trasversalità
«Nessuno può permettersi di sindacare dove e come la Lega impiega i suoi soldi», ha detto al Corriere del Veneto il senatore Piergiorgio Stiffoni, che con Roberto Castelli affianca, in seconda fila, Belsito. Una tesi indigesta non solo a tanti leghisti che hanno tempestato di proteste Radio Padania e i siti simpatizzanti ma anche a Roberto Maroni ed esponenti di spicco come Bepi Covre, che sul «Mattino di Padova» ha risposto che no, non sono soldi della Lega, ma dei cittadini italiani. Anche di quelli che leghisti non sono e devono pagare l'obolo dei rimborsi elettorali per una legge che ha aggirato la solenne bocciatura del finanziamento decisa nel referendum.
Soldi che dovrebbero essere spesi in modo limpido ma spesso (solo il Pd fa fare una certificazione esterna) non lo sono. Tanto che Bersani e Casini, nel pieno delle polemiche sui soldi «evaporati» della Margherita, si impegnarono a presentare subito una legge per obbligare i partiti a rendere trasparenti bilanci e patrimoni. Di più, basta soldi ai partiti già morti: quelli già destinati devono tornare allo Stato. Cioè ai cittadini. Gli unici «proprietari», appunto, di quei denari.
La stessa Lega Nord, sulla carta, avrebbe dovuto essere stata ammonita dall'esperienza col precedente tesoriere, Maurizio Balocchi, che oltre a finire in prima pagina per l'incredibile «scambio di coppie» con il collega Edouard Ballaman (ognuno assunse la compagna dell'altro per aggirare i divieti contro il familismo) fu tra i protagonisti dell'«affaire Credieuronord». La «banca della Lega» salvata dalla catastrofe grazie al faccendiere Gianpiero Fiorani dopo avere sperperato il capitale in pochi prestiti «senza preventiva individuazione di fonti e tempi di rimborso» (parole di Bankitalia) come quello alla società (fallita) «Bingo.net» che aveva tra i soci Enrico Cavaliere (già presidente leghista del consiglio del Veneto) e appunto il tesoriere Balocchi, sottosegretario e addirittura membro (da non credersi...) del cda della banca.
Roberto Calderoli spiega d'avere avuto assicurazione che è tutto a posto anche se «un'operazione come quella in Tanzania era da matti, che non si doveva fare»? Buon per lui. Roberto Maroni, che da tempo si lamenta (giustamente) perché il consiglio federale non approva né il bilancio preventivo né quello consuntivo ma delega tutto alla sovranità di Bossi, non è d'accordo. E non fa mistero di considerare la situazione «a dir poco imbarazzante».