Per quanto riguarda invece
l’articolo 41 Costituzione
– che rientra nella parte dedicata ai “diritti e doveri dei cittadini”,
nel Titolo III dei “rapporti economici” – vengono inseriti alcuni incisi nei commi 2 e 3 :
“1. L’iniziativa economica privata è libera.
2. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute,
all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
3. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.
“L’ambiente” entra, e allo stesso livello dell’essere umano, tra i “soggetti di diritto”, e quindi meritevoli di tutela,
giustificando così future limitazioni alla proprietà privata e alla libertà di iniziativa,
potenzialmente anche pesanti vista l’indeterminatezza del nuovo dettato costituzionale.
Le modifiche introdotte nel nostro ordinamento si pongono in linea con la normativa europea:
la
Carta di Nizza, che rappresenta la Carta dei diritti fondamentali dell’
Unione europea,
stabilisce infatti
nell’articolo 37 che
“Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità
devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.
La politica comunitaria e gli obiettivi ambientali sono disciplinati anche nel Tfue-Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,
all’articolo 191.
Per non parlare dell’Agenda
Onu 2030 sul
cosiddetto “sviluppo sostenibile”, di cui le questioni “ambientali” costituiscono il pilastro principale.
In questa sede vorrei attirare l’attenzione sugli aspetti di tipo economico.
Innanzitutto, occorre sottolineare che il testo costituzionale
– frutto di un compromesso in Assemblea costituente tra più istanze: liberali, cattoliche, marxiste –
già prima delle recenti modifiche conteneva degli elementi suscettibili di interpretazione
in senso più o meno
“dirigistico” e lato sensu “socialista”,
come la storia economica del secondo dopoguerra ha ampiamente dimostrato.
La legislazione ordinaria, in coerenza con lo spirito interventistico ravvisabile nel testo costituzionale fin dalle origini,
ha infatti prodotto fino a oggi in materia economica un insieme tanto ampio quanto disorganico e farraginoso di leggi e leggine,
con contraddizioni, vuoti e sovrapposizioni che ne rendono estremamente ardua l’interpretazione e l’applicazione.
Sul piano contenutistico, si è progressivamente formato un complesso meccanismo di “lacci e lacciuoli”,
che ha costituito un serio ostacolo al libero e leale svolgimento dell’attività economica dei privati:
quest’ultimi sono stati così incentivati – talvolta costretti – alla ricerca di “vie traverse” e di collusioni con il potere politico,
nelle sue varie
articolazioni territoriali, per riuscire a districarsi dai molteplici impedimenti senza perdere in competitività,
ma anche per ottenere sovvenzioni indebite che ultimamente ricadono inevitabilmente su contribuenti e consumatori.
Utili privati e perdite pubbliche, insomma, nella prospettiva del cosiddetto
capitalismo clientelare.
Le modifiche green recentemente introdotte sono così “alte” e così vaghe,
che il Parlamento d’ora in poi potrà dare prova di fantasia e creatività
nell’escogitare sempre nuove regole, restrizioni e tasse, da un lato;
nonché concedere incentivi e prebende, dall’altro;
per non parlare degli spazi che si aprono alla giurisprudenza costituzionalmente orientata.
Oltre alla libertà di iniziativa economica,
la minaccia si potrebbe estendere anche alla proprietà privata:
il nuovo testo costituzionale consentirebbe di varare leggi che mettono fuori mercato non solo veicoli “troppo” inquinanti
ma anche abitazioni con classe energetica ritenuta “troppo” bassa,
come anche l’imposizione di tasse pesanti per frenare quei consumi giudicati poco “verdi”,
per via di emissioni di CO2 ritenute eccessive;
e chissà cos’altro in futuro, magari anche imporre dei lockdown energetici, giustificandoli con nuove “emergenze climatiche”.