Bush-Kerry: verterà sull'economia l'ultimo scontro in tv
di Luca Spoldi , 13.10.2004 16:22
Mentre si avvicina l’apertura di Wall Street, che si preannuncia ricca di annunci sui risultati trimestrali di alcuni nomi noti, gli operatori Usa sembrano pronti a concentrarsi sul terzo e decisivo match televisivo tra lo sfidante Johnn Kerry e il presidente uscente George W. Bush, in gara per la conquista della Casa Bianca a novembre. Dopo gli scontri sui temi della politica estera questa sera ci si concentrerà infatti sugli aspetti economici, dando spazio a temi quali l’occupazione, l’assistenza sanitaria o le tasse. Temi, sperano i principali network americani, che incolleranno davanti alla televisione decine di milioni di telespettatori, bissando il successo dei due precedenti scontri, tra i più seguiti degli ultimi decenni.
Ma su quali numeri vertirà il dibattito? Secondo gli osservatori americani c’è da attendersi che ognuno dei due uomini politici tenti di girare a proprio vantaggio le più recenti statistiche, con Bush che sosterrà la tesi che non c’è un solo numero che non dimostri come la ripresa economica negli Usa mantenga intatta il suo vigore, mentre Kerry si dirà preoccupato del rallentamento che emerge con tutta evidenza da quegli stessi numeri.
Uno per tutti valga l’esempio dei recenti dati sul mercato del lavoro di settembre, l’ultimo ad essere reso noto prima delle elezioni: ad una prima lettura sembrerebbe confermare i timori dei Democratici.
L’incremento delle buste paghe, di sole 96 mila unità contro un’attesa intorno ai 140 mila posti di lavoro in più, ha rappresentato certamente una delusione, tanto più che il tasso di disoccupazione è rimasto stabile solo perché 221 mila persone hanno smesso di cercare lavoro, tanto che se il tasso di partecipazione alla forza lavoro non fosse calato dell’1,4% dai massimi di quattro anni or sono adesso si dovrebbe parlare di una disoccupazione attorno al 7,5% fanno notare gli economisti americani. Ci sono in sostanza 800 mila posti di lavoro in meno negli Usa oggi che non quattro anni or sono, quando l’attuale presidente venne eletto, cosa mai più successa ad un presidente dai tempi di Herbert Hoover. E per di più in molti stati “in bilico” (come l’Ohio) il mercato del lavoro sta offrendo segnali a malapena in linea, se non peggiori, rispetto alla media nazionale.
Molti dei posti di lavoro creati negli ultimi mesi sono poi part time, come testimonia il loro peso percentuale sul totale della forza lavoro americana, ai massimi dal 1997. Di conseguenza il reddito personale sta crescendo negli Usa ad un passo che è a malapena un terzo rispetto a quanto non accada solitamente nelle fasi espansive dell’economia.
Ma proviamo a leggere gli stessi dati come probabilmente farà il candidato repubblicano stasera: dall’agosto dello scorso anno sono stati creati quasi 2 milioni di posti di lavoro, ovvero in media 137 mila in più per ogni mese che passa. Gli uragani che hanno sconvolto gli stati del Sud tra agosto e settembre hanno pesato per almeno 50 mila posti di lavoro contribuendo così a far lievitare la disoccupazione, con il numero di persone che non ha potuto lavorare a causa delle condizioni climatiche salite al massimo dal gennaio del 1996.
In più il Labor Department ha fatto sapere che è possibili si sia verificata una sottostima della crescita dell’occupazione di circa 236 mila unità nei dodici mesi terminati lo scorso marzo, e la revisione al rialzo finale potrebbe essere anche superiore, contribuendo a colmare buona parte del gap in termini di posti di lavoro in questi ultimi quattro anni. In più da che Bush è stato eletto non si è avuta alcuna perdita netta di posti di lavoro (in realtà il totale dei capifamiglia che lavorano è salito di 1,7 milioni di unità), semplicemente a causa dei flussi di immigrazione la popolazione degli Stati Uniti è cresciuta più velocemente della capacità del suo mercato del lavoro di assorbire nuova manodopera. Ciliegina sulla torta, a settembre si è registrata una crescita nel numero di ora lavorate su base settimanale, il che suggerisce che il picco dell’ondata di licenziamenti da parte delle grandi corporation sia ormai alle spalle. Infine, nonostante lo stop di settembre, i nuovi posti di lavoro nel settore manifatturiero ammontano a 70 mila unità da gennaio, rispetto ad un crollo di 463 mila unità dello stesso periodo dello scorso anno. Ancora una volta, oltre alle cifre, conterà la capacità dei due candidati di apparire convincente nelle ricette che offriranno per garantire il migliore futuro possibile all’America, non soltanto a Wall Street.