La Cina sta esportando inflazione?
14 Jul 2008
A cura di Rocki Gialanella
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Alcuni esperti sostengono che il gigante asiatico venga utilizzato come capro espiatorio dell’impennata dell’inflazione. Fino a poco tempo fa il mondo si sorprendeva per la generalizzata moderazione dei prezzi in un periodo di forte crescita economica. Eravamo immersi in una fase in cui si tessevano le lodi delle Banche Centrali per l’eccellente lavoro svolto in materia di stabilità dei prezzi e della Cina come esportatrice di deflazione. Dietro questo fenomeno si nascondeva l’integrazione nel commercio mondiale di un’economia con un’offerta di lavoro tanto elevata che solo la Cina è in grado di garantire. Per alcuni anni, questo trend ha esercitato una pressione al ribasso sui salari e sui prezzi delle manifatture domestiche destinate ai mercati esteri.
All’improvviso, il forte aumento dell’inflazione a livello planetario ha messo in moto una revisione dell’ipotesi che voleva un mondo senza inflazione grazie all’operato dei guardiani della stabilità dei prezzi (le Banche Centrali e i lavoratori cinesi).
Anche se le preoccupazioni per l’impennata dell’inflazione si concentrano sulle materie prime e sui beni alimentari, c’è già chi punta l’indice contro la Cina come causa addizionale dell’aumento dei prezzi al consumo. L’inversione del ruolo svolto dalla Cina nell’ambito dell’evoluzione dei prezzi troverebbe fondamento nel surriscaldamento dell’economia domestica, che determinerebbe una scarsità dei fattori della produzione e, pertanto, una crescita dei prezzi.
Per alcuni esperti si tratta di una view molto lontana dalla realtà, almeno per il momento. I prezzi delle esportazioni cinesi non sembrano aver subito sensibili incrementi, anche se pare cosa certa che non abbiano molte chance di scendere ancora, a causa dell’aumento dei costi di produzione imputabili all’energia. I salari, in cambio, sono cresciuti a malapena, confermando un dato che appare sorprendente per un’economia che cresce ad un tasso annuo del 10% da qualche tempo a questa parte.
La chiave per spiegare questa situazione va ricercata nel fatto che l’offerta di lavoro continua ad essere enorme (come si deduce dall’elevata differenza individuabile dal confronto tra i salari urbani e quelli rurali). La crescita del costo delle importazioni statunitensi di prodotti cinesi viene imputata alla cronica debolezza del biglietto verde piuttosto che ad un reale aumento dei prezzi all’esportazione cinesi.
Pertanto, almeno per questa volta, sembrerebbe proprio che la Cina non sta svolgendo il ruolo di minaccia per il futuro dell’economia mondiale. Anzi, secondo questo gruppo di esperti, le esportazioni cinesi a basso costo starebbero svolgendo un ruolo fondamentale nel processo di contenimento dell’inflazione nei paesi industrializzati. Il problema andrebbe analizzato anche dal punto di vista delle imprese cinesi, visto che in un contesto di apprezzamento del renmimbi nel cross con il Dollaro, i margini delle corporate locali export oriented hanno subito una forte contrazione. Ed in questo momento è difficile capire per quanto ancora potranno sopportare questa situazione.
L’opzione più logica per questo tipo di attività – per lo più nelle mani del capitale straniero - sarebbe quella di concentrarsi sul mercato cinese, che presenta ancora margini elevati. Tuttavia, l’ingresso nel mercato domestico è reso difficile dal carattere oligopolistico che domina buona parte dei settori. In definitiva, non si può incolpare la Cina dell’impennata dell’inflazione, ma bisognerà prestare molta attenzione alle conseguenze dell’aumento dell’inflazione sui conti delle imprese cinesi e, attraverso esse, sul resto del mondo. Si tratterebbe di un secondo round inflazionistico, finora sconosciuto ai più.
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