Per la serie "stavamo scherzavando" o "iniziamo la giornata con un sorriso"...
La prospettiva di un’inflazione superiore al 2,5% tra cinque anni negli Stati Uniti non è più un problema per i mercati. Le ansie che hanno portato alla correzione nelle settimane a cavallo tra febbraio e marzo sono state superate e stamattina si guarda con relativa tranquillità alle comunicazioni della Federal Reserve.
Se anche stasera il governatore Jerome Powell dovesse confermare quanto detto di recente, cioè, che il rialzo dei tassi di mercato non è tale da richiedere un aggiustamento della politica monetaria, le conseguenze non dovrebbero essere rilevanti: gli indicatori sulla volatilità sono infatti quieti.
La domanda di carta degli Stati Uniti resta robusta: ieri sera il Tesoro ha collocato 28 miliardi di Treasury Note a scadenza 20 anni, al tasso di 2,29%, due punti base in meno del rendimento indicato al momento dell’emissione (WI). La quota destinata ai compratori obbligati (Primari Dealers) è scesa al 21%, punto più basso da ottobre.
La curva dei tassi di mercato è ripida come non succedeva dal 2016: il differenziale tra rendimento del decennale e del biennale è a 147 punti base.
I connotati della curva dicono che l’economia degli Stati Uniti è in ripresa ed incorpora nei prezzi gli effetti della crescita: un fisiologico aumento dell’inflazione.
Il grassettato è una cosa sconvolgente...
