L’Iran fa crollare le Borse del Golfo. Riad perde il 5,5%
di Gabriele Meoni con un’analisi di Morya Longo17 gennaio 2016
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Argomenti: Turquoise Partners | Nimr Al-Nimr | Ali Al-Naimi | Rami Rabii | Saudi Fransi Capital | Borsa Valori | Opec | Riad | Teheran
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Il calo del prezzo del petrolio e la revoca delle sanzioni all'Iran fanno sprofondare le Borse del Golfo Persico. Oggi sui mercati della regione - che sono aperti la domenica- si sono vissute ore davvero difficili: l'indice Tasi della Borsa di Riad ha chiuso in calo del 5,44% dopo aver perso fino al 7% ed è scivolato ai minimi dal marzo 2011, quello di Dubai ha perso il 4,64%, la peggior performance degli ultimi 5 mesi, mentre Abu Dhabi è entrato ufficialmente in una fase ribassista (-4,2%con l’indice in calo del 21% dal picco toccato lo scorso luglio) . Male anche il Qatar (-7,2%) e il Kuwait (-3,2%). Da inizio anno le Borse del Golfo hanno mandato in fumo oltre 800 miliardi di dollari di capitalizzazione.
Il motivo di questi ribassi a catena è semplice: la fine delle sanzioni consente all’Iran di aumentare rapidamente le proprie esportazioni di greggio in un mercato mondiale già alle prese con un eccesso di offerta. Teheran ospita circa il 10% delle riserve globali di petrolio e ha già annunciato di essere in grado di aumentare la produzione di greggio - oggi scesa a 2,7 milioni di barili al giorno dai 3,6 del 2011, prima delle sanzioni, e dai 4 milioni nel 2008 - di 500mila barili nel giro di poche settimane e di altrettanto in sei mesi. Questo ovviamente rischia di spingere ulteriormente al ribasso i prezzi del petrolio, già scesi ai minimi da 12 anni sotto i 30 dollari e di mettere in ulteriore difficoltà le economie del Golfo, che sono tutte greggio-dipendenti. «Il petrolio iraniano sarà sul mercato già oggi o lunedì» afferma alla Bloomberg Nayal Khan, a capo della società d’investimento Saudi Fransi Capital. Una minaccia immediata per l’economia saudita e dei loro alleati sunniti, già ai ferri corti con Teheran dopo l’esecuzione dell’imam sciita iraniano Nimr al-Nimr il 2 gennaio scorso e il successivo assalto della folla inferocita all’ambasciata saudita di Teheran.
Reazione opposta della Borsa di Teheran, che oggi guadagna l’1% dopo il +2% di sabato e tocca i massimi dallo scorso agosto. Il presidente Rohani ha detto che il governo intende attrarre 30 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni. «Ci aspettiamo - dice Rami Rabii, capo della società d’investimenti iraniana Turquoise Partners - che l’economia iraniana cresca a un ritmo annuo del 6-8% nei prossimi anni». Se i sauditi soffrono, insomma, gli iraniani sorridono dopo aver fatto grossi sacrifici nei lunghi anni dell’embargo occidentale.
Nonostante il crollo dei prezzi l’Opec, il cartello dei Paesi produttori lo scorso dicembre non ha trovato un accordo per tagliare la produzione, sollevando critiche e sospetti che in realtà l’obiettivo dei Paesi del Golfo sia quello di mettere in crisi l’industria americana dello shale oil and gas, che in effetti comincia a traballare nei suoi anelli più deboli. Di sicuro il tracollo delle quotazioni sta creando problemi anche ai sauditi, come dimostra il budget da poco varato dal Governo di Riad che taglia i sussidi energetici e apre la strada alle privatizzazioni per arginare un deficit di bilancio lievitato nel 2015 a livelli da crisi greca: il 15% del Pil.
Nonostante la bufera in corso, il ministro saudita del Petrolio Ali al-Naimi ostenta fiducia:«Sono ottimista sul futuro - ha dichiarato stamane da Riad - Le forze di mercato e la cooperazione tra i Paesi produttori conduce sempre al ritorno della stabilità. Questo tuttavia richiede un un po’ di tempo».
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