COSA FAI NELLA VITA? (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Non so se ricordate. Nel 2016 scrissi di questo accordo, fatto da non si capì chi, sulla base di quali autorizzazioni,
ma che in pratica consegna una zona pescosa di mare, una specie di "fossa" ai Francesi, in cambio di "acqua".
Chi preparò l'accordo non aveva proprio idea su cosa si stava cedendo.

Roma - Giorgia Meloni non ci sta. E davanti alla possibilità che una parte del Mar di Sardegna e del Mar Ligure venga ceduta alla Francia,
la leader di Fratelli d'Italia si prepara a dare battaglia con un esposto alla Procura di Roma presentato con Guido Crosetto
contro il premier uscente Paolo Gentiloni per fare luce su questo trattato tra Italia e Francia che dovrebbe entrare in vigore il prossimo 25 marzo
e che rischia di far perdere all'Italia ampie zone di un mare molto pescoso, oltre al diritto di sfruttamento di un importante giacimento di idrocarburi individuato di recente.

Al governo uscente la Meloni, che aveva già annunciato azioni durissime in ogni sede per scongiurare le conseguenze di questa vicenda dai contorni definiti «torbidi»,
intima di «agire immediatamente per interrompere la procedura unilaterale di ratifica attivata dalla Francia presso Bruxelles,
che in caso di silenzio assenso da parte italiana conferirà de iure i tratti di mare in questione alla Francia arrecando un gravissimo danno ai nostri interessi nazionali».

Dalla Farnesina arrivano rassicurazioni.
Non ci sarebbe alcun pericolo di cessioni di acque territoriali perché
«l'accordo bilaterale del marzo 2015 non è stato ratificato dall'Italia e non può pertanto produrre effetti giuridici».

Ma a Fratelli d'Italia non basta, anzi la Meloni invoca l'intervento del presidente Sergio Mattarella
«affinché questo trattato, che importa variazioni del territorio italiano, si sottoposto al voto di ratifica del Parlamento come previsto dall'articolo 80 della nostra Costituzione».
Nell'esposto, che verrà sottoscritto da tutti i parlamentari di Fdi, si ipotizzano i reati di atti di ostilità e infedeltà contro lo Stato italiano.
«Fratelli d'Italia non permetterà a un governo delegittimato dal voto popolare di regalare a una nazione straniera una parte delle nostre acque territoriali».

Questo mentre nel mar Adriatico, il rigetto nei giorni scorsi da parte del Consiglio di Stato dei ricorsi delle Regioni Abruzzo e Puglia,
ha di fatto dato il via libera alla ricerca di gas e petrolio in un'area di 30mila chilometri quadrati ad una società inglese.

Insomma, noi le ricerche le andiamo a fare all'estero, ma lasciamo i nostri mari a disposizione degli stranieri.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Oh, non riesco mai a trovare un accordo europeo che favorisca l'Italia.
Chissà come mai .........

Lo zucchero italiano è in crisi profonda ed è merito delle nuove normative europee oltre che di un mancato supporto dei governi italiani.

L’ Unione europea ha posto fine al regime delle quote produttive fissate per ogni Paese membro, liberalizzando la filiera dello zucchero.
Francia e Germania hanno aumentato la produzione del 20 per cento, con eccedenze che arrivano a 4 milioni di tonnellate in Europa.
Il settore produttivo italiano è quello che sta subendo più di tutti questa corsa alla produzione.

Un dato, riportato da Il Messaggero, è eloquente per comprendere la crisi del settore dello zucchero.
Eridania, storico marchio della nostra industria, è al 100% made in France.
Nell’estate del 2016 è passata in mano alla Cristal Union e lo zucchero viene prodotto in Francia con barbabietole francesi.

E adesso il rischio è che ci siano altre acquisizioni di nostre aziende che soffrono una crisi del settore senza precedenti.

Altri due stabilimenti industriali, uno a Minerbio in Emilia Romagna e uno a Pontelongo in provincia di Padova, sono a rischio acquisizione straniera.
Un terzo stabilimento, Sadam del gruppo bolognese Maccaferri, si sta trasformando in uno stabilimento di bioplastica.

Insomma, a causa di una liberalizzazione voluta dall’Unione europea, rischia di scomparire un intero settore industriale italiano.
E non è soltanto un problema di stabilimenti, ma di tutta la filiera dello zucchero, a partire dai campi di barbabietole,
passati da 233mila ettari a 36mila con i dipendenti ridotti da 7mila a 1.200.
Il crollo delle barriere apre ora la strada all’arrivo di francesi, tedeschi e produttori del nord Europa.

Il problema è molto più ampio, come ha sottolineato Claudio Gallerani, presidente di Coprob:
“Parliamo tutti di prodotto 100% made in Italy, ma che dire a proposito dell’80% dei prodotti agro-industriali che hanno tra gli ingredienti zucchero non italiano?”,
si domanda il vertice del raggruppamento dei produttori del settore.

Il problema è che questa crisi della filiera saccarifera non è dovuta al dumping degli Stati poveri,
da sempre inclini a questo tipo di politica industriale, ma a quelli ricchi.

Fino al 2016, comprare una tonnellata di zucchero costava 600 euro.
Adesso, grazie alla liberalizzazione del 2017, viene comprato a 350 euro.

A dimostrazione di questo dato, basti pensare che l’Europa impose dazi da 90 euro a tonnellata per i produttori del Sud del mondo,
lasciando che Germania e Francia potessero prendere il controllo del mercato europeo.
Germania e Francia puntano al monopolio del mercato dello zucchero in Europa.
Dobbiamo siglare un patto di filiera per trovare un punto di equilibrio”, scrive Il Sole 24 Ore.


I produttori della filiera saccarifera italiana chiedono a Italia e Unione europea un nuovo accordo che possa aiutare l’industria italiana.

Ma c’è da domandarsi se a Roma così come a Bruxelles ci sia qualcuno realmente interessato a proteggere questo settore.
L’Europa a trazione franco-tedesca non sembra certamente preoccupata a tutelare una filiera di un terzo Paese
e per ora anche i nostri governi non si sono preoccupati eccessivamente di questo argomento.

Come ha detto il presidente regionale di Fedagri/Confcooperative Carlo Piccinini al Corriere della Sera,
“la filiera della barbabietola da zucchero rappresenta un pezzo fondamentale del comparto agroalimentare italiano,
se non si interviene per tempo rischiamo di svendere questo patrimonio alla concorrenza estera”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Non ho ancora letto o sentito una parola di indignazione da parte di coloro che - a parole - condannano .......francesi - tedeschi - italiani - organizzazioni umanitarie .........

Esercito siriano libero ovvero i ribelli moderati.
Era questo il mantra che, fino a ieri, ci veniva propinato ogni giorno.
Poi i miliziani del Free syrian army hanno aiutato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan
a far piazza pulita di migliaia di curdi ad Afrin ed ecco che la narrazione è cambiata e quelli che erano i ribelli moderati si sono trasformati in jihadisti.

Aval Adnan, massimo responsabile dell’intelligence curda, ha spiegato a Lorenzo Cremonesi del Corriere:
“Abbiamo prove incontrovertibili sul fatto che i militari turchi stiano utilizzando pericolosi militanti di Isis
inquadrati nelle milizie che combattono contro di noi ad Afrin.
Abbiamo mostrato ad alcuni tra i 5mila jihadisti chiusi nelle nostre carceri i filmati delle ultime battaglie
e loro hanno riconosciuto con certezza almeno 27 loro compagni di Isis con le unità turche”.


Il legami tra Ankara e islamisti sono noti.
A partire dalla rivolta del 2011, Erdogan ha aperto le porte della cosiddetta autostrada del jihad,
permettendo a migliaia di terroristi di raggiungere la Siria.

Poi è stata la volta del petrolio dell’Isis, contrabbandato nei porti turchi, un episodio raccontato anche dal presidente russo Vladimir Putin.

L’obiettivo era estendere il controllo della Turchia sulla Siria, passando sul cadavere di Bashar al Assad.
L’intervento russo e iraniano ha però cambiato i piani del Sultano.

Afrin rappresenta il laboratorio perfetto dell’esperimento di Erdogan.
Il Reìs è infatti riuscito ad estendere la propria influenza nel nord della Siria, sfruttando il vuoto americano,
il semaforo verde di Putin che ha ritirato le truppe russe dal cantone curdo e, soprattutto, la narrativa ambigua sui ribelli siriani,
visti come moderati o terroristi a seconda delle convenienze politiche.

Alle 8.30 del 18 marzo, Erdogan annuncia la presa della città di Afrin.
Le bandiere turche e quelle dell’Esercito siriano libero sventolano sugli edifici della città.
Più di 1500 curdi sono caduti durante l’assedio. Chi è sopravvissuto è scappato, abbandonando tutto nelle mani degli occupanti.
I miliziani dell’Esercito siriano libero, dipinti come i ribelli moderati, hanno subito cominciato a
saccheggiare la città.

Hanno preso tutto: cibo, macchine, mobili e gioielli.
Alcuni miliziani hanno anche dato fuoco ad alcuni negozi che vendevano alcolici, segno che la presenza del fondamentalismo islamico è forte.

Le forze turche e quelle ribelli hanno fatto saltare in aria anche una statua dell’eroe curdo Kawa, “simbolo della resistenza contro gli oppressori”.
Altri monumenti cari alla popolazione curda sono stati irrimediabilmente sfregiati e distrutti.

Fino a poche settimane fa, l’Esercito siriano libero era visto come il simbolo di quelle forze ribelli
che chiedevano più libertà e democrazia contro il governo di Damasco, tanto da ricevere aiuti militari e finanziamenti dalla coalizione a guida americana.
Poi qualcosa è cambiato.

Per limitare le perdite all’interno dell’esercito turco, Erdogan ha usato i miliziani dell’Fsa come boots on the ground,
rendendo palese ciò che si poteva già ipotizzare da tempo: l’Esercito siriano libero è il braccio armato di Ankara nel nord della Siria.

In questo modo, Erdogan ha mandato in frantumi la narrazione della rivolta siriana.
Per anni, l’Occidente ha supportato la versione di un unico fronte di opposizione a Damasco e allo Stato islamico.

La realtà era però diversa, ma lo si sta capendo solamente adesso.
Ogni fazione ribelle era (ed è) supportata ed eterodiretta da una potenza straniera,
che usa questi gruppi a proprio piacimento.

Succede con l’Esercito siriano libero così come con i curdi.

Inizia ora una nuova fase della guerra.
Nel complesso scacchiere siriano, adesso è chiaro chi sono i giocatori e quali pedine usano.
Ma è ancora molto difficile capire chi sarà il giocatore che farà scaccomatto.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Servita su di un piatto d'argento la classica "presa per il kulo" italiana

Il Cnel è redivivo più che mai, alla faccia di chi avrebbe voluto abolirlo col referendum del 4 dicembre 2016.

Già da alcuni mesi è operativo il nuovo presidente, l'ex ministro Tiziano Treu
e mercoledì il Consiglio dei ministri dovrebbe dare il suo assenso alla nomina dei 48 consiglieri
indicati dai sindacati e dalle associazioni dei datori di lavoro.

Si trattarebbe
di 7 rappresentanti della Cgil,
di 6 di Confindustria e Cisl,
3 della Uil
più di una lunghissima lista di organizzazioni d' ogni genere con un solo candidato che andrebbero a ricostituire l' assemblea del Cnel scaduta ormai da anni.

Ma, spiega il Messaggero, bisognerà aspettare perché i membri del parlamentino del Cnel possano entrare a Villa Lubin, la splendida sede del Consiglio nel cuore di Roma.
La procedura prevede, infatti, che le nomine passino per il consiglio dei Ministri ma vengano poi rese definitive dalla Presidenza della Repubblica.

Questi 48 membri sono in attesa di nomina già da nove mesi, quando erano stati designati dalle rispettive organizzazioni,
ma, poi, sono arrivate altre proposte di nomine da associazioni di datori di lavoro che nel parlamentino del Cnel non erano mai entrate.

Pare infatti che le richieste di posti abbiano superato quota 100 rispetto ai 48 disponibili e ne è nato uno strano caso giudiziario,
curato dall' Avvocatura dello Stato, fatto di ricorsi e controricorsi fra le varue associazioni delle imprese.

Poi le elezioni Politiche hanno bloccato tutto e, nel frattempo, è stato firmato un accordo fra i sindacati confederali e la Confindustria,
la quale ha accettato di certificare il proprio livello di rappresentanza esattamente come i sindacati dei lavoratori.

Villa Lubin, oggi, dispone di appena 4-5 milioni per il 2018 e, se un tempo un consigliere del Cnel
poteva contare su una indennità di 20/25 mila euro l' anno, adesso non ha nessuno stipendio.

In compenso la Finanziaria dell' anno scorso ha dato la possibilità, prima negata,
di ottenere il rimborso delle spese di trasporto e di vitto per i consiglieri che non abitano a Roma purché presenti alle sessioni del parlamentino
 

Val

Torniamo alla LIRA
Palazzo Madama apre le porte ai nuovi senatori. Il primo giorno è stato un po' come il welcome day agli arrivi di un grand hotel ma senza cocktail di benvenuto.

Hotel a cinque stelle, ça va sans dire, vista la carica dei centododici senatori grillini, il triplo rispetto alla scorsa Legislatura (35).
Dall'altro lato c'è la Lega, che ha visto crescere le proprie truppe a da 11 a 58 senatori.
Che i riflettori di questa legislatura saranno puntati su queste due forze politiche è già chiaro.

L'accoglienza, ovvero il disbrigo dei primi adempimenti per i neoeletti è cominciata alle 14,30 di ieri (oggi tocca alla Camera), nella Sala Caduti di Nassiriya.
Le operazioni preliminari andranno avanti per tutta la settimana, anche dopo il giorno della proclamazione, previsto nella seduta del 23 marzo, che sarà presieduta dal senatore anziano Giorgio Napolitano.

Prima a registrarsi l'ex ministro Valeria Fedeli, seguita da un'altra riconfermata, Paola Binetti, che passa in Senato dalle fila dell'Udc della Camera.
Le «matricole» di questa legislatura sono 207, per il resto 38 ex deputati e 75 senatori confermati (inclusi quelli a vita).
A far da ciceroni alle new entry leghiste una squadra di senatori rieletti, ribattezzati «tutor»: avranno il compito di trainare il Carroccio, più affollato rispetto al giro precedente, al Senato.

Non altrettanto organizzata la numerosa squadra di Grillo.
Fuori Palazzo Madama i senatori pentastellati ripetono in coro «c'è entusiasmo».
Riuniti dal capo Di Maio in mattinata, si sono poi riversati in massa a regitrarsi:
dopo un paio d'ore erano una settantina, impazienti di dichiararsi «senatore»: fra loro per primi il giornalisti Primo Di Nicola ed Elio Lannutti.

La neo eletta pugliese Angela Piarulli tradisce un certo smarrimento quando le si chiede se hanno già dei riferimenti interni
per l'organizzazione logistica; preoccupata più che altro per la pettinatura, la neosenatrice chiede consiglio se per la foto di rito i capelli stanno meglio sciolti o raccolti.

Tra le operazioni, il rilascio delle impronte digitali e la dichiarazione dell'iban per l'accredito delle indennità e rimborsi.
Saranno invece i gruppi politici di appartenenza, a fornire dispositivi come tablet o telefoni cellulari per svolgere le funzioni istituzionali.

Alla tessera personale sono poi associati gli ormai noti benefit previsti, come viaggi gratuiti sulle tratte nazionali aree e ferroviarie, sconti, prezzi agevolati per mensa e bar, corsi di lingue.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ahahahahah ora o mai più. E' giunto il momento di tirar fuori i cojoni.

È quanto sostiene il Fondo monetario internazionale in un working paper (un'analisi che contiene proposte di lavoro) intitolato
«Italia: verso una riforma fiscale improntata alla crescita».

Come si evince dal titolo, l'oggetto della disamina è costituito dalle politiche di sviluppo, ma per gli economisti di Washington
(il team che si occupa dell'Italia è guidato dall'ex commissario alla spending review Cottarelli)
nessuna misura espansiva è possibile senza una riduzione della spesa per le pensioni.

Tutto questo perché l'Fmi ritiene tutto sommato giusto lo «scongelamento» dopo 9 anni di blocco delle retribuzioni dei dipendenti pubblici con i nuovi contratti,
mentre considera sbagliato un ulteriore taglio agli investimenti in conto capitale e al sistema del welfare.

Ecco perché la ricetta del Fondo prevede nell'ordine:
eliminazione totale della quattordicesima (per i redditi bassi)
e parziale della tredicesima per i pensionati col sistema retributivo e con il sistema misto retributivo-contributivo,
fissazione di un limite di età per i coniugi e di forti restrizioni per gli eredi per le pensioni di reversibilità,
ricalcolo su base contributiva delle pensioni retributive
e aggiornamento rapido dei coefficienti di trasformazione e delle rivalutazioni.
Allo stesso modo, si propone di rivedere il sistema dei contributi previdenziali avvicinando le aliquote (ora al 33% per i dipendenti e al 24% per gli autonomi).

I rimedi in ambito fiscale, invece, sono già noti al grande pubblico sia perché già evidenziati dall'Ocse e dalla Commissione Ue,
sia perché il programma di +Europa di Emma Bonino in campagna elettorale li aveva fatti propri.

Si tratta di:
istituzione di una property tax sugli immobili (cioè più Imu per tutti),
ampliamento della lotta all'evasione Iva «sguinzagliando» l'Agenzia delle Entrate,
aumento delle imposte su dividendi e capital gain (anche esteri)
e taglio dei bonus fiscali.

In particolare, sostituendo le detrazioni per lavoro dipendente (soprattutto quella delle donne lavoratrici) con un credito d'imposta.
Solo in questo modo, secondo l'Fmi, è possibile abbassare Irpef, Ires e Irap.

Il dato di partenza dell'analisi è già stato vagliato dall'Ocse e dalla nostra Ragioneria generale dello Stato.
La spesa pensionistica in Italia è la più alta in Europa dopo quella della Grecia e si attesta al 16% del Pil.
Le riforme che si sono succedute dalla legge Dini del 1995 alla Fornero del 2011
hanno progressivamente abbassato i costi, ma nel 2025 è atteso il picco di spesa.
Le stime italiane sono considerate ottimistiche perché si fondano su un incremento del tasso di occupazione dal 56 al 66,5% nel 2070
e su una crescita media annua del Pil pro capite dell'1,75 per cento.

Considerata la scarsa produttività del lavoro, concludono gli esperti, non si pongono molte altre alternative in caso di choc.

La pubblicazione di questo report durante le trattative per la formazione di un governo a guida «populista»
(M5S o Lega) dichiaratamente anti-Fornero rappresenta un severo monito.

L'Fmi, assieme a Commissione Ue e Bce, è infatti uno dei componenti della troika.
Se ne deduce che il commissariamento dell'Italia è più di un'ipotesi di scuola.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Avevi fretta di farlo fuori ? Ora speriamo che la Legge faccia il suo corso.

L'ex presidente francese Nicolas Sarkozy è in stato di fermo a Nanterre, dopo essere stato convocato dalla polizia
nell'ambito di un'inchiesta sui finanziamenti illeciti dalla Libia alla sua campagna elettorale del 2007.

L'indagine ha preso il via dopo un'inchiesta condotta dal sito di giornalismo investigativo indipendente Mediapart,
che nel 2012 pubblicò un documento compromettente per l'ex capo dello Stato.
Lo stato di fermo può durare fino a un massimo di 48 ore.
Sarkozy potrebbe essere costretto a presentarsi davanti ai magistrati, al termine dei due giorni di custodia, per essere incriminato.

Di cosa si tratta?
Secondo l'accusa l'intermediario Ziad Takieddine avrebbe trasportato 5 milioni di euro - chi dice in contanti, chi in lingotti d'argento - da Tripoli a Parigi,
tra la fine del 2006 e l'inizio del 2007, prima di consegnarli a Claude Gueant e Nicolas Sarkozy, all'epoca Ministro degli Interni.
Indagato per "complicità nella corruzione di pubblico ufficiale straniero" e "complicità nell'appropriazione indebita di fondi pubblici in Libia",
queste accuse confermano quelle mosse il 20 settembre 2012 da Abdallah Senoussi,
ex direttore dell'intelligence militare della Libia, davanti alla procura generale del consiglio nazionale di transizione libico.

Come scrive Le Monde anche gli appunti di un ex ministro libico del petrolio, Shukri Ghanem,
morto in circostanze misteriose nel 2012, parlerebbero di alcuni pagamenti in denaro a Sarkozy.

Bechir Saleh, ex finanziere di Gheddafi e deputato alle relazioni con la Francia,
recentemente ferito da colpi di arma da fuoco durante un'aggressione a Johannesburg,
rivelò a Le Monde che "Gheddafi aveva ammesso di aver finanziato Sarkozy. Sarkozy nega ma io credo di più a Gheddafi".
 

Val

Torniamo alla LIRA
Non posso accettare una "persona" simile.

E quando gli viene domandato come giudica il giornalista Zazzaroni, Ciacci risponde: "Un cretino, un ingenuo".
 

Val

Torniamo alla LIRA
Neppue all'asilo fanno di queste "c..............". In che mani stiamo cadendo ?

Ieri pomeriggio sulla sua pagina Facebook la «portavoce» all'Europarlamento
pubblica un breve filmato tratto da una datata inchiesta dell'ex conduttrice di Report.

Il titolo è inequivocabile: «Il reddito di cittadinanza è credibile? La Ragioneria dello Stato ha detto sì».

In poche ore il post riceve migliaia di like e inizia a girare su pagine grillini.
È lo spot perfetto per il cavallo di battaglia elettorale, ma si tratta di un'enorme bufala a Cinque Stelle.

Già, perché il video caricato dall'eurodeputata non è solo un estratto dell'originale pubblicato dal Corriere,
ma il prodotto di un accurato «taglia e cuci». L'obiettivo? Cancellare le riserve espresse dalla Gabanelli sul reddito di cittadinanza.

Per smascherare il tarocco basta confrontare il filmato apparso sui canali pentastellati con quello autentico.

La contraffazione è grossolana (e imbarazzante).
 

Val

Torniamo alla LIRA
Forse forse......costruire qualche carcere in più e depenalizzare qualche reato in meno ?
.....ah già , ma il nostro governo (abusivo) è quello che lascia liberi tutti quelli che subiscono una condanna inferiore a 4 anni

Un 45enne italiano che ha mostrato i genitali a una bimba di appena dieci anni in strada a Reggio Emilia è stato assolto dal giudice perché la pubblica via non sarebbe un "luogo sensibile".

Era il luglio della scorsa estate quando, nella ricostruzione della procura reggiana riproposta dalla Gazzetta di Reggio,
l'uomo avrebbe pedinato in auto la bambina che andava in giro in bicicletta.
Quindi, raggiuntala, si sarebbe messo sulla sua strada con il pretesto di chiederle un'informazione e si sarebbe denudato.

Nel processo successivo alla denuncia seguita alla vicenda, però, il tribunale di Reggio Emilia ha preso una decisione che ha sorpreso molti.

Il reato di atti osceni in luogo pubblico è infatti stato depenalizzato pochi anni fa, ma alcuni "luoghi sensibilo" sono stati esentati da questa depenalizzazione.
Siccome la strada non rientra in quest'ultimo elenco, l'uomo è stato assolto e ha evitato i sei mesi di reclusione proposti dal pm.

Con la nuova normativa introdotta nel 2016, infatti, la pena è stata aggravata se il reato viene commesso
nei dintorni di luoghi frequentati specificamente da minori, come gli asili, le scuole e le parrocchie.
Se però il fatto avviene in un luogo non sensibile, come la strada del caso di Reggio Emilia, gli imputati possono godere degli effetti della depenalizzazione.
 

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