La City apprezza ma sull’economia non farà «sconti»
Lo strappo francese sul deficitT? L’Italia sta con Parigi perché capisce l’urgenza di ridare primato alla politica in Europa, capisce la minaccia del Front National, capisce, quindi, tutte le ansie di Francois Hollande, ma non si adegua. Il presidente del consiglio Renzi lo ha scandito sull’uscio di Downing street, appena concluso il colloquio con il premier inglese David Cameron, lo ha ribadito anche nell’incontro all’Economist e nella colazione riservata in Ambasciata con imprenditori e manager di imprese britanniche. L’Italia, a differenza della Francia, ha infatti un problema di "reputazione" che Renzi riconosce e tanto basta per imporre cautela. La credibilità passa per il mantenimento degli impegni anche quelli più di forma che di sostanza.
Così, sei mesi dopo la prima visita a Londra, il presidente del consiglio ha tenuto fede alle promesse e si è ripresentato agli investitori per dimostrare di aver sbrigato alcune delle pratiche più urgenti. La comunità economico-finanziaria di Londra chiede fatti e le domande si sono concretizzate nel corso di una serie di incontri culminati con l’intervento alla Guildhall. Win Bischoff, banchiere di lungo corso, ha interpretato il pensiero di molti quando, nel corso della colazione in Ambasciata, ha sollevato obiezioni su un percorso di riforme che privilegia il quadro istituzionale piuttosto che quello economico. La replica di Matteo Renzi, corredata di slides con le misure adottate nel semestre, è stata secca: il legame fra le prime e le seconde è inscindibile. Giustizia, pubblica amministrazione, istruzione devono cambiare corso per garantire il consolidamento di una svolta che Renzi vuole radicale, se deve essere capace di fare dell’Italia un gigante in Europa non troppo diverso dalla Germania. Il tono del capo del governo in questo passaggio, ci è stato riferito, è apparso «spavaldo», dimostrando l’ambizione di voler incidere nel tessuto del Paese. Molto oltre, quindi, la logica aritmetica dei vincoli di Maastricht.
Avrà davvero convinto la City, indefinibile entità che nell’immaginario collettivo ha ormai assunto la fisionomia dei poteri forti britannici? A pranzo Renzi s’è misurato con Bob Dudley ceo di Bp, Vittorio Colao ceo di Vodafone, John Cridland direttore generale di Cbi la Confindustria inglese, Anthony Browne numero uno di British banking association, Leo Johnson, fratello del sindaco di Londra Boris top manager di PwC, Chris Gibbon Smith presidente del London stock exchange, solo per citare alcuni degli ospiti. Interlocutori diversi dai banchieri e businessmen italiani - da Domenico Siniscalco, da Alberto Nagel, da Massimo Tononi, al capo dell’Eba Andrea Enria - che ha visto a cena. Gli inglesi hanno apprezzato, ma, alcuni almeno, mantengono residue riserve. «Ha forza nel presentare il suo programma, ma non mi ha del tutto convinto sulla via che intende seguire per completarlo» ha commentato uno degli ospiti alla colazione che non aveva mai incontrato Matteo Renzi. Le domande sono state numerose spaziando dall’economia alla politica, comprese i rapporti con la Russia, tasto dolente a queste latitudini dove l’interesse economico - basti ricordare l’intreccio Bp-Rosneft - sbatte con relazioni tanto strette quanto conflittuali. Il presidente del consiglio ha spiegato che l’atteggiamento italiano verso Mosca - considerato accomodante dai partner Ue - non nasce da considerazioni di sicurezza energetica, essendo a suo avviso l’Africa la nuova frontiera, ma dall’esigenza di fare chiarezza. «L’Europa deve decidere che atteggiamento avere verso la Russia» ha detto in sostanza , se, cioè, debba prevalere una logica di dialogo oppure la tensione. Un tema affrontato anche nel colloquio con il premier inglese più generalmente dedicato ai problemi di un’Unione che Cameron vuole più «flessibile» e Renzi «più leggera», e quindi, per alcuni aspetti almeno - ad esempio il mercato interno - non del tutto diversa.