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S.Berlinzani (Salex): il mercato è assai “lungo” di Euro e “corto” di dollari
di Saverio Berlinzani , 20.10.2004 09:05
Poche novità dal fronte macro ieri con due dati su tutti a cercare di influenzare le price action di mercato: la produzione industriale nel vecchio continente e i prezzi al consumo negli States.
Ebbene, i numeri si sono dimostrati un “non evento” anche se in mattinata la produzione industriale europea aveva sorpreso positivamente il mercato permettendo all’Euro di risalire dai minimi di 1.2450 a 1.2520.
I prezzi al consumo Usa, come già pubblicato ieri in serata, hanno fatto registrare un incremento dello 0.2% mese su mese, in linea con le attese mentre il dato core è salito dello 0.3%.
Anche questo non ha influenzato i prezzi del biglietto verde che non è riuscito a risalire la china non riuscendo mai ad andare sotto quota 1.2490.
Ciò che notiamo da quello che ascoltiamo e da quello che vediamo sul mercato è che per la prima volta da tempi non sospetti la discesa del dollaro appare assai controllata e poco impulsiva, il che è contro la storia del dollaro, fatta di risalite lente e costanti e di improvvise quanto brusche cadute.
La ragione di tale cambiamento sembra essere nel fatto che tutto il mondo finanziario si attende un inevitabile discesa del biglietto verde per cui il posizionamento sul mercato è assai “lungo” di Euro e “corto” di dollari , pertanto ogni nuovo tentativo di risalita della moneta unica è limitato e si deve alimentare di nuove entrate di ordini di vendita di dollari.
Infatti a differenza che in altre occasioni, in cui i movimenti erano guidati da stop loss di posizioni cash e da knock out di opzioni, questa volta non vi sono stop loss al rialzo ma piuttosto al di sotto di certi livelli (oggi posizionati in area 1.2200) vi sono stop loss di posizioni lunghe.
Questo pone dei rischi importanti a coloro che scommettono pesantemente contro la divisa americana, nel senso che eventuali correzioni potrebbero “ripulire il mercato” da queste posizioni assunte in area 1.2350-1.2450 creando quindi movimenti irrazionali e apparentemente illogici.
Un altro aspetto che potrebbe indirettamente influenzare questa discesa diversa alle altre è la vicinanza delle elezioni americane, che arrivano in un momento delicatissimo di congiuntura globale di rischi sul fronte geopolitico , e quindi evitare un eccessivo quanto veloce indebolimento della valuta potrebbe essere importante per l’amministrazione Bush per evitare critiche da un’ opinione pubblica molto sensibile a questi aspetti.
Il tutto non dovrebbe comunque nel medio periodo andare a cambiare lo scenario di un progressivo indebolimento della valuta Usa almeno fino a 1.2950, che ci siamo posti come limite oltre il quale anche la Bce si opporrà ad un eccessivo rafforzamento della valuta unica.
Bisogna però ribadire come il prezzo del petrolio rimarrà l’ago della bilancia per i futuri destini del biglietto verde, senza dimenticare le pressioni continue che vengono esercitate sulla Cina affinché riduca la propria esposizione e posizione di assets denominati in dollari, rivalutando o rendendo flessibile il rapporto $/Yuan da un lato, e riducendo gli acquisti di nuovi dollari, per contribuire a ridurre un deficit americano indubbiamente enorme (5.6% del Pil).
D’altro canto più volte in questa sede , ma non solo , abbiamo posto l’accento sui pericoli di un evento del genere, nel senso che se il gigante asiatico decidesse di accogliere le istanze degli Stati Uniti, ma dall’altro lato decidesse di ridurre almeno in parte le proprie riserve valutarie, il rischio di un dollaro non a 1.3000 ma anche a 1.6000 potrebbe divenire realtà.
Un fatto assolutamente da evitare perché non vogliamo neppure immaginare i riflessi che si avrebbero sui treasuries e sul mercato azionario Usa, e di converso quelli sulla crescita globale.