gipa69
collegio dei patafisici
gastronomo ha scritto:Ciao Cari, arieccomi dopo lunga astinenza, vi posto quest'articolo ben fatto (secondo me). Spero stiate tutti bene. Vado a leggermi qualcosina e torno.
Dal Corriere di oggi:
NEW YORK — L’economia Usa ha la febbre e la Federal Reserve, tagliando i tassi di mezzo punto, le somministra una medicina da cavallo con molti effetti collaterali indesiderati: dall’abbassamento delle difese contro l’inflazione al rischio che i mercati considerino il calo del costo del denaro una mezza «amnistia» per i finanzieri più spregiudicati, arrivati alla resa dei conti con la crisi dei mutui «subprime ». Wall Street festeggia: pochi secondi dopo la decisione della Banca centrale Usa l’indice Dow Jones si impenna di oltre 200 punti, mentre Jim Cramer — popolarissimo e pittoresco conduttore della rubrica «Mad Money» (denaro pazzo) della rete televisiva Cnbc — s’inginocchia con le braccia levate al cielo: «Sul mercato azionario torneranno i compratori, le famiglie consumeranno di più, l’economia riprenderà fiato: questa non è una buona notizia, è manna dal cielo». Ma dietro questa fiammata euforica c’è la realtà di una Fed che fino a qualche settimana fa era decisa a non ridurre il costo del denaro e che invece è stata costretta a farlo e in misura molto consistente: cosa che, date le circostanze, la lascia con ben poche munizioni da usare in caso di un ulteriore avvitamento della crisi. Ben Bernanke, che un anno e mezzo fa, ereditando da Alan Greenspan la guida della Banca centrale, si era dato l’obiettivo di rendere la politica monetaria più trasparente, prevedibile e comprensibile, si ritrova oggi a governare la moneta con i colpi di scena. Davanti a una crisi attesa da molti, ma che ha sorpreso tutti per il modo in cui si è presentata e per la sua complessità, Bernanke non ha certo tirato i remi in barca: ha imposto ai direttori della Fed (alcuni dei quali ancora sabato scorso dicevano di voler lasciare i tassi invariati) un intervento che, favorendo un ulteriore indebolimento del dollaro, fa pagare buona parte del conto della crisi all’Europa che esporta, agli investitori asiatici e mediorientali che hanno i forzieri pieni di biglietti verdi e anche ai consumatori americani che, da un lato, vedono ridursi il costo dei loro debiti, dall’altro pagheranno di più per la benzina e gli altri prodotti d’importazione. Ora l’America corre un grosso rischio: l’inflazione in questo momento sembra sotto controllo, ma con il petrolio di nuovo a livelli record, l’economia cinese surriscaldata (prezzi che corrono al 6,5 per cento) e le materie prime sotto pressione (quelle agricole risentono dell’accresciuta domanda del mercato asiatico, mentre sui cereali si è abbattuto l’effetto «biofuel »), una fiammata può essere dietro l’angolo.
Bernanke ne è consapevole, ma alla fine ha scelto la via che era stata indicata anche dall’altro «grande vecchio» della scienza economica americana: quel Martin Feldstein che molti consideravano il successore «naturale» di Greenspan e che nei giorni scorsi aveva sostenuto la necessità di un taglio «aggressivo » dei tassi, riconoscendo che ciò potrebbe favorire una ripresa dell’inflazione, ma aggiungendo che, oggi, questo è il minore dei mali. Ecco il nodo: il rischio di un avvitamento della crisi. Chi pensa che Bush abbia scelto Bernanke perché più «malleabile» di Feldstein, oggi penserà che, tagliando i tassi, la Fed ha fatto un favore alla Casa Bianca e ai repubblicani che, dopo otto anni di governo, vorrebbero evitare di andare alle elezioni con le famiglie, che sono state spinte da Bush a comprarsi la casa, «impiccate» ai loro debiti. In realtà la Fed voleva soprattutto evitare di fare un regalo agli speculatori; ha deciso di agire 10 giorni fa quando i dati dell’occupazione hanno presentato — per la prima volta negli ultimi quattro anni—il segno meno. Nei giorni successivi quasi tutti i centri di analisi (e lo stesso Greenspan) hanno segnalato un aumento del rischio di recessione. La Fed ha quindi deciso di intervenire per contrastare la trasmissione del «contagio» finanziario all’economia reale. Certo, con gli strumenti limitati che può mettere in campo, Bernanke non è in grado di invertire le tendenze né di risolvere la crisi dei mutui, mapuò ridare fiducia alle banche e cerca di evitare nuove crisi di liquidità che potrebbero diventare l’incidente capace di trasformare una bassa crescita in una recessione. Al tempo stesso cerca di spingere un Paese che vive da anni al di sopra dei suoi mezzi, verso un riequilibrio doloroso ma inevitabile: meno importazioni, più export e riduzione dei posti di lavoro nelle imprese che si ristrutturano per divenire più competitive. E’ un tentativo di riprendere il cammino che merita l’attenzione di un Paese come l’Italia che, mentre attorno tutto cambia, è ancora una volta tentato di restare a braccia conserte, soddisfatto di essere solo sfiorato dalla crisi dei mutui «subprime». Che, oltretutto, facilita la raccolta di risparmio per finanziare il nostro enorme debito pubblico.
Massimo Gaggi
19 settembre 2007
Non ha munizioni?
Se è per questo ne ha ancora parecchie ma la parola chiave è fiducia.
Questo sistema monetario si regge sulla fiducia nel sistema e sulla fiducia nel denaro elettronico.
Se per qualche motivo questa fiducia scema la realtà si fa molto tetra in brevissimo tempo.
Una situazione in cui i rating si sono definitivamente mostrati carta straccia, in cui mercati di svariati miliardi di dollari risultavano completamente ingessati un trasferimento anche parziale di queste incognite sulle big finanzioarie e la messa in discussione della loro stessa solidità sarebbe stato devastante.
Secondo me Northern Rock è stata la goccia decisiva che ha costretto definitivamente alla mobilitazione delle risors epiù attive. In realtà questo ribasso ora non serve aniente. La trasmissione di un calo dei tassi all'economia reale non è immediato ma per la fiducia era esiziale.