a ricercare ulteriori spiegazioni e ragionamenti. Questi ultimi sono scartabili a priori, nel neo-senso comune, alla stessa stregua per la quale una discussione sul calciomercato, o su una partita amichevole estiva, non può essere inquinata dall'algebra o dalla storia degli Achemenidi o dei Sassanidi. Le distanze di "rilevanza culturale", tra spiegazione ufficiale del malessere italico e sue razionali spiegazioni sostanziali, sono veramente - e contro ogni logica- nei termini che vi ho riferito.


La forza d'urto degli oltre 30 anni di propaganda pro-€uropa ordoliberista tanto ha prodotto: un popolo totalmente incapace, nel suo complesso, di distinguere causa ed effetto, le priorità dagli artifici mediatici datigli in pasto in ogni tiggì e in ogni pagina di giornale.
Devo dire, anzi, che trovandomi, sempre per le stesse ragioni, a disporre di una vasta rassegna giornaliera di quotidiani, la propaganda in questione appare essersi intensificata.
Il grado di falsificazione della misura e del significato degli eventi- o dei fattoidi intenzionalmente alimentati come se fossero delle "notizie" (ad es; ci sarà un piano di 100 miliardi di investimenti per il sud, riportato esattamente come un anno fa si parlava del piano Juncker...di cui si sono inevitabilmente perse le tracce) è in ascesa vertiginosa: come in una sorta di incubo spaventoso sottolineato dalla colonna sonora di una musichetta demenziale (al momento in cui vi scrivo, di...Celentano).


E già che ci siamo, rammentiamoci la grandezza di Juncker, perchè il suo "modulo" di decisione politica, ricorda plasticamente il meccanismo che ha tritato e poi asfaltato le capacità critiche diffuse di un intero popolo, quello italiano, sottoposto ad una colonizzazione strisciante (ormai neanche troppo) della quale non pare accorgersi se non per borbottare, paradossalmente, una certa approvazione: "prendiamo una decisione e la mettiamo sul tavolo, aspettando di vedere quali reazioni susciterà; se non vi sono resistenze perchè nessuno ci ha capito nulla, andiamo avanti fino al punto di non ritorno...".


Pubblicato da Quarantotto a 17:41 27 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest
 
agosto 13, 2015 posted by Avv. Marco Mori
1981: due lettere ed il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia è realtà.


La teoria della banca centrale indipendente in Italia ha trovato attuazione consuetudinaria ben prima di quella normativa avvenuta con il Trattato di Maastricht. Mi riferisco a quello che comunemente viene chiamato il divorzio tra la Banca d’Italia ed il Ministero del Tesoro avvenuto nel 1981.
Con il termine “divorzio” si menziona l’atto con cui Beniamino Andreatta, l’allora Ministro, con una semplice lettera indirizzata al Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, pose fine all’acquisto illimitato dei titoli di Stato da parte della nostra banca centrale.
Ante 1981 lo Stato decideva sovranamente la propria politica economica. La Banca d’Italia rispondeva agli ordini del Ministero del Tesoro e dunque era obbligata a finanziare la spesa pubblica nazionale acquistando i titoli di Stato che il Paese altrettanto sovranamente decideva di emettere. La Banca d’Italia altresì, sempre per finanziare la spesa pubblica, metteva a disposizione uno scoperto di conto secondo gli importi decisi dalla nostra Repubblica. Tale scoperto di conto era pari, tenetevi forte, al 14% delle spese correnti del Paese ovvero 20.000 miliardi di Lire.
La Banca d’Italia dunque fino al 1981 non era indipendente dal potere politico essendo un organo dello Stato alla cui esclusiva potestà d’imperio era demandata ogni scelta di espansione della base monetaria. Ma lo scopo di questo articolo non è spiegare una storia che già in molti conoscete bensì offrirvi in versione integrale il testo delle due missive, Andreatta prima e Ciampi poi.
“Caro Governatore,
ho da tempo maturato l’opinione che molti problemi di gestione della politica monetaria siano resi più acuti da un’insufficiente autonomia della condotta della Banca d’Italia nei confronti delle esigenze di finanziamento del Tesoro.
In particolare l’esistenza di un obbligo di acquisto residuale il sede d’asta di BOT, l’abitudine ad appoggiare su una convenzione tra Tesoro e Banca d’Italia il collocamento di titoli poliennali, e la norma sul massimo scoperto di conto corrente di tesoreria provinciale, comportano un insieme di vincoli sulla libertà di gestione dell’offerta di moneta.
E’ mia intenzione perciò riesaminare la opportunità della deliberazione del 23 gennaio 1975 del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio con la quale si apportavano modifiche al metodo di collocamento dei buoni ordinari del Tesoro, stabilendo che “il prezzo di sottoscrizione sarà quello offerto dalla Banca d’Italia che assicurerà comunque la copertura dell’intera tranche”.
Tale riesame dovrebbe portare ad un sistema in cui l’intervento della Banca d’Italia all’asta dei BOT sia una libera decisione della Banca stessa, e in cui l’offerta della Banca concorra, su un piano di parità con le altre, a determinarne il prezzo.
Poiché tuttavia vi è il rischio che errori di valutazione, da parte del Tesoro, sulla quantità di BOT da offrire all’asta, connessi ad errori di dimensione della liquidità messa in circuito dalla spesa pubblica (n.d.s. con buona pace di chi pensa che la spesa pubblica sia un qualcosa di diverso dal metodo con cui si immette moneta nell’economia reale), possano produrre andamenti erratici nei tassi d’interesse, appare conveniente indagare se non sia possibile ridurre l’incidenza di tale errore rendendo le aste quindicinali, anziché mensili.
Sempre nell’intento di rendere più sicuro l’esito dell’asta, potrebbe anche tentarsi la via di costituire un sindacato di collocamento tra le grandi banche, ove questo consentisse effettivamente di rendere minima l’oscillazione indesiderata dei tassi senza però rendere più costoso il collocamento.
Mi sembra tuttavia necessario considerare l’ipotesi che l’esito dell’asta non consenta al Tesoro di ottenere i mezzi necessari al finanziamento della spesa; poiché allora non sarebbe logico restituire alla Banca Centrale, in sede d’asta, un potere di controllo sull’offerta di moneta per toglierlo poi in sede di uso dello scoperto del conto corrente di tesoreria provinciale, dovrebbe anche mettersi allo studio una nuova regolazione di questo aspetto dei legami tra Tesoro e Banca d’Italia.
Il criterio guida, a mio avviso, dovrebbe essere quello di restituire alla Banca la libertà di definire, in via anticipata, qual’è il massimo scoperto che è disposta a consentire mese per mese, nel quadro di una decisione globale, pure anticipata, sulla creazione annuale di base monetaria e sui canali di distribuzione.
Il sistema allora potrebbe essere basato su una comunicazione formale al Tesoro, nel quadro della presentazione dei flussi finanziari, e su una condotta del Tesoro regolata su questa comunicazione.
La Banca dovrebbe essere peraltro libera di modificare tale quadro in corso d’anno, al sopravvenire di nuove situazioni. Inoltre, mese per mese, la Banca d’Italia potrà sia creare più base monetaria di quanto deciso, comprando più titoli sul mercato aperto, sia crearne di meno di quanto deciso, compensando sul mercato aperto la quota “garantita” attraverso il conto corrente di tesoreria.
Questa quota garantita acquisterebbe quindi essenzialmente la funzione di una rete di sicurezza, per evitare crisi di liquidità del Tesoro; essa potrebbe costituire la base per una politica di offerta di moneta più stabile.
Per non modificare immediatamente la norma di contabilità (n.d.s. dunque per non interessare la sovranità politica della questione) che prevede un legame tra il livello di massimo scoperto e la dimensione della spesa di bilancio, sarà sufficiente operare un consolidamento con titoli a lunghissimo termine di un’ampia parte del debito a vista del Tesoro: questo restituirà un margine sufficiente a rendere del tutto libera da vincoli connesi a questa norma, la manovra monetaria della Banca d’Italia.
Gradirei conoscere, su queste proposte, il pensiero della Banca d’Italia, sempre in quadro di rapporti di collaborazione stretti e proficui.
Con viva cordialità”.
Nel 1981 Andreatta, ignorando la sovranità del Parlamento, ed anzi trovando il modo per aggirare le norme vigenti si comportò in modo davvero insensato. Provate ad immaginarvi un imprenditore che, improvvisamente uscito di senno, decidesse di andare presso la Banca con cui ha stipulato un contratto di fido per chiedere la riduzione del fido stesso, peraltro subordinandola all’insindacabile giudizio della Banca. Ebbene Andreatta ha fatto esattamente questo!
Anzi la realtà è pure peggiore: l’imprenditore di solito non è anche il proprietario della Banca a cui chiede il credito, mentre nel 1981 Andreatta era il Ministro di uno Stato che era per definizione il proprietario della Banca stessa e decideva sovranamente la quantità di moneta da immettere nell’economia attraverso la spesa pubblica!
Ma leggiamo il riscontro del Governatore Ciampi:
“Caro Ministro,
rispondo alla Sua (omissis…), le cui linee di ragionamento mi trovano sostanzialmente d’accordo. A conclusioni similari ero pervenuto nel preparare la conferenza del 16 febbraio all’Associazione Nazionale di Banche e Banchieri.
Perché la politica monetaria non subisca vincoli imposti dalla dimensione e dall’andamento nel tempo del disavanzo statale è necessario che il finanziamento al Tesoro della Banca d’Italia possa essere da questo regolato in piena autonomia al fine di raggiungere gli obiettivi di controllo monetario.
I vincoli derivano attualmente dalla prassi secondo la quale la Banca d’Italia sottoscrive residualmente la parte delle emissioni di titoli di Stato non assorbita dal mercato e dalla possibilità per il Tesoro di attingere al conto corrente con la Banca nei limiti del 14 per cento delle spese.
Occorrerebbe dunque che il Tesoro finanziasse l’intero ammontare delle spese non coperte da entrate fiscali mediante emissioni di titoli in pubblica sottoscrizione e che le operazioni in titoli di Stato della Banca d’Italia, da effettuare soltanto in contropartita del mercato, rispondessero unicamente ad obiettivi di politica monetaria.
L’interruzione dell’automatismo degli acquisti della banca centrale alle aste dei bot è un primo passo, di notevole importanza, per la realizzazione di un obiettivo di crescita della base monetaria complessiva, indipendente dal disavanzo (n.d.s. l’offerta di moneta diventa appannaggio esclusivo delle banche commerciali azniché dello Stato). Le operazioni di mercato aperto verrebbero effettuate nella misura richiesta dal perseguimento degli obiettivi operativi in materia di creazione di base monetaria.
Nel rispetto della sua funzione strumentale ai fini della determinazione del volume del credito e del raggiungimento degli altri obiettivi della politica monetaria, la creazione di base monetaria deve essere regolata dalla banca centrale tenendo conto degli andamenti di mercato; ciò può implicare un uso flessibile dello strumento in corso d’anno.
I programmi di base monetaria, sia pure definiti in termini di una fascia di tassi di crescita, potrebbero essere comunicati al Tesoro al mercato, al fine di orientarne le azioni, nelle occasioni in cui vengono fissati gli obiettivi creditizi, quali la riunione del CIPE che approva la ripartizione globale dei flussi monetari tra le varie destinazioni e le Relazioni trimestrali sulla stima del fabbisogno di cassa del settore pubblico allargato presentate dal Ministro del Tesoro alle scadenze di febbraio e di agosto.
Nel presupposto sopra riferito che il disavanzo venga coperto con emissioni di titoli sul mercato, l’esistenza di un rapporto di conto corrente tra la Banca d’Italia e il Tesoro risponde ad esigenze di soddisfare le occorrenze giornaliere del servizio di tesoreria e di compensare temporaneamente eventuali difetti di previsione, rispetto alla necessità di finanziamento. Inoltre, considerata l’attuale variabilità nel tempo del fabbisogno di cassa, il conto corrente presso la Banca d’Italia può servire a stabilizzare nel brevissimo periodo il flusso delle emissioni e a contenere le oscillazioni dei tassi d’interesse, consentendo che l’offerta di titoli possa in alcuni mesi sopravanzare, in altri restare al di sotto del disavanzo.
L’ampiezza del margine di variazione del saldo del conto corrente che queste esigenze implicano è tuttavia largamente inferiore a quel 14 per cento delle spese di bilancio, attualmente superiore a 20.000 miliardi, che costituiscono il limite dello scoperto sul conto. E’ dunque auspicabile una revisione della normativa che regola l’anticipazione in conto corrente.
Inoltre la possibilità di effettuare emissioni di titoli ogni quindici giorni, cioè con cadenza inferiore al limite di venti giorni previsto per la durata di un eventuale superamento dello scoperto massimo del conto, e un auspicabile miglior sincronismo tra i pagamenti di maggiori dimensioni e gli introiti fiscali faciliterebbero il mantenimento del saldo del conto corrente entro limiti ristretti. E’ in quest’ottica che va esaminata l’eventuale esigenza, al momento di dar corso alle innovazioni proposte, di un ultimo collocamento diretto di titoli di Stato nel portafoglio della Banca al fine di ampliare il margine utilizzabile nel conto corrente di tesoreria.
Mi è gradita l’occasione per ricambiarle i sentimenti di viva cordialità”.
Ovviamente la scelta del 1981 non era irreversibile in quanto l’Italia rimaneva in ogni momento libera di tornare su i suoi passi ed imporre sovranamente alla propria Banca Centrale di sostenere la spesa pubblica e di decidere altrettanto sovranamente l’offerta moneta.
Fatto sta che invece si prosegui con tale folle scelta. Il costo del divorzio fu enorme con un debito che passò dal 58% del PIL al 120% e ciò in soli dieci anni. L’Italia infatti iniziò a finanziarsi sui mercati a tassi che, al netto dell’inflazione, erano superiori rispetto a quanto avveniva precedentemente.


Banca d’ItaliaDebito
 
Mani Pulite, sfasciare l’Italia per venderla ai suoi carnefici


Scritto il 13/8/15 • nella Categoria: segnalazioni



Mani Pulite? Un “golpe” giudiziario per radere al ruolo la Prima Repubblica, corrotta fin che si vuole ma non disposta a demolire la sovranità nazionale. «La vecchia dirigenza Dc-Psi, che per anni, nel bene e nel male, aveva governato l’Italia – scrive Gianni Petrosillo – non avrebbe mai ceduto alle pressioni esterne tese ad ottenere la liquidazione degli asset strategici e patrimoniali del Belpaese, per una sua completa subordinazione a (pre)potenze straniere, in atto di ricollocarsi sullo scacchiere geopolitico dopo l’implosione dell’Unione Sovietica». Tutto ciò «verrà fatto dopo, dai residuati della Prima Repubblica, sospettamente scampati alla mannaia giudiziaria, pur avendo ricoperto ruoli e funzioni di primo piano per una lunga fase, e da nuovi partiti frettolosamente nati sulle macerie di quelli vecchi o appena riverniciati di falso moralismo necessario a mimetizzarsi tra scandali e persecuzioni». Un magistrato come Tiziana Maiolo denunciò le “stranezze” del pool di Milano, «il quale, incredibilmente, insabbiò le indagini sui comunisti e mise i bastoni tra le ruote a quei magistrati che avrebbero voluto fare maggiore chiarezza anche da quella parte».
La stessa Maiolo, scrive Petrosillo su “Conflitti e Strategie”, «riprende la tesi del complotto della Cia nell’affaire Tangentopoli», anche se «non arriva a comprendere come gli americani potessero fidarsi dei comunisti, cresciuti sotto l’ala di Mosca, per raggiungere i loro scopi». Forse alla Maiolo erano sfuggiti «importanti spostamenti di campo che il Pci iniziò ad operare sin dalla fine degli anni ’60 e che diventarono sempre più evidenti con il compromesso storico, le dichiarazioni berlingueriane favorevoli alla Nato e i viaggi d’oltreoceano di Giorgio Napolitano». L’onda lunga del “tradimento” si completerà in seguito alla caduta dell’Urss con la svolta occhettiana della Bolognina, che porterà la “ditta” a cambiare apertamente nome e ragione sociale. «E’ vero che la gioiosa macchina da guerra del Pds s’ingripperà sul più bello, mentre dava l’assalto al potere», ma in effetti anche il complotto meglio pianificato può incontrare un inghippo: in quel caso l’inghippo fu Berlusconi, «catalizzatore del bacino elettorale dei partiti distrutti dai giudici».
Quando il pool di Milano «procedeva come un carro armato e tutti aspettavano che finalmente andasse a colpire anche il Pci-Pds, che andasse a fondo, che facesse una pulizia totale», grande stupore destarono quindi le parole del procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio, che in un’intervista rilasciata al quotidiano “L’Unità” il 26 maggio 1993 annunciò che a grandi linee l’inchiesta su Tangentopoli era finita, dopo aver colpito Dc e Psi e risparmiato il Pci-Pds. Fu lo stesso D’Ambrosio, aggiunge Petrosillo, a battersi per dimostrare che Primo Greganti, il faccendiere del Pci-Pds che aveva prelevato denaro in Svizzera dal “Conto Gabbietta”, «rubava per sé e non per il partito». Un paio di anni dopo, quando il quadro politico era radicalmente cambiato e non esistevano più la Dc né il Psi (ma esisteva ancora l’ex partito di Occhetto), il ministro di giustizia del governo Dini, Filippo Mancuso, avvierà un’ispezione nei confronti del pool di Milano, e la questione Greganti salterà di nuovo fuori. Dov’erano finiti quei soldi? «Nelle casse del Pci-Pds». Ma il pool di Milano cessò di indagare. E a Tiziana Parenti, la giovane magistrata che aveva osato sfidare i vertici della Quercia, l’inchiesta fu tolta.
«Ci sarà un altro magistrato la cui inchiesta sul Pci-Pds si infrangerà su un muro di omertà complici e di “aiutini”», continua Petrosillo. Si tratta del procuratore di Venezia, Carlo Nordio, cui a un certo punto furono trasferiti anche atti provenienti da Milano. «L’interrogatorio di Luigi Carnevale, che chiamava in causa esplicitamente Stefanini, Occhetto e D’Alema, non arrivò mai. Si disse che era stata una “dimenticanza”. E così l’inchiesta di Venezia, come tante altre che si snodarono in tutta Italia, si risolse con le condanne dei pesci piccoli». E che dire di quel miliardo di lire che Raul Gardini, patron di Enimont, avrebbe consegnato a Botteghe Oscure, su cui esistono diverse testimonianze e per il quale Sergio Cusani fu condannato a sei anni di carcere? «Sparito nelle stanze buie della grande federazione del Pci-Pds. Nessun magistrato, né Di Pietro né in seguito i diversi tribunali individuarono in quali mani il denaro fosse finito. Per D’Alema e Occhetto non è mai valso il principio del “non poteva non sapere” o della “responsabilità oggettiva” con cui fu colpito Bettino Craxi. Eppure c’era stato il racconto (indiretto) di Sergio Cusani che aveva riferito di aver consegnato un miliardo nelle mani di Achille Occhetto».
Il tribunale che condannò Cusani scrisse: «Gardini si è recato di persona nella sede del Pci portando con sé 1 miliardo di lire. Il destinatario non era quindi semplicemente una persona, ma quella forza di opposizione che aveva la possibilità di risolvere il grosso problema che assillava Enimont e il fatto così accertato è stato dunque esattamente qualificato come illecito finanziamento di un partito politico». Non si ricordano urla e strepiti del pubblico ministero Antonio Di Pietro (anche se chiederà timidamente di interrogare D’Alema), che dopo quel processo gettò la toga, scrive Petrosillo. Occhetto e D’Alema non furono neppure sentiti e il miliardo passò alla storia come finanziamento illegale “a un partito”. Francesco Misiani, pm romano di sinistra aderente alla corrente più radicale di “Magistratura democratica”, ha spiegato in un libro quale fosse il suo stato d’animo quando scoprì che il Pci-Pds, «lungi dal rappresentare quella “diversità” su cui tanto si era appassionato Enrico Berlinguer, era invece assolutamente omologo (un terzo, un terzo, un terzo) ai partiti di governo e, proprio come aveva denunciato l’inascoltato Craxi, si era sempre finanziato in modo illecito o illegale». Anzi, avendo anche ricevuto finanziamenti dall’Unione Sovietica, come racconterà con franchezza in un altro libro Gianni Cervetti, aveva persino maggiore disponibilità finanziaria.
Un politico di Forza Italia come Giuliano Urbani racconta: «Nel 1994, quando ero ministro del primo governo Berlusconi, fui avvicinato da alcuni professori miei amici, che erano legati alla Cia, i quali mi misero in guardia da Di Pietro, mi suggerirono di diffidare della persona. Mi dissero con certezza che Di Pietro nella costruzione di tangentopoli era stato aiutato dai servizi segreti americani». Secondo i “contatti” di Urbani, il desiderio di vendetta degli Stati Uniti nei confronti di Craxi, Spadolini e Andreotti per i fatti di Sigonella ebbe diversi strumenti operativi, tra cui appunto l’uso di Tonino Di Pietro. «Il quale in effetti arrivò, distrusse e se ne andò. Su mandato dei servizi segreti americani». Il racconto di Urbani, proprio perché proviene da un liberale che arrivò nei palazzi del potere “dopo”, e quindi non aveva nessun motivo di revanchismo nei confronti del Pm di Mani Pulite, sembra convincente: «Quegli amici mi hanno avvicinato per avvertirmi della doppiezza dell’uomo, che era stato protagonista di una pagina oscura. E mi hanno proprio cercato loro, appositamente». Vengono con facilità alla memoria quelle trattative, poi saltate, per far entrare Di Pietro nel governo Berlusconi. E i dubbi aumentano. «Sappiamo come è cominciata, ma non sappiamo perché», osserva Petrosillo. «Perché una colossale retata giudiziaria a strascico abbia rivoluzionato la fisionomia politica del paese».
C’è chi ha sposato la teoria del complotto internazionale, scrive Petrosillo. Sostenuta da molti esponenti governativi prestigiosi della Prima Repubblica (Craxi in primis), questa ipotesi parte dal presupposto che la magistratura fino al 1992 ignorò il finanziamento illecito dei partiti. Poi, con l’arresto di Mario Chiesa, il caso esplose e si trasformò in un “processo al sistema”. «Qualcuno, si dice, aveva interesse ad annientare l’intera classe politica al governo e sostituirla con un’altra. Chi? Perché?». Francesco Cossiga ha fatto parte di coloro che hanno creduto al complotto internazionale. In una delle sue ultime interviste, attribuì alla Cia un ruolo importante sull’inizio di Tangentopoli, così come sulle “disgrazie” di Craxi e Andreotti. In quel periodo alla Casa Bianca c’erano amministrazioni del Partito democratico, «le più interventiste e implacabili». Un altro boss della Prima Repubblica, l’ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino, sostiene che il “complotto” iniziò proprio nel 1992, la data fatidica di Mani Pulite. In quei giorni il capo della Cia, James Woolsey, spiegò che l’amministrazione Clinton aveva disposto un vero spionaggio industriale, e a Milano sbarcò l’agenzia privata di investigazioni Kroll. Gli Usa raccolsero corposi dossier sul finanziamento illecito. E il capo della Cia fece sapere al suo governo che c’era la possibilità di far scoppiare scandali, se fosse servito.
Nell’analisi di Cirino Pomicino, aggiunge Petrosillo, c’è anche la Gran Bretagna, dove «la Thatcher aveva perso la battaglia sulla moneta unica e gli americani iniziarono una politica aggressiva per difendere il dollaro», oltre che una certa attenzione ai problemi avuti da Chirac in Francia e Kohl in Germania. In quel momento «sarebbe stata scelta l’Italia, come luogo dove far scoppiare lo scandalo». Il punto debole, conclude Petrosillo, è la strategia che gli americani avrebbero avuto sul “dopo”. «Chi assaltò il Palazzo d’inverno, chi prese la Bastiglia aveva un progetto per il giorno dopo la rivoluzione. I servizi segreti americani avevano dunque un accordo con Occhetto? Oppure con quei “poteri forti” che cercavano la discontinuità e che non ameranno mai Berlusconi, trattato sempre come un Maradona, geniaccio arrivato d’improvviso dalle favelas?». La risposta è nei fatti, dal Britannia in poi, col clamoroso precedente del divorzio tra il Tesoro e Bankitalia, quando la banca centrale era retta da Ciampi. Lo ha spiegato molto bene Nino Galloni, consulente di Andreotti alla vigilia del Trattato di Maastricht: l’Italia fu deliberatamente azzoppata, con la complicità delle sue élite tecnocratiche in quota al futuro centrosinistra, per sabotare il sistema produttivo nazionale, come chiedeva la Germania per aderire all’euro e gestire il disegno strategico di indebolimento generale dell’Europa. Il resto è cronaca, e si chiama crisi.
Mani Pulite? Un “golpe” giudiziario per radere al ruolo la Prima Repubblica, corrotta fin che si vuole ma non disposta a demolire la sovranità nazionale. «La vecchia dirigenza Dc-Psi, che per anni, nel bene e nel male, aveva governato l’Italia – scrive Gianni Petrosillo – non avrebbe mai ceduto alle pressioni esterne tese ad ottenere la liquidazione degli asset strategici e patrimoniali del Belpaese, per una sua completa subordinazione a (pre)potenze straniere, in atto di ricollocarsi sullo scacchiere geopolitico dopo l’implosione dell’Unione Sovietica». Tutto ciò «verrà fatto dopo, dai residuati della Prima Repubblica, sospettamente scampati alla mannaia giudiziaria, pur avendo ricoperto ruoli e funzioni di primo piano per una lunga fase, e da nuovi partiti frettolosamente nati sulle macerie di quelli vecchi o appena riverniciati di falso moralismo necessario a mimetizzarsi tra scandali e persecuzioni». Un magistrato come Tiziana Maiolo denunciò le “stranezze” del pool di Milano, «il quale, incredibilmente, insabbiò le indagini sui comunisti e mise i bastoni tra le ruote a quei magistrati che avrebbero voluto fare maggiore chiarezza anche da quella parte».
La stessa Maiolo, scrive Petrosillo su “Conflitti e Strategie”, «riprende la tesi del complotto della Cia nell’affaire Tangentopoli», anche se «non arriva a comprendere come gli americani potessero fidarsi dei comunisti, cresciuti sotto l’ala di Mosca, per raggiungere i loro scopi». Forse alla Maiolo erano sfuggiti «importanti spostamenti di campo che il Pci iniziò ad operare sin dalla fine degli anni ’60 e che diventarono sempre più evidenti con il compromesso storico, le dichiarazioni berlingueriane favorevoli alla Nato e i viaggi d’oltreoceano di Giorgio Napolitano». L’onda lunga del “tradimento” si completerà in seguito alla caduta dell’Urss con la svolta occhettiana della Bolognina, che porterà la “ditta” a cambiare apertamente nome e ragione sociale. «E’ vero che la gioiosa macchina da guerra del Pds s’ingripperà sul più bello, mentre dava l’assalto al potere», ma in effetti anche il complotto meglio pianificato può incontrare un inghippo: in quel caso l’inghippo fu Berlusconi, «catalizzatore del bacino elettorale dei partiti distrutti dai giudici».
Quando il pool di Milano «procedeva come un carro armato e tutti aspettavano che finalmente andasse a colpire anche il Pci-Pds, che andasse a fondo, che facesse una pulizia totale», grande stupore destarono quindi le parole del procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio, che in un’intervista rilasciata al quotidiano “L’Unità” il 26 maggio 1993 annunciò che a grandi linee l’inchiesta su Tangentopoli era finita, dopo aver colpito Dc e Psi e risparmiato il Pci-Pds. Fu lo stesso D’Ambrosio, aggiunge Petrosillo, a battersi per dimostrare che Primo Greganti, il faccendiere del Pci-Pds che aveva prelevato denaro in Svizzera dal “Conto Gabbietta”, «rubava per sé e non per il partito». Un paio di anni dopo, quando il quadro politico era radicalmente cambiato e non esistevano più la Dc né il Psi (ma esisteva ancora l’ex partito di Occhetto), il ministro di giustizia del governo Dini, Filippo Mancuso, avvierà un’ispezione nei confronti del pool di Milano, e la questione Greganti salterà di nuovo fuori. Dov’erano finiti quei soldi? «Nelle casse del Pci-Pds». Ma il pool di Milano cessò di indagare. E a Tiziana Parenti, la giovane magistrata che aveva osato sfidare i vertici della Quercia, l’inchiesta fu tolta.
«Ci sarà un altro magistrato la cui inchiesta sul Pci-Pds si infrangerà su un muro di omertà complici e di “aiutini”», continua Petrosillo. Si tratta del procuratore di Venezia, Carlo Nordio, cui a un certo punto furono trasferiti anche atti provenienti da Milano. «L’interrogatorio di Luigi Carnevale, che chiamava in causa esplicitamente Stefanini, Occhetto e D’Alema, non arrivò mai. Si disse che era stata una “dimenticanza”. E così l’inchiesta di Venezia, come tante altre che si snodarono in tutta Italia, si risolse con le condanne dei pesci piccoli». E che dire di quel miliardo di lire che Raul Gardini, patron di Enimont, avrebbe consegnato a Botteghe Oscure, su cui esistono diverse testimonianze e per il quale Sergio Cusani fu condannato a sei anni di carcere? «Sparito nelle stanze buie della grande federazione del Pci-Pds. Nessun magistrato, né Di Pietro né in seguito i diversi tribunali individuarono in quali mani il denaro fosse finito. Per D’Alema e Occhetto non è mai valso il principio del “non poteva non sapere” o della “responsabilità oggettiva” con cui fu colpito Bettino Craxi. Eppure c’era stato il racconto (indiretto) di Sergio Cusani che aveva riferito di aver consegnato un miliardo nelle mani di Achille Occhetto».
Il tribunale che condannò Cusani scrisse: «Gardini si è recato di persona nella sede del Pci portando con sé 1 miliardo di lire. Il destinatario non era quindi semplicemente una persona, ma quella forza di opposizione che aveva la possibilità di risolvere il grosso problema che assillava Enimont e il fatto così accertato è stato dunque esattamente qualificato come illecito finanziamento di un partito politico». Non si ricordano urla e strepiti del pubblico ministero Antonio Di Pietro (anche se chiederà timidamente di interrogare D’Alema), che dopo quel processo gettò la toga, scrive Petrosillo. Occhetto e D’Alema non furono neppure sentiti e il miliardo passò alla storia come finanziamento illegale “a un partito”. Francesco Misiani, pm romano di sinistra aderente alla corrente più radicale di “Magistratura democratica”, ha spiegato in un libro quale fosse il suo stato d’animo quando scoprì che il Pci-Pds, «lungi dal rappresentare quella “diversità” su cui tanto si era appassionato Enrico Berlinguer, era invece assolutamente omologo (un terzo, un terzo, un terzo) ai partiti di governo e, proprio come aveva denunciato l’inascoltato Craxi, si era sempre finanziato in modo illecito o illegale». Anzi, avendo anche ricevuto finanziamenti dall’Unione Sovietica, come racconterà con franchezza in un altro libro Gianni Cervetti, aveva persino maggiore disponibilità finanziaria.
Un politico di Forza Italia come Giuliano Urbani racconta: «Nel 1994, quando ero ministro del primo governo Berlusconi, fui avvicinato da alcuni professori miei amici, che erano legati alla Cia, i quali mi misero in guardia da Di Pietro, mi suggerirono di diffidare della persona. Mi dissero con certezza che Di Pietro nella costruzione di tangentopoli era stato aiutato dai servizi segreti americani». Secondo i “contatti” di Urbani, il desiderio di vendetta degli Stati Uniti nei confronti di Craxi, Spadolini e Andreotti per i fatti di Sigonella ebbe diversi strumenti operativi, tra cui appunto l’uso di Tonino Di Pietro. «Il quale in effetti arrivò, distrusse e se ne andò. Su mandato dei servizi segreti americani». Il racconto di Urbani, proprio perché proviene da un liberale che arrivò nei palazzi del potere “dopo”, e quindi non aveva nessun motivo di revanchismo nei confronti del Pm di Mani Pulite, sembra convincente: «Quegli amici mi hanno avvicinato per avvertirmi della doppiezza dell’uomo, che era stato protagonista di una pagina oscura. E mi hanno proprio cercato loro, appositamente». Vengono con facilità alla memoria quelle trattative, poi saltate, per far entrare Di Pietro nel governo Berlusconi. E i dubbi aumentano. «Sappiamo come è cominciata, ma non sappiamo perché», osserva Petrosillo. «Perché una colossale retata giudiziaria a strascico abbia rivoluzionato la fisionomia politica del paese».
C’è chi ha sposato la teoria del complotto internazionale, scrive Petrosillo. Sostenuta da molti esponenti governativi prestigiosi della Prima Repubblica (Craxi in primis), questa ipotesi parte dal presupposto che la magistratura fino al 1992 ignorò il finanziamento illecito dei partiti. Poi, con l’arresto di Mario Chiesa, il caso esplose e si trasformò in un “processo al sistema”. «Qualcuno, si dice, aveva interesse ad annientare l’intera classe politica al governo e sostituirla con un’altra. Chi? Perché?». Francesco Cossiga ha fatto parte di coloro che hanno creduto al complotto internazionale. In una delle sue ultime interviste, attribuì alla Cia un ruolo importante sull’inizio di Tangentopoli, così come sulle “disgrazie” di Craxi e Andreotti. In quel periodo alla Casa Bianca c’erano amministrazioni del Partito democratico, «le più interventiste e implacabili». Un altro boss della Prima Repubblica, l’ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino, sostiene che il “complotto” iniziò proprio nel 1992, la data fatidica di Mani Pulite. In quei giorni il capo della Cia, James Woolsey, spiegò che l’amministrazione Clinton aveva disposto un vero spionaggio industriale, e a Milano sbarcò l’agenzia privata di investigazioni Kroll. Gli Usa raccolsero corposi dossier sul finanziamento illecito. E il capo della Cia fece sapere al suo governo che c’era la possibilità di far scoppiare scandali, se fosse servito.
Nell’analisi di Cirino Pomicino, aggiunge Petrosillo, c’è anche la Gran Bretagna, dove «la Thatcher aveva perso la battaglia sulla moneta unica e gli americani iniziarono una politica aggressiva per difendere il dollaro», oltre che una certa attenzione ai problemi avuti da Chirac in Francia e Kohl in Germania. In quel momento «sarebbe stata scelta l’Italia, come luogo dove far scoppiare lo scandalo». Il punto debole, conclude Petrosillo, è la strategia che gli americani avrebbero avuto sul “dopo”. «Chi assaltò il Palazzo d’inverno, chi prese la Bastiglia aveva un progetto per il giorno dopo la rivoluzione. I servizi segreti americani avevano dunque un accordo con Occhetto? Oppure con quei “poteri forti” che cercavano la discontinuità e che non ameranno mai Berlusconi, trattato sempre come un Maradona, geniaccio arrivato d’improvviso dalle favelas?». La risposta è nei fatti, dal Britannia in poi, col clamoroso precedente del divorzio tra il Tesoro e Bankitalia, quando la banca centrale era retta da Ciampi. Lo ha spiegato molto bene Nino Galloni, consulente di Andreotti alla vigilia del Trattato di Maastricht: l’Italia fu deliberatamente azzoppata, con la complicità delle sue élite tecnocratiche in quota al futuro centrosinistra, per sabotare il sistema produttivo nazionale, come chiedeva la Germania per aderire all’euro e gestire il disegno strategico di indebolimento generale dell’Europa. Il resto è cronaca, e si chiama crisi.
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