Azione legale titoli Popolare di Vicenza e Veneto Banca

Ex popolari, ancora quattro procedimenti aperti

Il caso Sorato ha superato l’appello, quello Consoli approda alla suprema corte a Roma

  • Corriere di Verona
  • 10 Apr 2025
Un processo ancora aperto che attende l’ultimo atto, nel caso di Bpvi, a cui si aggiunge un possibile nuovo troncone da aprire. Un procedimento destinato alla Cassazione, un altro in corso, e un terzo filone pronto a diventare un nuovo processo. Mentre i fronti civili sono ancora in alto mare. A quasi otto anni dalla liquidazione, la sentenza definitiva nel processo principale Bpvi risolve solo una delle partite giudiziarie per il crac delle due ex popolari venete.
A Vicenza resta aperto il procedimento a carico dell’ex direttore generale, Samuele Sorato, separato all’inizio per le condizioni di salute dell’ex manager. Il processo è arrivato alla sentenza d’apello il 12 marzo: anche qui la condanna di primo grado, sette anni, è stata ridotta per prescrizione a 3 anni e 8 mesi. Anche questo processo dovrà affrontare la fase finale in Cassazione.
A Vicenza, poi, si vedrà se la sentenza definitiva sul primo troncone avrà effetti sul procedimento sulla bancarotta, che la procura sta valutando. La conferma delle condanne a Zonin e ai manager potrebbe infatti essere tra gli elementi capaci di far cadere le riserve per andare avanti su quest’altro fronte.
Nutrito il carnet giudiziario anche nel caso di Veneto Banca. Prescritto a fine 2023 il procedimento sulla truffa nel collocamento delle azioni, che la Procura di Treviso aveva ereditato accumulando i procedimenti aperti da varie procure italiane, anche per Montebelluna si attende che il primo processo, quello all’ex amministratore delegato, Vincenzo Consoli, approdi in Cassazione.
Anche in questo caso, nella sentenza del 30 gennaio 2023, la Corte d’appello di Venezia aveva confermato la condanna per l’ex manager, riducendo però la pena di quattro anni del primo grado a tre. La difesa è ricorsa anche qui in Cassazione. Dopo la decisione della Corte costituzionale, che aveva dichiarato illegittimo perché «sproporzionato» il maxi-sequestro da 963 milioni nel caso Bpvi, che aveva bloccato anche questo procedimento, ora l’udienza, a cui seguirà la camera di consiglio con la decisione finale, è stata fissata per il 30 aprile.
A Treviso è invece ben avanzato lo stato del secondo filone, quello che riguarda la presunta bancarotta, per cui i procuratori Massimo De Bortoli e Gabriella Cama hanno chiesto il rinvio a giudizio, oltre che per Consoli, anche per altri dieci tra manager e amministratori, sulla base di episodi di distrazione e dissipazione che ammontano a 320 milioni di euro. Si è in questo caso in attesa della convocazione dell’udienza preliminare. Ancora aperto poi, sempre sul fronte della popolare di Montebelluna, il processo a Roma contro la società di revisione Pwc. Qui la speranza dei risparmiatori costituitisi parte civile è che, in caso di condanna, ci sia la possibilità di rivalersi concretamente sul colosso della revisione. La sentenza è attesa in autunno.
Sul fronte civile sono invece ancora in alto mare, dopo nove anni, le cause civili per le azioni di responsabilità verso gli ex amministratori approvate nelle assemblee del 2016 delle due banche e ora in capo ai commissari liquidatori.
 
Estratto dell’articolo di Marina Verdenelli per www.ilrestodelcarlino.it
Non ci sono colpevoli per il crac di Banca Marche, conclamato nel 2016 e costato i risparmi di una vita per molti investitori. La Corte di Appello di Ancona oggi ha assolto con formula piena gli altri sei dei 12 imputati complessivi che la vicenda aveva portato a processo.
Diverse le formule assolutorie decise dalla Corte, presieduta dalla giudice Antonella Di Carlo, per la bancarotta fraudolenta: il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto e perché il fatto non costituisce reato.
L'assoluzione è arrivata per Massimo Bianconi, ex direttore generale di Banca Marche che in primo grado aveva preso 10 anni e mezzo di condanna, per Stefano Vellesi, vice direttore generale Area Mercato di Bdm che in primo grado aveva preso 9 anni, per Giuseppe Barchiesi, ex dg Medioleasing (condannato a 7 anni e mezzo in primo grado), Daniele Cuicchi, ex capo servizio commerciale Medioleasing (condannato a 4 anni e mezzo in primo grado), Massimo Batistelli, ex capo area crediti Bdm (condannato a 4 anni e 10 mesi in primo grado) e Giuseppe Paci, ex capo concessione crediti Bdm (5 anni e 8 mesi aveva preso in primo grado).
Un imputato assolto in primo grado,Tonino Perini, ex vice presidente Bdm, aveva fatto appello per la formula assolutoria ma il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Le motivazioni della sentenza usciranno tra 90 giorni. […]
 

Liquidazione delle ex popolari, il conto sale a oltre 17 miliardi

Più di 41 mila creditori chiedono 5,6 miliardi ai commissari: «I soldi non ci saranno»

  • Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
  • 4 Nov 2025
  • Di Federico Nicoletti

Ex popolari, soci e creditori presentano ai liquidatori richieste per 5,6 miliardi di euro. E il conto della messa in liquidazione di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, otto anni dopo, sale così ad almeno 17,6 miliardi. L’aggiornamento di cosa sia costato liquidare i due istituti emerge a valle dell’audizione, tenutasi giovedì scorso, in commissione banche del Senato, presieduta dal vicentino Pierantonio Zanettin, dei tre liquidatori di Bpvi, Giustino Di Cecco, Claudio Ferrario e Francesco Schiavone Panni. Uno squarcio su otto anni d’attività, che poggia ora anche sulla chiusura degli stati passivi delle due liquidazioni, il conto delle richieste di restituzione dei creditori ammesse. Ovvero la dimensione, anche se ancora una volta parziale, del danno indotto dall’azzeramento delle due banche.
I liquidatori Bpvi hanno depositato lo stato passivo già il 20 marzo, al Tribunale fallimentare di Vicenza. Dentro ci sono 28.599 istanze di creditori, per 3.020 milioni di euro. Per metà, 15.143, le richieste riguardano danni per le azioni azzerate delle banche, pari a 2.061 milioni; ma ce ne sono anche 12.611 di obbligazionisti subordinati, per 588 milioni, e 845 di altri creditori, per 370. Di questi 3 miliardi, 2,8 sono di creditori chirografi, quelli a cui i commissari hanno confermato anche giovedì che non ci sono possibilità di restituzione.
Dei 3 miliardi richiesti, i commissari ne escludono 1,6. Tra questi, chi aveva aderito all’offerta di transazione della banca nel 2017, che escludeva qualsiasi altra pretesa, e chi aveva acquistato le azioni prima del 2013.
Il conto c’è già anche per Veneto Banca, i cui liquidatori saranno pure auditi in Senato (doveva essere dopodomani, ma la convocazione è stata spostata). Nello stato passivo, depositato, sempre il 20 marzo, al Tribunale di Treviso, i tre commissari (Alessandro Leproux, Giuliana Scognamiglio
e Giuseppe Vidau) hanno censito meno della metà delle istanze di Vicenza, 12.527, per 2.594 milioni di euro. Nove domande su dieci, 11.087, sono sulle azioni, per 1.523 milioni; ma ce ne sono anche 451 di obbligazionisti subordinati, per 634 milioni, e 989 di altri creditori, per 370. Dei 2,6 miliardi richiesti, i commissari ne escludono 1,6, con lo schema già applicato a Vicenza, ammettendo 1.028 milioni.
In totale, le oltre 41 mila istanze tra le due banche hanno prodotto richieste di restituzione per oltre 5,6 miliardi.
I due stati passivi fanno lievitare ad oltre 17 i miliardi del conto servito per liquidare Bpvi e Veneto Banca, otto anni fa. I 5,6 miliardi si aggiungono ai 6,4 miliardi totali, divisi equamente per due, degli sbilanci di cessione, ovvero la differenza tra gli attivi (impieghi e prestiti) e i passivi patrimoniali (la raccolta dei capitali) acquistati, per un euro, dalle due banche e messi in sicurezza da Intesa Sanpaolo, pari a 102 miliardi di asset (attività per 28,1 miliardi e passività per 31,3 a Vicenza, per 20,1 e 23,3 a Montebelluna).
Differenza che andava pareggiata, e che lo Stato ha caricato sulle liquidazioni, prive di fondi all’avvio, regolandola con due prestiti che Intesa ha
concesso alle Lca (prima all’1% e poi, dal 2022, al 2% di interesse), da restituire, come stabilito dal decreto di liquidazione, davanti a tutto, attraverso le vendite di asset e il recupero dei crediti deteriorati. Di fatto le liquidazioni fin qui hanno lavorato per restituire i due prestiti: l’ultimo conto, aggiornato a giugno 2024, parlava di 5,3 miliardi di incassi (3 a Vicenza, 2,3 a Montebelluna), di cui 5,1 girati ad Intesa (per 2,8 e 2,2). Un vincolo che si avvia alla conclusione. Nel caso di Vicenza (Veneto Banca, da quel che si può capire, pare più indietro), hanno detto i liquidatori in Senato, il debito è ridotto a 187,4 milioni e sarà chiuso con l’ultimo versamento a dicembre (al 30 settembre gli interessi pagati fin qui ammontavano a 161 milioni).
L’elemento positivo è che almeno questo conto è risolto, senza che lo Stato, che garantiva i 6 miliardi, debba rimetterci altri soldi. Quello meno positivo è che quell’onere ha di fatto monopolizzato i recuperi, rendendo impossibile soddisfare i creditori. «Siamo accusati di aver venduto a un euro, ma non è così: lo abbiamo fatto a -3,3 miliardi, differenza che siamo riusciti a recuperare», ha detto il commissario Giustino Di Cecco ai senatori. La beffa è doppia, per chi si era già visto bloccare, con il decreto di liquidazione, la possibilità di dirottare su Intesa le pretese sulle azioni azzerate, ed era stato rinviato alla liquidazione; ma anche lì i fondi non ci sono.
Non è l’unico punto debole. Se è pacifico che i chirografi non vedranno un euro, la questione che si apre è se le due liquidazioni abbiano ancora patrimoni sufficienti da liquidare per coprire il secondo blocco di 5,6 miliardi di euro da restituire: i 4,7 allo Stato, quelli versati a Intesa al momento della liquidazione, come capitale e oneri di ristrutturazione, e i prestiti per 960 milioni, da ripagare, sempre a Intesa, che avevano regolato il conto con la banca dei prestiti acquisiti prima della liquidazione, e rivelatisi poi deteriorati, e restituiti ai commissari. Prestiti garantiti dallo Stato. Il rischio è che lo Stato si veda restituire solo parte dei fondi e debba magari rifondere Intesa. «È evidente che non reputiamo di avere attivo sufficiente per pagare tutti questi crediti e poi anche i chirografi», ha detto, nel caso di Vicenza, sempre Di Cecco in Senato.
Sommando le voci elencate sin qui, si ottiene il conto da 17,6 miliardi. Ancora una volta provvisorio, in realtà, e che potrebbe essere più alto. I 5,6 miliardi chiesti dai creditori s’incrociano con le operazioni di ristoro. La prima è l’opt, la transazione delle due banche, che aveva pagato nel 2017 a oltre 121 mila soci 441 milioni. Era il 15% di un danno stimabile in 2,9 miliardi. La seconda è il Fondo indennizzo risparmiatori, che ha pagato (anche con un altro 25% a chi aveva fatto l’opt) ristori per 1.048 milioni a oltre 86 mila soci di Bpvi e Veneto Banca; il 40% di un danno da 2,6 miliardi. Ma è difficile sommare le tre cifre, non sapendo l’importo dei danni che si sovrappongono, e quindi da eliminare. Almeno ai soci delle venete liquidate sono giunti ristori per quasi 1,5 miliardi.
 

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