Certificati di investimento - Capitolo 9

Il premier ungherese Viktor Orban: "Donald Trump si è mangiato Ursula von der Leyen a colazione. Lui è un negoziatore dei pesi massimi, lei dei pesi piuma. L'intesa di ieri è peggiore di quella ottenuta dal Regno Unito. Sarà difficile da vendere come un successo"

Io ho pensato lo stesso e non sono Orban




🗞️ @ultimora24

Sembra che se ne stiano rendendo conto anche gli indici europei...
 
Vabbè ne parliamo fra un anno
Di là saranno ancora più ricchi
Noi saremo più poveri perché dovremo tagliare i servizi che abbiamo e loro non hanno
Qui per non fare crollare Mercedes BMW ecc hanno svenduto l’Europa

Imho
1753706400424.png
se
1753706460148.png
1753706520721.png

Senza accordo , con i dazi al 30 , questi dove sarebbero finiti?
 
Mario Draghi, che in economia ha molto da insegnare, ha più volte sottolineato come l'eccesso di regole e la frammentazione del mercato unico all'interno dell'Unione Europea agiscano di fatto come dei veri e propri "dazi autoimposti" che frenano la competitività e la crescita economica.

In particolare, in un'analisi e in diverse audizioni sul futuro della competitività europea (spesso citando dati del Fondo Monetario Internazionale - FMI), Draghi ha fornito le seguenti percentuali:

  • Per il settore manifatturiero, le barriere interne e l'eccesso di regolamentazione potrebbero essere equivalenti a un dazio del 45%.
  • Per il settore dei servizi, la situazione è ancora più grave, con barriere interne che potrebbero equivalere a un dazio del 110%.
Queste cifre evidenziano come la burocrazia, la mancanza di armonizzazione delle normative e la frammentazione del mercato interno siano un ostacolo significativo per le aziende europee, limitandone l'efficienza e la capacità di competere a livello globale, tanto quanto o più di dazi esterni imposti da altri Paesi.
Forse prima ancora di piangere per i "cattivoni" esterni, o di stupirsi perché la UE non ha capacità negoziale, bisognerebbe che la UE stessa si ripensasse di sana pianta.....o è in grado di farlo o è finita.
 
Mario Draghi, che in economia ha molto da insegnare, ha più volte sottolineato come l'eccesso di regole e la frammentazione del mercato unico all'interno dell'Unione Europea agiscano di fatto come dei veri e propri "dazi autoimposti" che frenano la competitività e la crescita economica.

In particolare, in un'analisi e in diverse audizioni sul futuro della competitività europea (spesso citando dati del Fondo Monetario Internazionale - FMI), Draghi ha fornito le seguenti percentuali:

  • Per il settore manifatturiero, le barriere interne e l'eccesso di regolamentazione potrebbero essere equivalenti a un dazio del 45%.
  • Per il settore dei servizi, la situazione è ancora più grave, con barriere interne che potrebbero equivalere a un dazio del 110%.
Queste cifre evidenziano come la burocrazia, la mancanza di armonizzazione delle normative e la frammentazione del mercato interno siano un ostacolo significativo per le aziende europee, limitandone l'efficienza e la capacità di competere a livello globale, tanto quanto o più di dazi esterni imposti da altri Paesi.
Forse prima ancora di piangere per i "cattivoni" esterni, o di stupirsi perché la UE non ha capacità negoziale, bisognerebbe che la UE stessa si ripensasse di sana pianta.....o è in grado di farlo o è finita.

Bingo.
Disamina perfetta.
 
Mario Draghi, che in economia ha molto da insegnare, ha più volte sottolineato come l'eccesso di regole e la frammentazione del mercato unico all'interno dell'Unione Europea agiscano di fatto come dei veri e propri "dazi autoimposti" che frenano la competitività e la crescita economica.

In particolare, in un'analisi e in diverse audizioni sul futuro della competitività europea (spesso citando dati del Fondo Monetario Internazionale - FMI), Draghi ha fornito le seguenti percentuali:

  • Per il settore manifatturiero, le barriere interne e l'eccesso di regolamentazione potrebbero essere equivalenti a un dazio del 45%.
  • Per il settore dei servizi, la situazione è ancora più grave, con barriere interne che potrebbero equivalere a un dazio del 110%.
Queste cifre evidenziano come la burocrazia, la mancanza di armonizzazione delle normative e la frammentazione del mercato interno siano un ostacolo significativo per le aziende europee, limitandone l'efficienza e la capacità di competere a livello globale, tanto quanto o più di dazi esterni imposti da altri Paesi.
Forse prima ancora di piangere per i "cattivoni" esterni, o di stupirsi perché la UE non ha capacità negoziale, bisognerebbe che la UE stessa si ripensasse di sana pianta.....o è in grado di farlo o è finita.
Manca un pezzo: per riuscire ad andare d'accordo in Europa (quindi essere una vera unione) che è una precondizione per ridurre inefficienze varie, è necessario cedere un pò di sovranità nazionale, come ad esempio ELIMINARE IL POTERE DI VETO DEGLI STATI. E' inutile girarci intorno.
 
Be sicuramente più sotto ma nessuno è andato a vedere il bluff di Trump
15 è meglio di 30, 15 con le braghe abbassate e genuflessi è meglio di 30, 15, con le braghe abbassate, genuflessi e incaprettati è sempre meglio di 30?

Boh..ce lo diranno i profit warning

Una prima analisi sugli effetti dell'accordo...

 
Una prima analisi sugli effetti dell'accordo...

Da quell'analisi:
Va in ogni caso ricordato che il dazio è pagato dagli importatori, cioè dall’economia che lo impone. E gli stessi modelli indicano che oltre il 90% del costo del dazio sarà sostenuto dagli attori economici interni agli Stati Uniti, in particolare importatori e consumatori. Solo una piccola quota viene in genere “assorbita” dall’esportatore attraverso una riduzione dei prezzi. E, considerando che il deprezzamento del dollaro già obbliga gli esportatori europei a farsi carico di una perdita del 13%, è difficile che siano disposti a sobbarcarsi anche il peso aggiuntivo dei dazi.
 
Accordo commerciale USA - EUROPA

💰 Un accordo che costa caro all'Europa (e ai nostri portafogli)

Trump si è mangiato Von der Leyen a colazione. Lo ha detto Orban, ma ad essere sincero la penso in maniera molto simile.
Celebrato come un successo storico, l’accordo commerciale siglato tra Stati Uniti e Unione europea a Turnberry somiglia più a una tregua provvisoria che a una vera pace. Con una tariffa doganale unica al 15% su tutti i beni europei, Donald Trump può rivendicare un risultato politico spendibile in patria, mentre Bruxelles evita lo spettro di dazi al 50% e incassa qualche apertura sul mercato americano. Ma dietro l’apparente equilibrio, l’asimmetria resta evidente.

Il compromesso arriva dopo mesi di escalation unilaterale da parte degli Stati Uniti. Prima dell’intesa, Washington aveva già imposto tariffe punitive su acciaio, alluminio e auto europee, mentre l’UE, confidando nella diplomazia, aveva evitato ritorsioni immediate. Aveva però pronto un pacchetto da 93 miliardi di dollari di contro-dazi, che sarebbe scattato ad agosto. La minaccia americana di alzare le tariffe al 30% entro il 1° del mese ha cambiato tutto. L’Europa ha ceduto, e ha firmato.

Il prezzo è elevato. Oltre alla tariffa del 15% su tutti i beni, con aumenti rispetto al passato per numerosi settori, l’UE si è impegnata a investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti e a spendere 750 miliardi in energia americana—gas, petrolio e nucleare—entro la fine del mandato di Trump. Una somma colossale che segna, nei fatti, una nuova dipendenza energetica: finita quella da Mosca, comincia quella da Washington. E mentre si discute anche di ulteriori acquisti di armamenti americani, i benefici per l’industria europea restano incerti.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto