Certificati di investimento - Capitolo 9

Accordo commerciale USA - EUROPA

đź’° Un accordo che costa caro all'Europa (e ai nostri portafogli)

Trump si è mangiato Von der Leyen a colazione. Lo ha detto Orban, ma ad essere sincero la penso in maniera molto simile.
Celebrato come un successo storico, l’accordo commerciale siglato tra Stati Uniti e Unione europea a Turnberry somiglia più a una tregua provvisoria che a una vera pace. Con una tariffa doganale unica al 15% su tutti i beni europei, Donald Trump può rivendicare un risultato politico spendibile in patria, mentre Bruxelles evita lo spettro di dazi al 50% e incassa qualche apertura sul mercato americano. Ma dietro l’apparente equilibrio, l’asimmetria resta evidente.

Il compromesso arriva dopo mesi di escalation unilaterale da parte degli Stati Uniti. Prima dell’intesa, Washington aveva già imposto tariffe punitive su acciaio, alluminio e auto europee, mentre l’UE, confidando nella diplomazia, aveva evitato ritorsioni immediate. Aveva però pronto un pacchetto da 93 miliardi di dollari di contro-dazi, che sarebbe scattato ad agosto. La minaccia americana di alzare le tariffe al 30% entro il 1° del mese ha cambiato tutto. L’Europa ha ceduto, e ha firmato.

Il prezzo è elevato. Oltre alla tariffa del 15% su tutti i beni, con aumenti rispetto al passato per numerosi settori, l’UE si è impegnata a investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti e a spendere 750 miliardi in energia americana—gas, petrolio e nucleare—entro la fine del mandato di Trump. Una somma colossale che segna, nei fatti, una nuova dipendenza energetica: finita quella da Mosca, comincia quella da Washington. E mentre si discute anche di ulteriori acquisti di armamenti americani, i benefici per l’industria europea restano incerti.
 
Da quell'analisi:
Va in ogni caso ricordato che il dazio è pagato dagli importatori, cioè dall’economia che lo impone. E gli stessi modelli indicano che oltre il 90% del costo del dazio sarà sostenuto dagli attori economici interni agli Stati Uniti, in particolare importatori e consumatori. Solo una piccola quota viene in genere “assorbita” dall’esportatore attraverso una riduzione dei prezzi. E, considerando che il deprezzamento del dollaro già obbliga gli esportatori europei a farsi carico di una perdita del 13%, è difficile che siano disposti a sobbarcarsi anche il peso aggiuntivo dei dazi.
E con ciò? Gli esportatori ci rimettono perché venderanno meno
 
Accordo commerciale USA - EUROPA

đź’° Un accordo che costa caro all'Europa (e ai nostri portafogli)

Trump si è mangiato Von der Leyen a colazione. Lo ha detto Orban, ma ad essere sincero la penso in maniera molto simile.
Celebrato come un successo storico, l’accordo commerciale siglato tra Stati Uniti e Unione europea a Turnberry somiglia più a una tregua provvisoria che a una vera pace. Con una tariffa doganale unica al 15% su tutti i beni europei, Donald Trump può rivendicare un risultato politico spendibile in patria, mentre Bruxelles evita lo spettro di dazi al 50% e incassa qualche apertura sul mercato americano. Ma dietro l’apparente equilibrio, l’asimmetria resta evidente.

Il compromesso arriva dopo mesi di escalation unilaterale da parte degli Stati Uniti. Prima dell’intesa, Washington aveva già imposto tariffe punitive su acciaio, alluminio e auto europee, mentre l’UE, confidando nella diplomazia, aveva evitato ritorsioni immediate. Aveva però pronto un pacchetto da 93 miliardi di dollari di contro-dazi, che sarebbe scattato ad agosto. La minaccia americana di alzare le tariffe al 30% entro il 1° del mese ha cambiato tutto. L’Europa ha ceduto, e ha firmato.

Il prezzo è elevato. Oltre alla tariffa del 15% su tutti i beni, con aumenti rispetto al passato per numerosi settori, l’UE si è impegnata a investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti e a spendere 750 miliardi in energia americana—gas, petrolio e nucleare—entro la fine del mandato di Trump. Una somma colossale che segna, nei fatti, una nuova dipendenza energetica: finita quella da Mosca, comincia quella da Washington. E mentre si discute anche di ulteriori acquisti di armamenti americani, i benefici per l’industria europea restano incerti.

questo è il vero punto critico...
 
Tutto logico tutto condivisibile
Il problema è che negli Stati Uniti ora ci dovrebbe già essere, se la matematica non è un’opinione, un’inflazione a due cifre…
Perché se io aumento i prezzi dei prodotti importati i consumatori pagano gli aumenti di quelli che vengono tassati e anche di quelli che non vengono tassati ma adeguano i prezzi per sfruttare il momento e trarne vantaggio…

Oramai penso solo che i dati sull’inflazione siano manipolati o che abbiano scorte che superano l’immaginazione

Facciamo la seconda, prima o poi finiscono o no?
 
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