Non sono pienamente daccordo
@HarryBurns , ma c'è anche da dire che una discussione valida su questi temi ci prenderebbe altre 200 pagine (e probabilmente senza alcun esito).
Ma soprattutto sono "idee" che il coemm non mi pare abbia mai presentato con il dovuto dettaglio, per cui è anche difficile poterle affrontare con senso critico in quanto in sostanza prive di contenuto. Mi riferisco in particolar modo al punto 2 e 2b e in generale a tutte le questioni non strettamente legate alla macroeconomia, per cui nulla esclude il fatto che possano esistere modelli differenti (in questo caso di scuola) che possano essere altrettanto validi se non più di quelli attuali. Ad esempio (ma non sono esperto sulla scuola, per cui mi limito a riportare un articolo) in questo link si fa una presentazione del modello scolastico finlandese:
La riforma che ha cambiato la scuola in Finlandia
Che è un modello a quanto pare di eccellenza e che sembrerebbe rientrare tra quelli che non bocciano.
Per cui diciamo che più probabilmente non abbiamo la minima idea di che effetto avrebbe nella formazione dei nostri giovani un modello diverso, dato che la scuola italiana muta con una certa lentezza e non mi pare sia particolarmente diversa da quella che ho vissuto io e quella che mi raccontavano mio padre o mio nonno, se non per dettagli che non cambiano il modello (mio nonno faceva latino alle elementari, ma il modello è sempre stato quello, oppure adesso non c'è piu l'esame di 5a elementare ecc...).
Sul discorso economico la cosa è un bel po piu complicata (neanche io onestamente ho competenze sufficienti, in quanto è un tema che va oltre la macroeconomia di base).
1) IL QUID:
Un reddito di dignità, o di cittadinanza, già paventato in Italia dai 5 Stelle e presente in alcuni paesi del mondo, di per sè non è nè un male ne un bene. Dipende.
In Australia ad esempio questo reddito esiste, lo sfruttano spesso i giovani artisti e sportivi quando, finito il college, provano a far diventare la loro passione un lavoro e non hanno ovviamente i mezzi per mantenersi. Ma, al di là del fatto che la realtà australiana non è quella italiana, sarebbe si pensabile introdurre una cosa del genere qui da noi, ma a tempo però (come d'altronde è pure in Australia). E condizionata anche al reddito della famiglia di provenienza.
In pratica: un'ammortizzatore sociale per chi è in difficoltà, per chi vuole scommettere sul suo futuro, per chi studia, etc è una cosa auspicabile. Un quid mensile distribuito ad ognuno no. Non ha senso.
Nè se è per gli iscritti ad un circolo, nè se viene direttamente dallo stato per tutti i cittadini.
In primis perchè non risolverebbe il problema, perchè al di là di un generico aumento dei consumi e un blando ( e da dimostrare) aumento dell'occupazione, non ingenerebbe molto, poichè non è mirato al lavoro. Un quid/reddito di per sè non è produttivo. Causerebbe invece, con tutta probabilità, un aumento dell'inflazione tale per cui il problema del "non arrivare a fine mese" sarebbe mitigato ma non eliminato, in quanto si alzerebbe anche l'asticella dei costi.
Per non parlare del fatto che, in molti casi, non sarebbe di stimolo al trovare un lavoro o a migliorare quello che si ha.
Io non voglio un quid. Io voglio l'opportunità di lavorare. di produrre qualcosa, di realizzarmi anche (e soprattutto) attraverso il lavoro.
Parliamo allora di tasse, di incentivi all'artigianato, di spesa per le infrastrutture.
[avanzo una ipotesi sperando di non rientrare tra gli economisti vodoo] L'ipotesi di un reddito di cittadinanza ha la sua valenza e i suoi effetti economici propri a secondo del sistema scelto per il suo finanziamento. Ad ogni modo non può considerarsi slegato da una attività produttiva, precedente o in corso, in quanto altrimenti produrrebbe l'effetto inflazionistico che dici. Secondo la stessa logica se non fosse altrimenti anche le pensioni produrrebbero inflazione. In generale ciò non accade perche si tratta semplicemente di una redistribuzione del reddito che è sempre contropartita della produzione ottenuta. (Y=C nella formulazione più elementare, cioè Reddito=Consumi)
D'altro canto, supponendo per assurdo che si voglia ottenere una redistribuzione totale del reddito gli effetti non sarebbero deleteri.
Ipotizza il caso di una unica impresa, di una massa di lavoratori e di uno stato. se lo stato prelevasse il 100 del reddito dell'impresa per redistribuirlo ai cittadini in modo tale che tutti abbiano la stessa capacità di spesa, allora tutti avrebbero un reddito aggregato pari al reddito prodotto nel precedente ciclo, per cui lo stesso potrebbe ripetersi all'infinito supponendo che i consumi restino costanti.
Tuttavia l'impresa, anche se ci fosse maggiore domanda e dunque l'intenzione di consumare e dunque produrre di più, non avrebbe le disponibilità per poter far fronte all'investimento, per cui la situazione rimarrebbe immutata, per cui solo una innovazione tecnologica del processo produttivo potrebbe consentire di poter incrementare la produzione a parità di costo, per cui se mantenesse i prezzi invariati aumenterebbero i salari e dunque tutti consumerebbero di più, oppure se diminuisse i prezzi senza aumentare i salari otterrebbe lo stesso utile (nominale, in una economia monetaria) ma tutti avrebbero comunque una maggiore capacità di spesa/consumo rispetto a prima.
Lo stesso cosi come vale al rialzo vale al ribasso, per cui qualsiasi cosa comporti una riduzione della capacità produttiva è fonte di crisi per l'azienda che dovrà dunque reagire in qualche modo scaricando su qualcuno la minore capacità sopravvenuta di produrre reddito, ad esempio aumentando i prezzi (che ridurrebbe i consumi) o riducendo i salari (soluzione corretta, se possibile), nel caso non si potessero ridurre i salari potrebbe essere tenuto a licenziare qualcuno perche non è in grado di pagarlo ne adesso ne dopo, per cui entrerebbe in una spirale di crisi che porterebbe alla rovina dell'azienda che potrebbe sostenersi solo se non licenziasse(che comporterebbe una ulteriore riduzione della capacità produttiva) e facesse ricorso al debito per pagare i dipendenti (ed è per questo che all'università ci dicevano che i sindacati moderni e i contratti collettivi sono una aberrazione che fa più male che bene [non entro in merito alla questione, ma si sappia che nei modelli è una tesi corretta]).
Nel caso di crescita della domanda, cosi come nel caso di contrazione della capacità produttiva, lo stato per far si che questi fatti si possano esprimere senza creare distorsioni e crisi al mercato deve necessariamente agire a mezzo della moneta.
Nel caso di aumento della domanda si è visto che l'azienda non può finanziare l'incremento produttivo (magari pagando più ore di lavoro ai dipendenti per produrre il più necessario) per cui potrebbe fare ricorso al debito verso lo stato il quale a quel punto aumenta la moneta in circolazione.
E qui c'è il fattaccio, in quanto lo stato può decidere di accordare un prestito all'azienda la quale aumentera redditi e produzione per far fronte allaumento di domanda ma non avrà mai le disponibilità necessarie per coprire il debito che dovrà essere rinnovato ad ogni ciclo e sarà crescente se prevedesse un tasso di interesse. Il modo "sano dunque sarebbe semplicemente che lo stato anticipi con una emissione (senza contropartita di debito) del denaro fresco, o all'azienda per pagare i dipendenti, o direttamente attraverso un aumento del reddito di cittadinanza. Essendoci contropartita produttiva per l'emissione monetaria, questa non genera inflazione.
Espandendo l'ipotesi ad un caso in cui esistesse della disoccupazione, invece che aumentare le ore di lavoro dei gia impiegati l'azienda potrebbe assumere i disoccupati, riducendo la disoccupazione, per cui qui si risponde congiuntamente sia al punto 1 (reddito di cittadinanza) che al punto 3(lavorare la metà allo stesso reddito) ovviamente con le dovute precisazioni:
Nel momento in cui non esistesse più disoccupazione e non fosse possibile aumentare le ore di lavoro, allora l'unico modo per incrementare produzione e consumi sarebbe l'innovazione tecnologica, per cui con meno lavoro si otterrebbe la medesima produzione. Siccome la domanda (latente) non si può espandere all'infinito un po come funziona per l'appetito (ad esempio anche se ne hai le disponibilità non ti vai a mangiare 10Kg di pasta o di carne o di pesce al giorno[perdona l'esempio spurio ma richiederebbe una intera trattazione sulla domanda]), allora la soluzione che terrebbe in equilibrio il sistema sarebbe una riduzione proporzionale dell'orario di lavoro a parità di salario.
Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza questo è finanziabile con una emissione statale fino a che esiste domanda latente nel sistema, mentre per la restante parte (la domanda reale) deve essere finanziata attraverso la redistribuzione il più possibile omogenea del reddito gia disponibile e per il quale esiste gia pari massa monetaria nel sistema. Errori nella quantificazione del valore del reddito di cittadinanza oppure una non omogenea distribuzione della capacità d'acquisto possono generare fenomeni inflattivi, ma se ben gestita rientrerebbe nei limiti di una normale società in crescita.