Oggi come oggi, la stragrande maggioranza dei preservativi venduti e utilizzati in Italia sono in lattice, un materiale che ha pro e contro: protegge da malattie e gravidanze indesiderate nel 98 per cento dei casi, ma non trasmette bene il calore del corpo del partner, ha un odore sgradevole e, a detta di molti, rende il coito meno naturale. Un altro problema sono le taglie standardizzate. Nel 2010 un team di ricercatori americani
ha chiesto a 436 uomini se l’ultimo preservativo di cui si erano serviti era comodo e il 44 per cento di loro ha risposto di no: a volte era troppo stretto, a volte troppo corto, a volte si sfilava. Non è una mera questione di comfort: chi si trova male con il condom è più propenso a rimuoverlo prima della fine del rapporto e a non volerlo usare in futuro. Insomma, per molti fare l’amore con il preservativo è come fare la doccia con l’impermeabile, magari della misura sbagliata. A nulla valgono i più recenti ritrovati dell’industria: condom colorati, profumati, ritardanti o extra-lubrificati. Il fatto è che dagli anni ‘30, quando è iniziata la produzione industriale dei preservativi srotolabili in lattice, di innovazioni sostanziali non se ne sono viste: il profilattico, da allora, è rimasto più o meno lo stesso. E la cosiddetta “condom compliance”, cioè la disponibilità a servirsene in modo sistematico, continua a essere bassa. Con buona pace degli spot e dell’educazione sessuale nelle scuole. Questo significa che sul mercato c’è ampio spazio per un prodotto migliore, e da parecchio tempo. La posta in gioco non è certo bassa: in Italia, nel 2014, sono stati venduti 83 milioni di profilattici, per un totale di 77 milioni di euro.