NoWay
It's time to play the game
La recessione globale è l'incubo del Forum economico mondiale (WEF), significherebbe riconoscere che l'inflazione alle stelle, la risposta che inevitabilmente devono dare le banche centrali, ma soprattutto la guerra in Ucraina e i confinamenti cinesi rischiano di precipitare l'economia globale in uno shock economico pari a quello della grande crisi finanziaria. Proprio quando, dopo la caduta del Pil nel 2020, ci si aspettava un anno di rinascita.
Il più schietto, fra gli esperti che parlano negli incontri del WEF in una Davos primaverile anziché innevata come ogni gennaio, è forse David Rubenstein, co-fondatore del colosso degli investimenti Carlyle. Che racconta che ai tempi del presidente Jimmy Carter, di cui era consulente, si preferiva chiamare una recessione banana, anziché col suo nome tecnico e spaventoso. Da Tokyo rimbalzano le parole del presidente Joe Biden, negli Usa "una recessione non è inevitabile". Per contro il tedesco Habeck è diretto al limite del pessimismo cosmico: se non risolviamo il grumo di problemi legati alla crisi energetica, alimentare e d'inflazione, "allora stiamo andando verso una recessione globale".
Christalina Georgieva, la direttrice generale del Fondo monetario internazionale, lancia l'allarme sui prezzi alimentari che "continuano a salire, salire, salire" e ricorda che il Fmi già ad aprile aveva tagliato le prospettive di crescita per ben 143 paesi pari a oltre l'80% del Pil mondiale.
Un nuovo peggioramento non si può escludere, spiega l'economista bulgara: ma al Fmi una recessione globale "non la vediamo in questo momento". Certo, "non significa che sia da escludere".
Il problema è che tutto dipenderà dagli sviluppi dell'aggressione russa in Ucraina, dalle decisioni di Pechino, dall'impatto che il dollaro forte avrà sulle economie emergenti (si rischia uno shock per i più indebitati in valuta estera). E anche dalle banche centrali. Se la Federal Reserve va dritta come un treno sulla sequenza di rialzi aggressivi dei tassi da mezzo punto, la presidente della Banca centrale eurpea (Bce) Christine Lagarde cerca di delineare la strada graduale di Francoforte: dopo un rialzo dei tassi a luglio, la Bce potrebbe "essere in grado di uscire dai tassi di interesse negativi entro la fine del terzo trimestre". Parole che implicano, col tasso sui depositi ora a -0,50%, due rialzi da 25 punti base, uno a luglio, l'altro in settembre. "L'accordo è praticamente fatto, perché c'è consenso crescente", spiega a Davos il governatore francese François Villeroy de Galhau. Che però indiscrezioni rimbalzate sulla Bloomberg s'incaricano subito di smentire: l'uscita di Lagarde avrebbe fatto arrabbiare i falchi, che vorrebbero una stretta più aggressiva.
Il più schietto, fra gli esperti che parlano negli incontri del WEF in una Davos primaverile anziché innevata come ogni gennaio, è forse David Rubenstein, co-fondatore del colosso degli investimenti Carlyle. Che racconta che ai tempi del presidente Jimmy Carter, di cui era consulente, si preferiva chiamare una recessione banana, anziché col suo nome tecnico e spaventoso. Da Tokyo rimbalzano le parole del presidente Joe Biden, negli Usa "una recessione non è inevitabile". Per contro il tedesco Habeck è diretto al limite del pessimismo cosmico: se non risolviamo il grumo di problemi legati alla crisi energetica, alimentare e d'inflazione, "allora stiamo andando verso una recessione globale".
Christalina Georgieva, la direttrice generale del Fondo monetario internazionale, lancia l'allarme sui prezzi alimentari che "continuano a salire, salire, salire" e ricorda che il Fmi già ad aprile aveva tagliato le prospettive di crescita per ben 143 paesi pari a oltre l'80% del Pil mondiale.
Un nuovo peggioramento non si può escludere, spiega l'economista bulgara: ma al Fmi una recessione globale "non la vediamo in questo momento". Certo, "non significa che sia da escludere".
Il problema è che tutto dipenderà dagli sviluppi dell'aggressione russa in Ucraina, dalle decisioni di Pechino, dall'impatto che il dollaro forte avrà sulle economie emergenti (si rischia uno shock per i più indebitati in valuta estera). E anche dalle banche centrali. Se la Federal Reserve va dritta come un treno sulla sequenza di rialzi aggressivi dei tassi da mezzo punto, la presidente della Banca centrale eurpea (Bce) Christine Lagarde cerca di delineare la strada graduale di Francoforte: dopo un rialzo dei tassi a luglio, la Bce potrebbe "essere in grado di uscire dai tassi di interesse negativi entro la fine del terzo trimestre". Parole che implicano, col tasso sui depositi ora a -0,50%, due rialzi da 25 punti base, uno a luglio, l'altro in settembre. "L'accordo è praticamente fatto, perché c'è consenso crescente", spiega a Davos il governatore francese François Villeroy de Galhau. Che però indiscrezioni rimbalzate sulla Bloomberg s'incaricano subito di smentire: l'uscita di Lagarde avrebbe fatto arrabbiare i falchi, che vorrebbero una stretta più aggressiva.