Andreotti trattò con la mafia! Assolto solo per prescrizione
Rese note le motivazioni dell'assoluzione in appello
"Dei suoi comportamenti risponderà davanti alla storia"
I giudici: "Fino al 1980
Andreotti trattò con la mafia"
"Dopo quella data l'atteggiamento cambiò"
Giulio Andreotti
PALERMO - Giulio Andreotti ha dimostrato
"un'autentica, stabile ed amichevole disponibilità verso i mafiosi" fino alla primavera del 1980. Da quella data in poi, invece, l'atteggiamento del senatore a vita cambia. Per questo, per i fatti antecedenti quell'anno, va applicata la prescrizione, per quelli successivi va pronunciata l'assoluzione. Eccole le motivazioni della sentenza che il 2 maggio ha assolto Andreotti dall'accusa di associazione mafiosa. Ben 1.520 pagine suddivise in 6 volumi e 45 capitoli per spiegare che la la Corte "ritiene che una autentica, stabile ed amichevole disponibilità dell'imputato verso i mafiosi non si sia protratta oltre la primavera del 1980". Dopo tutto cambia. Secondo la Corte, "manifestazioni di disponibilità personale di Andreotti successive a tale periodo sono state semplicemente strumentali e fittizie, comunque non assistite dalla effettiva volontà di interagire con i mafiosi anche a tutela degli interessi della organizzazione criminale: anzi, in termini oggettivi è emerso un, sempre più incisivo, impegno antimafia, condotto dall'imputato nella sede sua propria della attività politica".
Fino agli anni '80 però il giudizio dei giudici è durissimo. "Il senatore Andreotti ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi, ha, quindi, - scrivono i giudici - a sua volta coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss, ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ha loro chiesto favori, li ha incontrati".
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Le motivazioni raccontano di un intreccio di rapporti tra Andreotti e gli esponenti di Cosa Nostra, Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti. Rievocano il ruolo dei cugini Antonino ed Ignazio Salvo. Non ci fu invece nessun faccia a faccia con Totò Riina. E nemmeno il famoso "bacio" tra i due di cui parlarano i pentiti. Ed ancora. Parlando dell'omicidio del presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, il presidente democristiano della Regione Sicilia assassinato dalla mafia il 6 gennaio del 1980, dopo aver intrapreso una decisa azione riformatrice dell'amministrazione siciliana, i giudici scrivono che Andreotti avrebbe indicato agli esponenti di Cosa Nostra "il comportamento" da tenere, li avrebbe indotti "a fidarsi di lui" e a parlargli anche "di fatti gravissimi nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati". In quell'occasione, secondo i giudici, Andreotti cercò di gestire la situazione, ma non vi riuscì e ci fu, anzi, un "drammatico fallimento del disegno di mettere sotto il suo controllo l'azione dei suoi interlocutori". Tentativo che fallì per l'atteggiamento intransigente di Bontade.
Rapporti, azioni e giudizi di cui Andreotti, si legge nelle motivazioni, risponderà "dinanzi alla storia comunque si opini sulla configurabilità del reato".