CI SARANNO SEMPRE DEI SASSI SUL TUO CAMMINO. DIPENDE DA TE SE FARNE DEI MURI O DEI PONTI

Bisogna far presto e bene perché si muore diceva un caro amico a cui devo molto.

Le più grandi economie del mondo ossia quelle di SU, Cina e Ue sono in piena guerra commerciale tra loro
in un momento in cui anche la supremazia del dollaro e il relativo ordine mondiale da esso sotteso risulta pericolosamente in discussione.

L’Europa ha nascosto i sintomi delle proprie patologie per rafforzarsi nei confronti del resto del mondo; ha, però, aumentato la sua dipendenza dalla congiuntura internazionale,

Ha, inoltre, influito negativamente sulla ripresa mondiale e sta soffiando sulle tensioni geopolitiche.

La crisi che attraversa non a caso è una crisi di fiducia reciproca tra i suoi membri.
Non solo non ci si fida più l’uno dell’altro ma spesso ci si offende e insulta reciprocamente e sistematicamente
, fino ad evocare nuovamente quei demoni nazionalistici che si volevano fugare.
È comunque necessario un recupero del margine di azione nazionale da distinguere decisamente dal discorso nazionalistico.


Le condizioni per cui il conflitto da commerciale possa degenerare in militare ci sono tutte.
È nel cercare di arricchirsi alle spalle degli altri (accumulando surplus a spese dei deficit altrui), come è nella logica della scelta mercantilista,
il suo tratto profondamente guerrafondaio che conduce inesorabilmente dalle guerre commerciali alle guerre combattute con gli eserciti.

Tutto sembra purtroppo muoversi in questa tragica direzione:

i cinesi hanno preso ad armarsi a ritmo crescente (già oggi spendono un quarto del budget militare americano);

la aggressiva estensione della Nato verso Est;

la rottura del trattato INF;

la adozione di dottrine militari quali il First Strike Atomico a sostituzione del più rassicurante (si fa per dire…) equilibrio del terrore dei tempi della prima guerra fredda;

la declassificazione di armi nucleari depotenziate, da strategiche a tattiche, ossia usabili nei teatri di guerra convenzionale (vedi il documento Nuclear Operations);

la preparazione alla guerra che procede spedita, come riportato nel documento Providing for the Common Defence,
da cui si evince come gli statunitensi, pur consapevoli che stavolta non sarà una passeggiata
e che il popolo americano dovrà essere pronto a subire enormi perdite di beni e vite umane,
finanche sul proprio territorio nazionale, la guerra sia ormai da considerarsi necessaria non trattandosi ormai di decidere se, ma solo quando…

Non è a caso che i nostri costituenti, con alle spalle le grandi crisi economiche provocate da quegli stessi sistemi economici liberisti/mercantilisti,
che oggi hanno ripreso il sopravvento, e che allora portarono ai totalitarismi e alle grandi guerre globali ne fossero pienamente consapevoli,
e la nostra Costituzione dichiararono di scriverla in modo tale che non accadesse mai più.

Dai verbali della Costituente:

«Se si lascia libero sfogo alla legge della libera concorrenza e alla libera iniziativa animata solo dal fine del profitto personale,
si arriva pur sempre al super capitalismo e così a quelle conseguenze fra le quali primeggia la guerra tremenda che fu la rovina di tanti popoli»

Gustavo Ghidini, 1947

«è effettivamente insostenibile la concezione liberale in materia economica, in quanto vi è necessità di un controllo
in funzione dell’ordinamento più completo dell’economia mondiale, anche e soprattutto per raggiungere il maggiore benessere possibile.
Quando si dice controllo della economia, non si intende però che lo Stato debba essere gestore di tutte le attività economiche,
ma ci si riferisce allo Stato nella complessità dei suoi poteri e quindi in gran parte allo Stato che non esclude le iniziative individuali, ma le coordina, le disciplina e le orienta»

Aldo Moro, 1947
 
Auto elettrica.......

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una Tesla in panne ha preso fuoco mentre veniva trasportata da un carro attrezzi,
distruggendo se stessa ed il veicolo di assistenza in un rogo di dimensioni impressionanti.
 
Giovanni Zibordi pone in luce la “Yenizzazione” dell’euro, con la moneta europea che sta seguendo il processo dello Yen giapponese degli anni ’90.

A proposito, non ne parla nessuno ma l'Euro sta (lentamente) collassando…

il mondo finanziario si indebita in euro perché ci sono tassi sottozero… e vanno short euro per proteggersi
poi un giorno… tutto si inverte ci sarà un patatrac come con lo Yen anni fa pic.twitter.com/3OfwqnmT6w

— Giovanni Zibordi (@gzibordi) September 26, 2019

Che cosa succede?

Pensate di essere un cittadino USA o Canadese o Australiano. Volete comprare una casa con un mutuo.
La vostra banca vi propone un tasso fisso al 3,5% in dollari, poi però vi propone anche un mutuo in euro all’ uno per cento.

Voi siete ingolositi ed accettate, magari perfino con una clausola con cui vi coprite da una rivalutazione dell’euro.

Dove la Banca estera si procura i fondi in euro per i prestiti?

Dal mercato interbancario internazionale, quindi da una banca europea che ha ottenuto fondi a costo molto basso dalla BCE e che ha disponibilità liquide.

Ora il prestito è in euro, ma la famiglia americana o canadese o australiana deve spendere dollari per acquistare la casa.
Quindi, una volta incassati gli euro li cambierà nella valuta del proprio paese, ma questo accentuerà la spinta al ribasso dell’euro
rispetto alle altre valute perché sul mercato ci sarà una vendita di euro pari agli euro ottenuti in prestito dalla banca estera.

Questa situazione di tassi bassi non può però esistere per sempre e prima o poi avremo un’inversione della tendenza.

Inoltre la necessità di pagare capitale ed interessi in euro creerà, progressivamente, nel tempo, una spinta all’acquisto di euro sul mercato.

Come accadde con lo yen che passò da 135 yen per dollaro del 1998 a 77 dell’ottobre – dicembre 2011,
nell’arco della vita di un mutuo possono sempre esserci delle forti fluttuazioni dovute a mutamenti macroeconomici non prevedibili ex ante.

Anche le politiche monetarie super-rilassate sono destinate a finire, prima o poi.

A quel punto i mutui denominati in Euro inizieranno o a saltare, andando in default,
o ad essere convertiti in massa nelle valute nazionali, causando fortissime tensioni nell’economia reale,
nel sistema creditizio e sui mercati valutari. Un bel regalo della Yenizzazione dell’euro.
 
Nel momento in cui si parla di problemi di carattere climatico e di inquinamento ambientale
vi presentiamo un interessante grafico nel quale sono indicate, nazione per nazione,
le percentuali di energia derivanti dalla fonte fossile più inquinante, il carbone,
e l’eventuale anno previsto per la loro dismissione.

Notiamo che i principali paesi che utilizzano il combustibile fossile, cioè Polonia, Cechia, Grecia e Bulgaria,
non hanno neanche ancora valutato una possibile data di dismissione:




L’Italia produce il 15% della propria energia dal carbone, e la sua dismissione non sarà per nulla indolore,
anche perché prevista in una data piuttosto ravvicinata, il 2025, come il Regno Unito.

Nessun problema per Francia e Svezia che producono quantità minime di elettricità dal fossile,
ma si appoggiano la prima al nucleare e la seconda anche all’idroelettrico.

Insomma, le giornate sul clima sono utili, ma lo sarebbero di più altrove…

Senza contare che la Cina ottiene il 70% della propria energia dal carbone e, per essere più verde, punterà sul nucleare..

 
In questi anni, in cui ognuno di noi è bombardato da messaggi promozionali di scarsa qualità
ai quali prestiamo sempre meno attenzione, si è sviluppato un approccio
che cerca di ottenere il consenso del destinatario per poter comunicare con lui.

Questo approccio si chiama “permission marketing” ovvero “il marketing del permesso”.

Il marketing del permesso, ha come obiettivo il rispetto del potenziale cliente,
al quale non si deve invadere arbitrariamente il suo tempo, il suo spazio
e cosa ancora più importante distogliergli forzatamente l’attenzione dall’attività che sta svolgendo.

A differenza del marketing dell’interruzione (interruption marketing) non genera nei destinatari un senso di rigetto e di rifiuto.

Una volta ottenuto il permesso del potenziale cliente si riesce ad avere la sua attenzione,
a stabilire con lui una connessione che lo trasforma da semplice estraneo in un conoscente
con il quale conversare e che sarà disponibile a ricevere il messaggio.

Da sottolineare che il marketing del permesso segue una logica consequenziale:
se il contenuto e le proposte rispondono in modo adeguato alle premesse con cui si ottiene il permesso,
si riuscirà a instaurare con il destinatario un rapporto di fiducia che si consoliderà nel tempo.

Con la fiducia del ricettore si ha il permesso di raggiungere la conversione, cioè tradurre il potenziale interesse in vendite effettive, e quindi in redditività.

Karen Talavera, autrice del sito di MarketingProfs, ha definito “le 6 C” per l’attuazione di una strategia di permission marketing efficace:

  1. consenso consapevole: il destinatario deve dare in modo esplicito il suo consenso; il silenzio non si deve considerare assenso;
  2. criterio: nelle azioni e nelle campagne di permission marketing si deve far decidere al destinatario se ricevere la comunicazione, la frequenza d’invio, la tipologia (commerciale, informatica ecc.), il formato e il canale che preferisce;
  3. chiarezza: la fiducia si basa sulla credibilità e sulla trasparenza; quindi è importante informare il destinatario di eventuali condivisioni dei suoi dati con terze parti,
  4. controllo: l’utente deve essere messo nelle condizioni di revocare il proprio permesso quando lo desidera, e di cambiare i propri dati o preferenze in merito al contenuto;
  5. confidenza: scaturisce dalla fiducia che bisogna conquistare;
  6. conferma: è quella che porta alla sottoscrizione e alla cancellazione; è importante richiederle entrambe.
Nell’ambito del permission marketing si colloca l’email marketing:
una strategia diretta che usa la posta elettronica per comunicare messaggi commerciali al pubblico.

L’email marketing è molto utile per fidelizzare i clienti già acquisiti, per procurarne altri e per rafforzare la brand identity.

Alla sua base deve sempre esserci il rispetto della privacy dei clienti, la protezione dell’immagine del brand
e l’offerta di proposte commerciali di valore. Inoltre rispetto alla classica inserzione pubblicitaria
o alla partecipazione a fiere consente di stabilire una relazione one-to-one con il destinatario,
di personalizzare il messaggio e di correggere il messaggio in base ai risultati ottenuti dai diversi tentativi fatti.
Ma non solo, è anche uno strumento per aumentare la notorietà e per dar luogo a prenotazioni o vendite.

Il messaggio dell’email marketing per suscitare l’interesse del destinatario e stimolarlo all’azione
deve essere costruito tenendo conto delle sue caratteristiche; quindi il messaggio deve essere su misura.

Una strategia di email marketing efficace deve presentare le seguenti caratteristiche:

  • personalizzazione: i contenuti devono essere variati in base alla segmentazione della domanda, perché ogni persona fisica che ha una casella di posta ha gusti e interessi diversi; quindi ad ogni persona si deve proporre delle soluzioni personalizzate tenendo conto delle sue preferenze;
  • chiarezza: il messaggio dell’email deve essere semplice e chiaro per facilitare la comprensione e la lettura:
  • rilevanza: il messaggio deve comunicare al pubblico quello che vuole sapere; deve fornirgli delle informazioni utili;
  • tempismo: si deve individuare il momento ideale per inviare il messaggio per presentare un tema o fare un’offerta.
Oltre ad avere queste caratteristiche una strategia di email marketing deve rispettare dei requisiti legali:
non si devono spedire email a persone che non hanno dato il proprio consenso perché è una violazione nella maggior parte dei paesi,
soprattutto in Europa e negli Stati Uniti; quindi ogni contatto della mailing list deve aver fornito realmente il proprio consenso alla recezione di email promozionali,
e inoltre in ogni email che si invia si deve inserire l’opzione di recedere per via diretta dalla lista.

Con l’email marketing si può trasformare il lead in cliente mediante la tecnica del nurturing dal verbo inglese “to nurture”,
che significa nutrire, coltivare, educare. Attraverso il nurturing si deve sviluppare una relazione con il potenziale cliente per generare interesse e fiducia.

Nel programma di lead nurturing è molto importante inviare al lead mail con contenuti che si adattano
al suo processo individuale di crescita di interesse nei confronti della proposta; processo che attraverso diverse fasi
(awareness, interest, consideration) conduce il lead piano piano a sviluppare la volontà di acquisto.

In ultimo, l’email marketing è anche un buon alleato per una strategia social media,
in quanto permette di spostare l’attenzione sulle presenze e sui contenuti social e aumentare velocemente la distribuzione virale.

Per realizzare l’alleanza email social media si deve rendere condivisibile il contenuto della mail sui social network;
infatti se una newsletter è condivisa da un destinatario sulla propria pagina Facebook
si può subito raggiungere altre 100-200 persone, in base al numero di amici.

Ma non solo, si può anche inserire nella mail un contenuto social, come ad esempio un commento di un cliente, per stimolare l’interazione e incrementare l’attività social.

Romina Giovannoli
 
Questo signore è nato a Beirut, .....ma perchè non se ne torna al paese di origine ?
Lo scopo della sua vita è esternare il proprio livore interno ....mah

Il giornalista su Twitter pubblica il rapporto sull'immigrazione (2018-2019) di Caritas e Migrantes
e si avventura in un'analisi piuttosto discutibile: "Ma che coincidenza: #Milano è la provincia con più residenti stranieri (470.273 cioè il 14,5% degli abitanti)
e contemporaneamente dà il maggior contributo al Pil, con reddito pro capite fra i più alti.
Sicuri che l'immigrazione fa male? #Rapportoimmigrazione @CaritasItaliana".

Parole che hanno scatenato subito la reazione infuriata dei follower dello stesso Lerner.

La teoria che Milano sia tra le città più ricche d'Italia grazie agli immigrati infatti va del tutto dimostrata con cifre alla mano.

E così sui social c'è chi già mette nel mirino Lerner senza usare giri di parole:

"Milano dava il maggiore contributo al PIL italiano (in proporzione anche nel 1880 o nel 1900 o nel 1930 o nel 1960..... (forse anche ai tempi di Napoleone…)
Non ha cominciato a industrializzarsi quando sono arrivati magrebini, nigeriani e pakistani"
, scrive un utente.

Poi c'è chi chiede un'analisi più approfondita di questi dati e così punge Lerner proprio sulle cifre:

"Di questo 14% che contribuisce al Pil, quanti sono maghrebini o centraficani e quanti giapponesi, cinesi, tedeschi, francesi, americani? Ah Gad, ma falla finita va!".

C'è anche chi fa un'altra riflessione contestando la tesi di Lerner:

"Se mettiamo tutti i migranti in Calabria il Pil non cresce, non c’è industria e non c’è commercio.
La provincia di Milano da sempre è quella che da il maggior contributo al Pil anche quando non c’erano migranti.
Io non ho niente contro i migranti ma la sua è informazione faziosa".

Chissà se tra gli immigrati "virtuosi" Lerner trova un posto anche per tutti quelli che sono stati protagonisti di stupri, scippi e rapine..
 
Le vie del populismo non sono infinite, ma certe molteplici e variegate, al punto che talvolta fatichiamo a riconoscerle.

Prendiamo ad esempio il movimento politico e d’opinione che s’è creato su scala globale intorno alla giovane attività svedese Greta Thunberg.

La causa perorata da quest’ultima è certamente nobile e grandiosa:
la salvaguardia del pianeta contro il rischio – dato come imminente – della sua distruzione causata dai cambiamenti climatici.

Ma come definire, se non come tipicamente populiste, le modalità attraverso le quali Greta e i suoi seguaci stanno conducendo la loro battaglia?

Basta una buona causa per giustificare un modo discutibile (se non in prospettiva pericoloso) di mobilitare le masse?

Se il populismo in sé – con la sua miscela di demagogia, culto del leader, manicheismo ideologico, settarismo, appello al popolo ed emotività di massa
– rappresenta, come molti sostengono, un modello politico tendenzialmente ostile nei confronti della democrazia
(delle sue procedure istituzionali e del suo costume) come è possibile non mostrarsi apertamente critici,
o perlomeno criticamente scettici, nei confronti di questa sua variante che potremmo definire “populismo ambientalista”?

Gli stilemi tipici del populismo, se si guarda al modo con cui è cresciuto nel mondo il “fenomeno Greta”
(sino a diventare qualcosa a metà tra una moda politico-mediatica che si fa forte della nostra cattiva coscienza
e un movimento di massa che inclina verso il misticismo para-religioso), sono tutti facilmente riconoscibili.

A partire dal più elementare e costitutivo d’ogni populismo: la divisione del mondo in buoni (i molti) e cattivi (i pochi).

I primi sono gli abitanti del pianeta (il popolo inteso in questo caso come umanità),
i secondo sono i capi di governo e gli esponenti dell’establishment finanziario e industriale mondiale.

I primi sono portatori di una visione politica che persegue la tolleranza, il benessere garantito a tutti,
la pace e un sistema economico che non sia distruttivo della natura e dei suoi fragili equilibri.

I secondi, insensibili ai destini del pianeta e privi di senso morale, rincorrono solo il profitto economico e lo sfruttamento delle risorse.

A questi ultimi è concessa un’alternativa secca: pentirsi dinnanzi al mondo delle loro scelte sin qui scellerate
(cambiando dunque radicalmente le loro decisioni) oppure sparire dalla scena lasciando il posto
ad una nuova classe di politici-sapienti realmente in grado di porre fine al lento degrado dell’ambiente.

Si tratterebbe insomma di scegliere tra il bene assoluto (la salvezza dell’umanità) e il male assoluto (la distruzione del mondo):
ma chi può ambire coscientemente a quest’ultimo obiettivo se non un nemico dell’umanità altrettanto assoluto
per neutralizzare il quale ogni mezzo – dall’invettiva alla messa al bando legale – è dunque consentito?

Peraltro a sollecitare la creazione di una nuova coscienza del mondo, in polemica generazionale
contro i loro genitori sopraffatti dal mito della carriera e della ricchezza materiale, sono i giovani e giovanissimi:
puri e giusti per definizione, non ancora corrotti dai falsi miti di un progresso che non vuole accettare limitazioni, avanguardia priva di colpe della futura umanità.

Ma ad accrescere l’impressione che ci troviamo in piena “estasi populista”, come l’ha definita qualche anno fa uno studioso, sono anche altri fattori.

Ad esempio la natura stessa della leadership esercitata da Greta.
Da lottatrice solitaria e anonima (le foto che la ritraggono seduta dinnanzi al Parlamento svedese mentre sciopera per il clima rinunciando ad andare a scuola)
si è trasformata nell’interlocutore politico-morale dei potenti della Terra.

Nei suoi confronti, i seguaci – sempre più numerosi – oscillano ormai tra un’incondizionata ammirazione,
per la caparbietà con cui ha portato avanti la sua lotta, e una venerazione del tipo che di solito si riserva ai capi religiosi.

Ogni sua parola è quasi un editto, che nessuno osa contestare.
Tiene discorsi in tutti i consessi politici nazionali e mondiali, senza che nessuno osi pubblicamente replicarle nel timore di attirarsi contumelie o reprimende.

In meno di un anno si è trasformata in un capo amato in modo quasi incondizionato, additato come esempio virtuoso e rivoluzionario alle nuove generazioni.

Se non fosse per la causa che sostiene, una simile concentrazione di popolarità su scala mondiale dovrebbe persino fare un po’ paura,
trattandosi del meccanismo fideistico e carismatico che di solito biasimiamo quando si parla del populismo e delle sue derive ultra-personalistiche.

Ma non bisogna trascurare anche altri elementi, che anch’essi ci portano dalle parti del populismo.

Le posizioni che Greta sostiene in materia d’ambientalismo sono intrise, a dir poco, di un allarmismo che sconfina nel millenarismo di marca apocalittica.

Se la terra brucia sino all’esito ultimo della sua devastazione, o peggio ancora se l’umanità
rischia di estinguersi nel giro di un decennio, c’è davvero poco da stare a ragionare o a controbattere.

Ogni discussione o confronto è inibito alla radice.

Peraltro questa visione catastrofista e drammatizzante è stata ormai abbracciata in modo quasi acritico dalla gran parte del sistema mediatico mondiale,
soprattutto quello che opera nella sfera occidentale, al punto tale da essersi convertito in un mantra propagandistico.

Ma il martellamento di poche “verità” ripetute all’infinito, alle quali si può soltanto aderire in modo istintivo, non è esattamente tipico dello stile populista?

Si tratta poi di un unanimismo che dovrebbe cominciare a destare qualche sospetto:
se le grandi multinazionali giocano ormai a chi più rispetta l’ambiente è per salvarsi l’anima,
è perché hanno compreso d’aver sbagliato o è perché in questo cambio del sentimento collettivo
hanno già visto un’occasione per accrescere i loro profitti con in più il salvacondotto morale di ergersi a difensori del pianeta?

È tipico della retorica populista inveire contro il Sistema, minacciare di sovvertirlo alla radice, per poi diventarne un puntello o una parte integrante.

Andiamo oltre.
Continuiamo a dire, quando si tratta di criticare i populismi, che la paura alimentata in una chiave irrazionale
può ingenerare forme d’azione individuale e collettiva che rischiano di diventare ingovernabili politicamente e socialmente distruttive.

La paura non è mai una buona consigliera. Si possono realizzare politiche ambientali razionali ed efficaci,
che per essere tali necessitano ovviamente di una accorta pianificazione (oltre a richiedere molto tempo per sortire i loro effetti),
sotto l’incalzare della più grande e assoluta delle paure: la scomparsa dell’uomo dalla faccia della Terra?

Non parliamo poi della polarizzazione (largamente strumentale e anch’essa pericolosa)
che il radicalismo cavalcato da Greta rischia di determinare: anche questo un aspetto che spesso viene rimproverato ai populismi.

L’idea che chi non abbraccia la sua visione di un mondo sull’orlo dell’abisso sia ipso facto un nemico dell’umanità,
che toglie ai giovani le loro speranze per il futuro, è davvero pericolosa
per il fatto di mettere i governanti di tutto il mondo,
in quanto tali, sul banco degli imputati (oltre a delegittimarli gli occhi delle rispettive opinioni pubbliche,
come se non fossero dei leader democraticamente eletti capaci di perseguire il bene comune, ma degli usurpatori nemici del popolo-umanità).

Ieri persino il presidente francese Macron, pure dichiaratamente in prima linea insieme alla Merkel nelle battaglie europee per l’ambiente,
ha apertamente polemizzato contro Greta e il suo eccesso di manicheismo,
che rischia di aumentare l’antagonismo sociale nel segno di un ambientalismo di stampo fondamentalista.

Le invettive, magari con le lacrime agli occhi, possono servire per creare attenzione intorno ad un problema
e per creare una mobilitazione collettiva sotto la spinta dell’emozione e della paura.
Ma non sono una soluzione politica o una risposta razionale ai problemi che si vorrebbero risolvere.

Per chiudere, parafrasando l’indimenticabile Giorgio Gaber, non deve farci paura solo il populismo che è negli altri,
ma il populismo che è in noi, spesso inconsapevolmente, anche quando ci si batte per una buona causa.
 
Ma sugli 80 euro di mancia, chi paga le tasse ???????????
Ed un conto dettagliato ? No, vero ? Altro che contante ......
Quando si dice un conto salato.

La bellezza di 429 euro e 80 centesimi per due piatti di spaghetti al cartoccio di pesce e acqua.

Un maxi scontrino che si sono trovate di fronte due turiste giapponesi a Roma per un pranzo in un ristorante in pieno centro storico.

Siamo in via Banco di Santo Spirito, nel ristorante Antico Caffè di Marte.

Indubbiamente la mole di Castel Sant’Angelo che si gode alla fine della deliziosa stradina pedonale ha il suo peso.

Ma a sfamare le ragazze sarebbero stati solo due piatti di pasta a base di pesce. Neanche il vino.
Lo scontrino fiscale, datato al 4 settembre scorso, è stato postato su Facebook ed è diventato un caso social,
condiviso e commentato amaramente, tra connazionali giapponesi e italiani.

A sorprendere è il dettaglio del conto: l’importo complessivo è di 349,80 euro, cui si aggiunge una mancia di ben 80 euro, per un totale di 429,80 euro.

Tu chiamale, se vuoi, vacanze romane da “urlo”. Da choc, più che altro.
Le stesse guide turistiche professioniste sbuffano e storcono il naso di fronte al caso del maxi-scontrino.

«Episodi simili causano un danno di immagine alla città di Roma - commentano da Federagit - Guide Turistiche di Roma -
Noi desideriamo una città più accogliente e chiediamo che le forze dell’ordine controllino se c’è stato un abuso nei confronti delle due giovani giapponesi».

Lo scontrino postato ha innescato commenti e persino altre testimonianze: altri scontrini salati emessi dallo stesso ristorante.

«Ho mangiato qui il 27 agosto e siamo stati derubati. Sul menu scrivono 6,5 euro per etto di pesce, ma quando abbiamo finito il pranzo, abbiamo pagato 476,4 euro...»

Il personale del ristorante prova a fare chiarezza:
«Il nostro menu è chiaro, tutto è scritto nel dettaglio, basta guardare i prezzi: massimo 16 euro per uno spaghetto allo scoglio - dichiara Giacomo Jin, ristoratore -
Per pagare quella cifra le ragazze non avranno preso solo gli spaghetti, ma anche pesce. D’altronde, da noi il pesce è fresco: il cliente lo sceglie al bancone, noi lo pesiamo e lo cuciniamo».

Fatto sta che quando si va a pagare, c’è il rischio del mal di pancia.

E la mancia? 80 euro di mancia, perché? È autorizzata?

«Per noi non è obbligatoria - replicano i camerieri - Al momento di pagare chiediamo al cliente se vuole dare la mancia,
e può scegliere tra il 10 e il 20 per cento dell’importo, tutto liberamente», assicurano.

Anche qui i conti non tornano, perché il 20 per cento di 349 euro è 69 euro. E non 80.

Insomma, le due ragazze giapponesi hanno pagato («transazione eseguita», recita lo scontrino), ma quel pranzo non sembra un bel ricordo.

I precedenti d’altronde non mancano a Roma.

Come gli spaghetti d’oro da 695 euro del ristorante Il Passetto dietro piazza Navona,
o lo scontrino pazzo da 81 euro per due hamburger e due caffè vicino San Pietro,
o ancora i 204 euro per alette di pollo e patatine fritte, sempre in zona Vaticano.
 
Anche questa usa il contante ....per farsi pagare.

Una ragazza 26enne nomade e senza patente, possedeva una partita iva per la compravendita di auto
grazie alla quale poteva sfruttare la legge Dini e pagare una cifra agevolata per effetturare i passaggi di proprietà: appena 100 euro a veicolo.

possiede 150 auto

Nonostante la 26enne abbia respinto l'accusa di essere la proprietaria dei veicoli,
gli inquirenti hanno notato delle incongruenze tra la versione fornita dalla donna e i documenti ufficiali.

Questo ha portato ad una denunciata per false dichiarazioni.
Molti dei mezzi coinvolti nell'indagine, partita da Milano, erano inoltre stati utilizzati per compiere reati o fuggire da rapine

I mezzi sono stati prontamente segnalati e cancellati dal Pra e,quando ne verranno individuati di nuovi, saranno immediatamente posti sotto sequestro.

I militari non sanno ancora se la donna ricevesse dei soldi in cambio delle intestazioni fittizie.
Per quanto riguarda le vetture, ad ora ne sono state recuperate solo una quindicina,
alcune delle quali utilizzate per la famigerata truffa dello specchietto.
 
Cosa son capaci di fare certi governanti per mantenere il potere.......lo sappiamo. Di tutto.
Visibilità. Like. ............Anche avallare le tesi di questa gretina.

Il messaggio isterico di Greta Thumberg all’ONU, tra l’altro per niente originale,
(guardate cosa accadde nel 1992) è figlio di una società ricca, talmente ricca
da non aver nessun interesse neanche per le sacche di povertà al proprio interno.

Perchè la richiesta di ridurre del 50% le emissioni di CO” nei prossimi 10 anni, a suon di tasse sul CO2 ,
avrà come effetto quello di tagliare dall’energia a dalla libertà di movimento le sacche più povere delle società avanzate.

Quale sarà però l’effetto sui paesi in via di sviluppo o del terzo mondo?

Abbiamo un insieme di paesi in via di sviluppo che sono riusciti ad assicurare un buon tenore di vita alla propria popolazione,
con aspettative di vita lunghe ed un decente tenore di vita, proprio grazie alla disponibilità di energia a costo ragionevole garantita dai combustibili fossili.

Vediamo come la crescita economica sia collegata direttamente alla crescita delle emissioni di CO2 in questi paesi.

Inziamo con la Malesia



Proseguiamo con il vituperato Brasile



E quindi passiamo alla Turchia:



La crescita economica è stata strettamente legata all’emissione di CO2 per la creazione di energia.

Ora sappiamo che per la Thunberg il concetto di crescita economica sia, di per se, malvagio e condannabile,
ma questo ha delle ricadute che la lei non interessano, ma ai cittadini si ,

come ad esempio poter bere acqua non inquinata dal colera,
poter lavorare i campi non solo con gli strumenti manuali,
oppure godere di una tutela sanitaria di base per tutti.

Vediamo, ad esempio, la correlazione fra emissioni di CO2 in India e mortalità infantile:



La maledetta crescita economica significa anche che muoiono molti meno bambini.

Chiaro che per la Thunberg questo non sia un bene, ma per i loro genitori?. Vediamo un grafico simile per la Cina:



Anche in Cina si vede una correlazione quasi diretta fra emissione di CO2 , quindi crescita economica, e mortalità infantile.

Emissione ci CO2 significa servizi pediatrici, di pronto soccorso, miglior nutrimento, condizioni di vita e di lavoro più sicure.

Tra l’altro nelle sue denunce la nota Greta ha dimenticato di citare proprio la Cina,
la maggior emettitrice di CO2 nel mondo, che non discuterà neppure di limitazioni alle sue emissioni
(ed attenzione, non “Discuterà”, non è detto che poi prenda misure) sino al 2030.

Non si è rivolta all’India, che ha un tasso di crescita di emissioni di CO2, ma all’Europa, in cui le emissioni sono in calo
ed agli USA, dove, con encomiabile efficienza, la produzione di energia è aumentata fortemente con un’emissione minore di CO2 ,
grazie alle rinnovabili ed al passaggio dal carbone al meno inquinante gas naturale.






Alla fine qual’è la soluzione che da Greta ai paesi in via di sviluppo?

Nessuno, semplicemente devono tornare all’estrema povertà.

La soluzione per i popoli di questi paesi è semplice: devono morire.


La soluzione? Più sviluppo, non meno sviluppo.

Più ricerca, non meno ricerca. questa è la soluzione ai problemi ambientali, come rivela questo articolo scientifico.

Però non diciamolo a Greta, se no ci fa il broncio.
 

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