TASSI E VALUTE
· L’evento più atteso della scorsa settimana sono state le dichiarazioni del presidente della Fed – la banca centrale statunitense – sulla crescita economica Usa. Dopo i deludenti dati occupazionali di sette giorni prima, Alan Greenspan ha definito temporaneo il rallentamento della crescita economica statunitense, ma ha anche mostrato preoccupazioni per i possibili effetti del caro-petrolio. In base alle sue dichiarazioni è quindi chiaro che la Fed aumenterà in modo graduale i propri tassi nel tempo, tant’è che nella riunione che si terrà il prossimo 21 settembre è scontato un ritocco all’insù del tasso ufficiale di solo 0,25 punti. Il mercato obbligazionario ha recepito il messaggio e i tassi Usa a medio e lungo termine
– che molto risentono dello stato di salute dell’economia – hanno registrato una leggera flessione, seguiti a ruota da quelli europei, ai primi fortemente legati. Per esempio, il BTp 4,25% 1/11/09 ha visto salire il proprio prezzo da 103,26 a 103,41, per un calo di rendimento dell’1,4%; il BTp 4,25% 1/8/13 è stato invece scambiato a un prezzo di 100,99 contro 100,56 di sette giorni prima e il suo rendimento è sceso dell’1,7%.
· Se i tassi a medio/lunga sono scesi, quelli a breve, meno influenzati dalle notizie sullo stato di salute dell’economia, sono invece rimasti pressoché invariati, sostenuti dalle dichiarazioni dell’Fmi – il fondo monetario internazionale – su una crescita economica dell’area euro maggiore del previsto. Il BTp 3,5% 15/9/05 è stato così scambiato a 101,15 (101,17 il prezzo della settimana precedente) e il rendimento è rimasto stabile all’1,37%.
· Che i tassi saliranno su entrambe le sponde dell’oceano sembra quindi un fatto scontato: la Fed procederà al graduale rialzo, mentre la Bce – la banca centrale europea – crediamo che prenderà ancora del tempo prima che si decida per un intervento. Con queste prospettive, vi consigliamo di investire la maggior parte dei vostri soldi in obbligazioni a medio termine: i loro rendimenti sono soddisfacenti e la media durata non vi vincolerà a tenerli per il lungo periodo, facendovi perdere i benefici del rialzo dei tassi. Per questo motivo, meglio restare alla larga dai titoli a lunga: quando i tassi saliranno saranno i primi a registrare un calo di prezzo e chi li avrà in portafoglio dovrà venderli in perdita o rinunciare ai nuovi titoli con maggiori rendimenti. Per stabilizzare il vostro portafoglio, inseritevi infine dei titoli a breve: grazie alla vicina scadenza rientrerete presto in possesso dei vostri soldi, che potrete impiegare per affrontare spese impreviste o a breve programmate.
· Fino a metà della scorsa settimana, il cambio dollaro/euro ha mostrato scarse oscillazioni intorno a quota 1,21 dollari per un euro. Il mercato guardava infatti alle dichiarazioni di Greenspan sullo stato di salute dell’economia Usa, giunte le quali il biglietto verde ha perso terreno, superando la soglia di 1,22. In base alle nostre previsioni, il dollaro presenta però buone prospettive di recupero sulla valuta comunitaria, per cui vi consigliamo di acquistare qualche obbligazione in dollari statunitensi per approfittarne. Potete beneficiare di buoni rendimenti derivanti dal favorevole andamento del cambio, anche sottoscrivendo titoli in dollari canadesi, dollari australiani e corone svedesi, oggi sottovalutate nei confronti dell’euro. La fine della scorsa settimana, per acquistare un euro, ci volevano 1,58 dollari canadesi, 1,77 dollari australiani e 9,10 corone svedesi, contro, rispettivamente, 1,58, 1,71 e 9,12 di 7 giorni prima. Nel vostro portafoglio, non dimenticate infine di inserire qualche obbligazione in euro e sterline inglesi. Le prime offrono buoni rendimenti e sono adatte a chi vuole mettersi al riparo dal rischio di cambio; le seconde permettono invece di godere dei tassi inglesi nettamente superiori a quelli europei. La scorsa settimana la valuta britannica ha raggiunto il suo valore minimo dallo scorso maggio – 0,68 sterline per un euro – a causa del dato sul rallentamento in luglio della produzione inglese.
SALDO DELLA BILANCIA COMMERCIALE NEGLI USA (in miliardi di dollari)
A luglio il deficit commerciale si è leggermente riassorbito rispetto al mese precedente, in cui aveva toccato un massimo storico, ma resta a un livello molto preoccupante.
IL CARO PETROLIO FA MALE AL DOLLARO
Quando il prezzo del petrolio sale (linea sottile, scala destera), peggiora la bilancia commerciale Usa per la maggiore incidenza delle importazioni e il dollaro si indebolisce.
Nessuna variazione degna di nota la scorsa settimana per il mercato dei tassi. Sia quelli a breve, sia quelli a medio e lungo termine hanno chiuso sugli stessi valori di sette giorni prima. In un contesto caratterizzato da molte incertezze, il mercato sembra dunque attendere le prossime mosse della Fed – la banca centrale statunitense – che si riunirà questo martedì, prima di prendere una direzione. L’economica Usa, sebbene in crescita, sta infatti mostrando segnali di rallentamento, mentre quella europea stenta ancora a decollare.
· Che i tassi saliranno sembra però un fatto certo, ma incerti sono i tempi in cui questo rialzo dovrebbe avvenire. Secondo noi la Fed continuerà con la sua graduale politica di aumento, per cui, già nella riunione di domani, possiamo attenderci un nuovo aumento di 0,25 punti del tasso ufficiale, che salirà così a quota 1,75%. Non ancora maturi, invece, i tempi per un intervento della Bce – la banca centrale europea. Se i tassi, oggi, dovessero infatti aumentare, la nostra economia, già debole, ne risentirebbe pesantemente. In un contesto di questo tipo, continuate dunque a privilegiare gli investimenti di medio periodo, che offrono discreti rendimenti, con scadenza compresa fra 4 e 7 anni. Alla larga invece dai titoli con scadenze troppo lunghe, che vi provocherebbero sonanti perdite qualora doveste venderli dopo che i tassi saliranno. Lasciate spazio nel vostro portafoglio anche a qualche titolo a breve: potrete utilizzarne i soldi per affrontare spese impreviste o che già sapete di dovere sostenere.
· Sul fonte delle valute, il dollaro ha continuato a soffrire per le passate dichiarazioni di Greenspan, il presidente della banca centrale Usa, sul rallentamento della crescita economica statunitense: un fenomeno confermato la scorsa settimana dal dato sulla produzione industriale, cresciuta meno del previsto. Anche il caro petrolio ha giocato un ruolo non irrilevante per il deprezzamento del biglietto verde. Quando il prezzo del greggio sale, peggiora infatti la bilancia commerciale Usa a causa della maggiore incidenza delle importazioni e il dollaro ne risente (vedi grafico in pagina 1 ). Ecco quindi spiegato il motivo per cui le dichiarazioni di venerdì dell’Opec – l’organizzazione internazionale dei Paesi esportatori di petrolio – di aumentare la produzione giornaliera di greggio è stata recepita dal mercato positivamente e il dollaro, dopo giorni di continuo deprezzamento, è risalito posizionandosi a poco più di 1,22 dollari per un euro come 7 giorni prima.
· Che il dollaro sia sottovalutato verso la moneta unica lo diciamo ormai da tempo. Così come da tempo affermiamo che, nel giro di qualche anno, le nostre previsioni vedono un apprezzamento del biglietto verde. Se volete approfittarne, acquistate dunque una delle obbligazioni in dollari statunitensi che vi proponiamo in tabella. Stesso discorso per la corona svedese, il dollaro canadese e il dollaro australiano: sottovalutate nei confronti dell’euro e, pertanto, con buone prospettive di recupero. La fine della scorsa settimana ci volevano 9,11 corone svedesi, 1,59 dollari canadesi e 1,74 dollari australiani per acquistare un euro, contro 9,10 corone svedesi, 1,58 dollari canadesi e 1,77 dollari australiani di sette giorni prima. Riservate infine parte dei vostri risparmi anche ai titoli in euro e in sterline inglesi: coi primi vi mettete al riparo dal rischio di cambio, mentre coi secondi beneficiate dei tassi oltremanica superiori a quelli euro. Oggi ci vogliono circa di 0,68 sterline per acquistare un euro: quanto una settimana fa.